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Zibaldone: la tigre in baracca

Creato il 10 agosto 2011 da Frankie71 @FraMoriconi

di quel securo il fulminetenea dietro al baleno
Non amo granché Manzoni, trovo Il cinque Maggio una poesia tutto sommato capziosa, malcelatamente schierata. Con intuizioni liriche eccellenti però, come questa. Totale concordanza di pensiero e azione, fulmineo risultato concreto enunciati in un verso a ridondanza zero. Va letto mettendo una pausa tra quel e securo perché quel non è aggettivo dimostrativo di securo (che è un avverbio di affermazione non un aggettivo) come te lo leggono a scuola per farti credere che la versificazione sia una cosa che non si capisce ma è, più semplicemente, pronome dimostrativo relativo a Napoleone.Chi non ha sentito, dopo queste parole, decantare (costretto a farlo a sua volta) le incredibili doti decisioniste e organizzative dell’imperatore Bonaparte? Così ti insegnano che se hai le idee chiare, il tuo comportamento è solerte e coerente.
Ho sempre ammirato l’immediatezza di lettura della realtà di certuni, che riescono a determinare i propri comportamenti - spesso scegliendo la via migliore - nel tempo che io ci metto a capire dove sono. È una dote che può portarti a essere un grande eroe, unita al coraggio, al senso di solidarietà, alla compassione. Oppure un grande dittatore, perché la via migliore è comunque in funzione dei tuoi obiettivi. Da ragazzino, per me, baleno e fulmine erano di Sandokan. Ma anche del Prof. Lidenbrock di Viaggio a centro della TerraNella maggioranza dei casi la parte del baleno non è visibile ai più – è una vicenda tutta interiore - ma c’è un gesto che è discernibilissimo fulmine e che segna gli eventi in modo irreversibile. Quando Sandokan compie il rito dell’uccisione della tigre (mi riferisco allo sceneggiato degli anni ’70, non ai libri da cui è tratto) lo fa in una condizione di ineluttabilità (Marianna è a terra minacciata dall’animale) ma anche in un contesto prestabilito (la caccia alla tigre, appunto) in cui sa benissimo cosa sta per accadere. In quel decidere di ucciderla, affrontandola a viso aperto addirittura lanciandosi contro di lei in un acrobatico balzo, c’è il suo affermarsi come indiscusso leader della lotta (l’unico oltre Tremal Naik in grado di affrontare il felino a viso aperto) e il suo dichiarare amore imperituro alla donna. Che ci fosse il baleno dietro tutto questo è testimoniato dall’annuncio di Sandokan a Marianna prima dell’inizio della battuta di caccia: oggi ucciderò la tigre per voi etc.In Viaggio al centro della Terra al Prof. Lidenbrock balena (appunto) l’idea che il manoscritto di Saknussem, in caratteri runici, sia degno della più grande attenzione e fulmineamente egli mette in atto metodi estremi per ottenerne la decifrazione e poi organizzare la spedizione…Madonna che libro.
A questo punto vi starete certamente chiedendo / chissà stavolta questo dove vuole andare a parare cantava Edoardo Bennato (Nisida).Be’, calma. Non è che certe cose sia possibile scriverle in 140 caratteri. Mettetevi comodi. Semmai stampate. Posso rimborsarvi costo di carta e cartucce se mandate una richiesta scritta via e-mail. I parametri in cui si deve rientrare per ottenere il rimborso sono: essere maggiorenni non in possesso della patente e/o di mezzi che si guidino senza patente; avere un reddito lordo di meno di 200 € oppure di più di 600.000 € annui; conoscere a memoria almeno un testo decente scritto da Fabrizio Zampaglione dei Tiromancino (mi sa che qui ho esagerato, lo so che è impossibile).Vabbe’, riprendiamo.Quando don Roberto Sardelli nel 1968, decise di lasciare la parrocchia dove era stato assegnato come viceparroco a Roma, San Policarpo, penso sia stato così: baleno e fulmine. Nel comprensorio della parrocchia c’erano i baraccati dell’Acquedotto Felice con la loro lunga schiera di capannucce fatte di materiali improbabili poste lungo i piloni e sotto gli archi. Era sempre pieno di fumo lì a causa delle stufe a legna usate per cucinare e scaldare l’acqua; qua e là pozzi neri per fare i bisogni in una marea di rifiuti. Le baracche erano numerate in ordine: chi pagava di più (sì, pagava) si sistemava sotto l’arco più grande, i più poveri si ammucchiavano sotto gli archi più piccoli. La sera prostitute e travestiti. E luce elettrica abusiva.Don Roberto ha visto. Gli è balenata l’idea che fosse intollerabile. Ha messo i suoi vestiti in un sacco, ha lasciato la parrocchia ed è andato ad abitare in baracca. Pensiero e azione. Basta. C’è solo un modo per fare le cose, dice un mio amico: farle.Così il prete non solo è andato “in baracca” ma ne ha anche comprata una da una puttana, la 725. Quel luogo di “perdizione” lo ha trasformato in una scuola per i giovani baraccati.Tralascio ora le polemiche del vescovo e l’ostracismo del perbenismo ecclesiastico seguiti a questa e alle altre iniziative prese dal sacerdote. Ad ogni modo lui aveva capito che l’unico riscatto possibile per quelle persone era il miglioramento del loro livello culturale, la presa di coscienza dei propri diritti e dei propri doveri, della propria dignità e del diritto alla casa. Non mise in piedi un semplice doposcuola: tutti i pomeriggi e la domenica i ragazzini non potevano più bighellonare abbandonati; andavano alla 725. Qui leggevano i quotidiani, commentavano le notizie politiche, apprendevano le biografie di personaggi che avevano fatto della lotta per la conquista dei diritti il loro scopo primario come Ghandi o Malcom X. Zibaldone: la tigre in baraccaQuesto è uno stralcio di quanto don Roberto Sardelli scrisse un giorno a Aldo Tozzetti, presidente del Sunia, il fondamentale sindacato in lotta per il diritto alla casa: La scuola era laica nel senso che la presenza e la guida del prete non avevano alcuna diretta incidenza sulla fede dei ragazzi.La scuola è scuola e non può essere strumentalizzata a fini religiosi, altrimenti diventa un seminario.Questo non toglieva che ai ragazzi venisse spiegata la Bibbia ma se ne faceva sempre una lettura critica e lo scopo era quello di aumentare il patrimonio conoscitivo dei ragazzi. La scuola era una spazio di coscientizzazione “politica” nel senso più elevato del termine e tutti, che avessero rispetto del luogo e delle persone, vi avevano accesso. Qui si consumò quella parte del ’68 che la cultura radical-borghese e il perbenismo ecclesiastico non amano leggere.Le letture collettive che nella scuola si facevano ogni sera come il rito della preghiera, ne danno anche uno spaccato: Autobiografia di Ghandi, Autobiografia di Malcom X, Dottore in Cina, La rivoluzione d’ottobre, Poema pedagogico e decine di altri libri che ciascun ragazzo era tenuto a portare avanti personalmente.”Nel settembre del 1969 la scuola 725 produsse un documento fondamentale: la lettera al Sindaco.Noi mandiamo questa lettera al Sindaco perché è il capo della città. Egli ha il diritto e il dovere di sapere che migliaia di suoi cittadini vivono nei ghetti. Per scriverla ci abbiamo impiegato dieci mesi. Ogni sera a pensierino si aggiungeva pensierino. Nella lettera abbiamo voluto dire una sola idea: la politica deve essere fatta dal popolo. Contemporaneamente don Roberto firmò la lettera dei tredici con un gruppo di altri sacerdoti, per denunciare le storture e le mancanze dell’amministrazione cittadina. Fu per via di quei documenti - e dello scalpore che suscitarono - che la Chiesa, dopo anni di indifferenza sul problema e nonostante l’inaccettabile atteggiamento anticonfessionale di Sardelli, convocò attraverso il cardinal Ugo Poletti il congresso I Mali di Roma, nel 1974, che ebbe una ripercussione notevole anche tra i partiti e provocò spaccature nella DC. La 725 era difesa da molte forze di sinistra, dai cattolici di sinistra, dal Sunia e da alcuni intellettuali. Tra questi certo anche Pasolini. Tutti conosciamo la grande sensibilità letteraria mostrata per il tema delle borgate. Alcune testimonianze lo descrivono non solo in spasmodica ansia di approfondire un fenomeno da trasformare in romanzo (come quando seguiva i fratelli Citti col taccuino in mano) ma anche un uomo cordiale che passava ore a parlare con tutti spiegando quanto fosse importante l’elevazione del proprio livello culturale oppure giocando a pallone ma anche regalando soldi. Pasolini ha fatto molto per raccontare, analizzare quel mondo di cui forse non avremmo mai avuto coscienza se non ci fosse stato lui ma il tentativo di superarlo - e di fornire strumenti per farlo - è merito di persone come don Roberto Sardelli.Lui stesso disse di Pasolini: “Per lui l’emarginazione era una categoria letteraria, lui era un uomo dedito alla ricerca artistica, non gli interessava vedere la realtà. Anche lui, io me lo ricordo in borgata, era prigioniero di uno schema. Sull’omologazione ha scritto bellissimi articoli ma il problema che affrontavo io era come smontare il processo di omologazione, non solo come analizzarlo”.Gli stessi allievi della scuola 725 così parlavano degli intellettuali e dei giovani di sinistra che li andavano a trovare in borgata: venivano soltanto per aiutarci a fare i compiti, venivano vestiti alla moda. Cercavano di influenzarci. Ragazze truccate in viso e ragazzi che parlavano troppo. Credevano di essere rivoluzionari. Avevano letto solo i libri. Alcuni si dicevano maoisti perché Mao era assente. Parlavano la lingua dei ricchi e non la nostra. Poi si sono stancati e ci hanno lasciato.Da una parte l’occhio esistenzialista, artistico, filosofico, sociologico; dall’altra lo sguardo derivante da una scelta radicale dell’esistenza. Non è con lo spontaneismo, col “sanvincenzismo” in camicetta rossa che si può combattere e vincere una battaglia come quella per la casa bensì mobilitando tutte le forze sinceramente e volenterosamente sensibili al lamentevole problema dei baraccati urlava don Roberto.Il 12 giugno del 1973 l’assessore all’edilizia economica e popolare Paolo Cabras si recò all’Acquedotto Felice per leggere la lista dei primi dieci assegnati alle case popolari di Ostia Nuova. Don Roberto Sardelli dichiarò nello stesso comizio: Sia ben chiaro che la casa è un diritto per tutti: non viene qui a portarcela Cabras come un regalo; diciamo solo che abbiamo trovato gente che ci ha aiutato nella nostra lotta. Tiè. Piglia e porta a casa; la tua equazione “una casa a cinque baraccati uguale cinque voti”, qui, dopo ventiquattro anni, non funziona.In un’intervista uno degli ex baraccati, appena trasferito, disse tra l’altro: Qui ci volevamo bene tutti, eravamo uniti e poi c’era don Roberto. Ci mancherà, è un santo. Un prete che si veste come noi e che lavora e vive coi poveracci, come GesùIo non so se Don Roberto Sardelli sia un santo. Probabilmente no. Comunque è uno che terminata la battaglia per la casa e i baraccati, non è tornato in parrocchia ma si è speso per gli ultimi e gli emarginati della società moderna. In varie forme, magari discutibili, metodologicamente inopportune o errate, non so davvero, però quel gesto, quel tuffarsi a testa bassa cercando il suo Dio là dove dovrebbe stare con certezza mi sembra, perlomeno, un atto di coerenza del tutto sopra la media. Io francamente gli auguro lunga vita, qualsiasi cosa stia facendo adesso.
Olè.
Non vedevo l’ora di poter scrivere di Don Roberto Sardelli; un po’ perché non se lo fila nessuno, un po’ perché è certamente una persona di cui securo il fulmine tiene dietro al baleno, un po’ perché gli ingioiellati partecipanti in prima fila alle messe della domenica mattina, magari attivisti di gruppi parrocchiali azionisti della macchina del fumo e acclaratamente figli di mignotta il resto dei giorni che il buon Dio continua stranamente a donargli, potrebbero leggerlo come esempio e non dico seguirlo, che è una cosa comprensibilmente difficile, ma almeno astenersi dalla chiacchiera, rimanere in silenzio e vivere senza voler apparire pii. Essendo fii.Ora certo qualcuno potrebbe dire che sono il solito qualunquista, che faccio di tutta l’erba un fascio, che voglio sparare ad alzo zero etc. No. Assolutamente. Tu che leggi sei un figlio di mignotta? Vai in chiesa e predichi bene ma razzoli male? No? Bene, non ce l’ho con te. Né con tutti quelli sinceramente e coerentemente impegnati in attività di qualsiasi tipo spinti dalla loro fede.Io ce l’ho con quelle grandissime teste di cazzo che hanno approfittato in questo periodo delle condizioni di necessità e di debolezza dei rifugiati politici tra Sezze e Bassiano. Quelli che si sono presi 42 euro al giorno per immigrato con l’impegno di garantirgli un alloggio e un vitto decenti; una possibilità di rimanere in condizioni decorose partecipando alla vita del paese; un po’ di serenità lontani dai loro affetti, dalla loro terra e dalla paura. Quelli che i rifugiati li hanno ammucchiati in una “casa di accoglienza” adatta ad un decimo del loro numero, con un solo rubinetto di acqua fredda in cortile, dandogli da mangiare tutti i giorni pasta bianca e tonno (o roba del genere). Quando si dice “manco ai cani”. Tutto questo per intascarsi il più possibile, coi soldi regionali di tutti, magari col foglio della messa nella giacca per meditare a casa e perfino, forse, con una storia politica da una parte e un presente dalla parte opposta, perché l’incoerenza - si sa - è il sale del volontariato.

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