“Un film sulla Resistenza in forma di favola non si era mai visto” dichiara Morando Morandini, ed è vero. Zoè è la tragica storia di una bambina, ambientata durante la seconda guerra mondiale, e raccontata insolitamente, attraverso la forma di un sogno.
Asti. Un paesino del Piemonte è piegato dalla povertà e dalla desolazione della guerra. I soldati tedeschi compiono i loro violenti rastrellamenti senza avere alcuna pietà per donne e bambini. Una madre riesce a far fuggire sua figlia, Zoè, per mandarla incontro al padre, un partigiano che si nasconde oltre la collina. Così, Zoè inizia il suo viaggio in cerca del padre, un cammino onirico e surreale che assume i connotati di una favola; infatti, molte sono le citazioni, come Alice nel paese delle meraviglie e Pinocchio.
Zoè, mentre fugge alla ricerca del padre, assiste ai rastrellamenti e alle uccisioni di mariti e padri, finché si ritrova faccia a faccia con un soldato tedesco. Si sente uno sparo e, subito dopo, vediamo una dissolvenza in nero. Poi Zoè, che continua il suo cammino e incontra un uomo, Luigi (Francesco Baccini), il quale, partigiano come il padre, decide di accompagnarla e di aiutarla nella sua ricerca. Lungo il percorso, la bambina e il partigiano incontrano personaggi strani, come l’uomo ambiguo che vuole servirsi di Zoè in cambio della sua sopravvivenza, la sposa vedova, il matto del paese, una famiglia distrutta dalla fame e dal dolore.
Il film prosegue, mostrando paesaggi arcadici, per poi ritornare al punto in cui Zoè si ritrova di fronte al soldato tedesco. In un minuto tutto ciò che ci sembrava realtà, crolla tramutandosi in un sogno, e Zoè ritrova il padre.
Opera prima indipendente del regista Giuseppe Varlotta – “artigiano dell’immagine”, sperimentatore dei più diversi linguaggi dell’arte, dall’architettura al teatro, dal disegno alle video istallazioni – Zoè incuriosisce ma non convince appieno. Forse un po’ forzato appare il tentativo di mescolare la realtà con il sogno. Alcuni personaggi, poi, sono poco credibili, come il soldato grassoccio tedesco, il matto che insegue Zoè per il suo viaggio, Bebo Storti, il cattivo del bosco, che non intimorisce come dovrebbe; altri invece sono forse più azzeccati, come la sposa vedova e la stessa Zoè interpretata da un’espressiva Monica Mana.
Ottimo però il soggetto e l’idea del regista che così definisce la sua opera:
“Mi sono chiesto se fosse possibile oggi giorno raccontare una favola attraverso gli orrori della guerra. Zoè racconta un viaggio verso il ritrovamento del padre durante un rastrellamento in un piccolo paese piemontese. Il film farà rivivere allo spettatore l’“Alice nel paese delle non meraviglie”, è una corsa verso la salvezza, contro la disuguaglianza fra gli uomini; Zoè dovrà saper riconoscere il bene e il male, lo ying e lo yang, l’accidia, la povertà, la solitudine, la paura e tutto ciò che l’uomo, ancora oggi, non ha cancellato dal suo dizionario: la Guerra.”
Un’iniziativa unica che, nonostante le mancanze a livello interpretativo e strutturale, ha avuto la sua meritata risonanza. Infatti, il film ha ottenuto e continua a ottenere molti riconoscimenti in Italia. Tre premi al Festival internazionale San Pietro Infine ‘Storie nella Storia’ (2010): miglior regista, miglior attore al cantante Baccini, migliore attrice a Serena Grandi; Premio miglior montaggio a Luca Carbone al MIFF Film Festival Awards (2009) e il Premio ‘Music Feel’ a Giuseppe Varlotta alla XIII edizione del Terra di Siena Film Festival (2009).
Zoè è possibile vederlo al FilmStudio, a Roma, in Trastevere, nell’ambito della rassegna dedicata al cinema indipendente, sostenuta dalla Regione Lazio.
Valentina Calabrese
Si ringrazia il cineclub Filmstudio di Roma (Via degli Orti D’Alibeert 1 – Trastevere)