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Zibaldone: fratello Rom

Creato il 17 giugno 2011 da Frankie71 @FraMoriconi
Zibaldone: fratello RomCinquecentomila.Cinquecentomila Rom . Cinquecentomila persone uccise, torturate, sterilizzate, macellate dai nazisti. Il numero più accreditato è cinquecentomila. Annientate per motivi di razza. È l’olocausto dei Rom. Il Porrajmos. Per lo più taciuto, nascosto dietro pregiudiziali e secolari chiusure nei loro confronti. Tutti siamo portati a pensare che uno come Mengele (il dottor morte di Auschwitz) fosse uno psicopatico messo a capo di un laboratorio di atrocità che soddisfacessero le sue morbosità (attraverso azioni spaventose, terribili, indicibili). Dobbiamo allora dedurre che fossero malati di mente non solo Hitler ma anche tutti quelli che hanno commesso nefandezze simili. Truppe di psicopatici per esempio dovrebbero aver eseguito i massacri di Rom nei boschi della Polonia, dove i bambini sono stati presi per i piedi e fatti roteare fino a sbattere contro gli alberi e gli adulti costretti a camminare sulla sottile lastra di ghiaccio del fiume Bug fino a sprofondare e annegare. Troppo facile. Erano uomini come noi, gli autori di quei massacri. Dei grandissimi bastardi, figli di puttana, criminali, opportunisti. Gente che ha praticato il razzismo, lo ha esaltato, ha marciato, manifestato in nome della purezza della razza. È inutile negarlo: se diamo la stura a forme di gratuità della cattiveria umana riusciamo a compiere ogni genere di schifezza.In quest'ottica si deve solidarietà ai “fratelli Rom” come la si deve a tutte le vittime della ferocia umana. Dubito che esista persona al mondo (a parte le solite teste) che non sia fratello degli Ebrei, dei Rom e di tutti quelli che sono stati perseguitati per motivi di razza. Il Porrajmos è stato dimenticato subito. I Rom subiscono un annientamento della loro esistenza ben più profondo, precedente di molto l’avvento del Terzo Reich e seguito fino ad oggi. Basti pensare che nel processo di Norimberga nessun Rom fu ascoltato come testimone.È una premessa importante, perché il tema che vorrei trattare qui è complesso e pieno di insidie. Pensare ai Rom e cercare di capirci qualcosa scavalcando le barriere di pregiudizio che insistono da secoli sul terreno del dialogo e dell’integrazione è una operazione estremamente delicata: da una parte infatti ci sono quelli in stile Salvini o Borghezio, il cui approccio è sostanzialmente razziale e stereotipologico, dall’altra ci sono molti esaltati del folklore etnico che ritengono di non dover affrontare alcun problema se non quello di un superficiale pluralismo culturale che facilmente degenera in una sorta di razzismo differenziale. In più prima o poi entrerà Latina in questo discorso, la qual cosa in partenza mi rende un po’ inquieto.Sull’argomento ho imparato recentemente che dire zingaro è dispregiativo: se userò questa parola è solo per sottolineare il termine generale con cui i non Rom leggono la realtà condivisa con i Rom. A dirla tutta anche dire Rom non è totalmente corretto, poiché esistono i Sinti, i Manush etc.; bisogna anche sottolineare però che la parola evoca a tutti il senso di appartenenza alla medesima cultura, al di là di distinzioni topografiche che non staremo qui a sottolineare.Un ulteriore elemento da evidenziare è che, al contrario di quanto asseriscono molti negli ambienti del volontariato, in Europa la maggioranza dei Rom sono da tempo stanziali e non nomadi. Esistono certo quelli che viaggiano e si fermano per un periodo limitato ma praticamente sono quasi inesistenti in Italia e in gran parte dell’Europa meridionale e orientale.Interessante poi che anche i non Rom sono vittime di pregiudizi speculari da parte dei Rom. Una visione per lo più costruita sulla televisione e in particolare dalla cronaca dei telegiornali: i rom Xoraxanè pensano che i gagè (il termine con cui i Rom definiscono i non Rom) siano tutti ladri, uccisori di bambini, truffatori.Devo ammettere una grande ignoranza; per di più sono consapevole che anche i tentativi più aperti hanno il difetto d’origine di presupposti inamovibili che non trovano traduzione facile in culture diverse.Non so se è possibile procedere con ordine nell’affrontare una “questione Rom”. Partirei dai luoghi comuni che caratterizzano le opinioni della maggioranza: tutti ladri, tutti sporchi, tutti ignoranti.Tutti” è decisamente un termine generico; nessuno conosce “tutti”. L’opinione che ci si fa dei Rom è diffusamente veicolata dalle esperienze personali e dai media. Questi ultimi parlano di loro in caso di sgomberi o di arresti per vari reati e noi tutti gagè quando vediamo uno zingaro controlliamo la borsa, lo zaino, le tasche, il cellulare. Chi gira per Roma si accorge che molte ragazzine che vanno a borseggiare nella metro o sugli autobus sembrano rom, molti mendicanti (suonatori o questuanti) sono rom. Certo è vero che non tutti i Rom sono ladri o mendicanti ed è altrettanto vero che non tutti i ladri o mendicanti sono Rom.Apprendo da alcuni saggi che i mestieri tipici dei Rom (stanziali o nomadi) sono sempre stati quelli di maniscalco, lavoratore del rame o fabbro, giostraio, venditore di chincaglierie. Mestieri cioè difficilmente esercitabili nelle società occidentali avanzate (cui anche l’Italia misteriosamente appartiene). In tutte le mie letture che cercano di approfondire, di dare un quadro esaustivo della cultura Rom, l’aspetto del lavoro è però avvolto da spesse coltri di vaghezza; nei campi nomadi (in realtà stanziali) si esercita anche il mestiere di robivecchi, qualcuno lavora fuori come facchino, imbianchino, a giornata. Sembra ad ogni modo che la maggioranza conduca una vita nel rispetto di alcuni principi inviolabili ereditati dal passato, mantenendo fede ad una idea di libertà e di vita fuori dai canoni dei gagè, cercando di sostenersi umilmente e con dignità.Per quanto riguarda l’igiene, la letteratura sui diritti dei Rom è tutta concorde nell’affermare che mancano i campi attrezzati. I gruppi sono costretti in maggioranza ad ammassarsi in luoghi non previsti per loro, dunque zone di periferia, sotto cavalcavia, margini delle città etc. Qui ovviamente mancano allacci fognari, acqua, luce elettrica e questo li forza ad una vita di stenti, morendo di freddo e faticando a lavarsi e a tenere i loro bimbi in condizioni accettabili. Una minoranza costretta a scegliere un certo stile di vita, che dovrebbe essere tutelata (anche per legge) ma si deve sostanzialmente arrangiare rimanendo vittima di tutti i pregiudizi che l’accompagnano dal XV secolo. Il cosiddetto stile di vita dei Rom sembra non sia una scelta; cioè va bene i camper e le roulotte (scelti all’interno della loro cultura) ma non la sporcizia, i rifiuti, le condizioni precarie (costrizione).In merito all’alfabetizzazione e scolarizzazione il problema è molto delicato poiché tocca la spina dorsale della cultura rom. I Rom infatti non capiscono, non assimilano il senso delle nostre istituzioni scolastiche in quanto il loro sistema educativo è basato sull’imitazione degli adulti. I bambini sono piccoli adulti cui vengono affidati compiti che devono svolgere al meglio sulla base dell’esempio dei loro genitori. Questo è quello che conta per loro. L’intera esperienza culturale dei Rom è esclusivamente tramandata oralmente. I figli a scuola, come cittadini italiani, sono giocoforza lasciati a sé stessi, non avendo possibilità di essere seguiti da famiglie che poco dopo l’inizio dell’anno scolastico ne sanno meno di loro e non attribuiscono valore alla scrittura. In più, ad esempio, nessun genitore va ai colloqui pomeridiani con le maestre o i professori poiché nella loro cultura non è possibile parlare di qualcuno non presente (è come parlare male). Un difetto d’analisi sta certo nel fatto che tutte le nostre considerazioni sui Rom passano dal nostro sistema al loro - credendo possibile un’assimilazione - ma mai viceversa.Tutte le cose che sto imparando mi inducono a credere nella necessità della costruzione di una seria mediazione culturale, fatta attraverso una preliminare e approfondita preparazione di Rom e gagé. Sgomberando il pregiudizio relativo a innate caratteristiche tipiche dei Rom come la predisposizione al furto o al nomadismo (di origine razziale, ricordando tra l’altro che gli zingari non sono una razza) la tessitura di una rete di rapporti di fusione tra le culture, nel rispetto delle specificità e degli inviolabili diritti dell’uomo, sembra essere l’unica via perseguibile.È indubbio che la stanzialità dei Rom nel territorio di una nazione ha da tempo portato a situazioni assai difficilmente decifrabili; la condizione di chi vive in roulotte e di chi invece ha una casa è infatti totalmente diversa. Anche quando un gruppo di Rom mette in piedi un campo violando la legge sull’occupazione del suolo pubblico, lo fa in seguito alla necessità di stare da qualche parte e, se non si hanno case, si commette un reato ovunque si lasci il camper. Nel caso della predisposizione di un’area invece, il problema diventa la posizione: i Rom vengono spediti fuori, spesso a chilometri dal centro cittadino e in totale assenza di collegamenti. Una buona dose di responsabilità sull’arroccamento dei Rom nel gruppo e sulla loro chiusura è dei gagè e del loro modo di trattare il problema su basi difficili da scardinare (pregiudizi già detti, mancanza di volontà, incapacità organizzativa etc.)Come cittadini italiani i Rom vogliono vivere una condizione che fatichiamo a comprendere. Anzi rifiutiamo. Se ci ponessero accanto a casa un monastero buddista fatto con i container per mancanza di fondi, coi monaci arancioni rasati (italiani) che ogni giorno vanno a mendicare, certo non avremmo le stesse paure. I monaci buddisti vengono preceduti da una fama positiva, pur assumendo alcuni comportamenti che sono lontanissimi dal nostro comune sentire. Qualcuno, addirittura, li invidia.Esistono esempi di campi nomadi in cui un gruppo perfettamente in regola con tutte le prescrizioni igieniche, con lo smaltimento dei rifiuti, col trattamento dei minori si è sentito costretto a sparire dalla circolazione, a emigrare per la quantità morbosa di controlli cui erano sottoposti i membri da parte della polizia locale.Dette tutte queste cose e dato per assodato che quella rom è una cultura da difendere in sede sociale e di diritto, specialmente quando è vissuta all’interno di specificità che non ledono la comunità ma la arricchiscono, in un reciproco scambio di valori, di accoglienza e di integrazione, veniamo a Latina.Da sempre a Latina vive una comunità di famiglie rom stanziali, che abita case per intenderci. Un gruppo non numerosissimo di stanziali in roulotte ha vissuto per anni dietro il campo da calcio della Sa.Ma.Gor, alle spalle della chiesa di Santa Maria Goretti. Poi, durante la prima giunta Zaccheo, hanno trovato un accordo col Comune e si sono spostati fuori città, divenendo invisibili e facendo fruttare economicamente i terreni circostanti su cui poi sono sorte decine di palazzine nuove. È ovvio che la condizione di quelli che abitavano al campo della Sa.Ma.Gor e di quelli nelle case era ed è completamente diversa, sia a livello di relazioni sociali sia a livello di visibilità. Basti pensare che dire zingari a Latina significa indicare solo quelli delle case mentre per quelli del campo (fino a che c’era) si diceva “i nomadi”, come se ci fosse differenza. Ufficialmente “i nomadi” vivevano come giostrai e robivecchi, quelli nelle case invece non l’ho ancora capito. Certo il numero di reati che recentemente è stato ascritto ad alcune famiglie Rom a Latina è impressionante e vanno dalla estorsione alla truffa, dall’omicidio allo spaccio e via cantando.Come la vogliamo chiamare? Sfortuna? Va bene. Abbiamo avuto la sfortuna che una fetta del crimine a Latina sia in gestione di famiglie rom. Non è che in tutta Italia i Rom siano dei criminali, qui però almeno due famiglie, numerose e diffuse sul territorio cittadino, favorite dalla DC prima e dal centrodestra poi (vedi ad esempio la vicenda pensioni a falsi invalidi), hanno aumentato a dismisura il loro potere. Molti di questi che adesso sono banditi, vivevano di piccoli soprusi ai danni dei più deboli anche da bambini, sfido chiunque a non avere una storia da raccontare in merito. Con tutta la complessità, con tutta la sensibilità poetica che è in grado di produrre l’oralità della storia rom, ci tocca assistere a questo vilipendio continuo della loro stessa cultura, alimentando un pregiudizio che a Latina – con forti ragioni – è quasi impossibile da scardinare. Naturalmente, per il carattere stesso dei Latinensi – con un radicato e rassegnato accento autolesionistico più volte analizzato in questi post – il pregiudizio non ha portato fenomeni di esclusione e marginalizzazione particolarmente evidenti ma solo una timorosa distanza, priva di denuncia. Una prona coesistenza con un’ignorante prepotenza che è divenuta crimine organizzato e affiliato. Io non so se le storie che ho ascoltato nella mia vita a Latina siano vere. Ci sono certamente cose cui ho assistito personalmente e che, pur non riguardando efferati delitti ma episodi minori, sono indicative di una cultura rom tutta particolare, almeno qui a Latina, che non ha nulla di tollerabile. Nulla.Mi ricordo che agli inizi degli anni ottanta (forse durante una giunta DC con Redi sindaco) ai “nomadi” dietro la Sa.Ma.Gor - ormai appropriatisi di quello scampolo di strada - decisero di regalare i bagni. Costruirono tre o quattro gabbiotti con acqua, water e lavandini. Un bel passo avanti verso quel minimo di civiltà dovuta. Sono durati quattro mesi. Li hanno completamente distrutti. In quel periodo, so per certo, rubarono l’auto a un mio amico che si rivolse al capo del campo per vedere di ritrovarla. Non ci riuscì per questione di tempi, pur avendola rintracciata.È ovvio che portare i bagni così, senza un dialogo precedente o successivo, può risultare controproducente; una forma di solidarietà che è solo elemosina. Ma forse anche dire che l'assenza di servizi attrezzati è l’unico motivo di certe condizioni nei campi rom può non essere completamente vero, o meglio non vero per tutti. Come in ogni comunità ci saranno quelli con un maggiore senso di responsabilità verso sé stessi e gli altri e quelli con minori sensibilità. Quanto alla ricettazione, sarà certo un'attività favorita dall’impossibilità di lavorare secondo le proprie inclinazioni ma qui dobbiamo anche segnalare la necessità di un limite: non si deve perseguire la via del crimine. Insomma, qualche sano distinguo va fatto: voglio esprimere solidarietà per esempio ai fratelli rom che vengono sfruttati nell’industria dell’accattonaggio da altri rom che non sono miei fratelli. Durante una manifestazione in piazza del Popolo la scorsa estate, di sera, stavo comprando lo zucchero filato a mia figlia: due euro e cinquanta (li mortacci della bancarella). Arriva una signora rom con tre frugoletti al seguito, dà due euro al tizio col bastoncino e gli dice: “me ne devi dare tre”. E così è stato. È normale? Non era la prima volta che assistevo a una scena del genere; mi era capitato anche al baby parking di Latina Fiori. Orario di chiusura e una mamma rom va a riprendere cinque bimbi: “Sono settemila lire”, “te ne posso dare tremila”. Chiuso. Amen.Poi l’elemosina di mestiere davanti la Asl e al mercato del martedì, tornando a casa con la Mercedes fiammante. Non è tollerabile. Ma è altrettanto intollerabile, porcogiuda, che noi gagè accettiamo che esistano non solo zone ghetto a Latina ma anche scuole ghetto, come quella di via Po, sconsigliata perfino da chi ci lavora a causa dell'alta frequentazione di zingari. Se questo è il nostro livello organizzativo per affrontare il problema abbiamo poco di che lamentarci.Senza fare ignoranti proclami leghisti, è una situazione che va raddrizzata. Voglio convivere. Però sereno. Nella giustizia o perlomeno nel contesto di un minimo di regole condivise che strutturino la convivenza (tra cui la tutela e l’istruzione dei minori). Per il resto ognuno deve essere libero di fare come gli pare. Anzi bisogna metterlo in condizione di farlo (che è tutta un'altra questione).

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