0031 [A-B USO] Cristina Portolano | Storie dal C.E.P. village

Creato il 19 giugno 2012 da Wilfingarchitettura @wilfing
di Salvatore D'Agostino  
«Con dei contadini, per esempio, a volte ho dubitato che sappiano che cosa è un paesaggio, un albero. Sì. Le sembrerà strano: ho fatto a volte delle passeggiate, ho accompagnato un fittavolo che andava a vendere le patate al mercato. Egli non aveva mai visto la Sainte-Victoire. Sanno che cosa è stato seminato qui, là, lungo la strada, che tempo farà domani, se la Sainte-Victoire è incapucciata oppure no, lo sentono dall’odore, come gli animali, come un cane sa che cosa è questo pezzo di pane, soltanto secondo i loro bisogni, ma che gli alberi siano verdi, e che questo verde è un albero, che questa terra è rossa e che questi rossi franosi sono colline, io non credo, realmente, che la maggior parte di loro lo sentano, lo sappiano, al di là del loro inconscio utilitario». Paul Cézanne1
   Osservando l’Italia a piedi, ci potrebbero venire gli stessi dubbi di Paul Cézanne, chi abita le città forse non ha coscienza del proprio intorno urbano al di là dell’urgenza utilitaristica. La fumettista Cristina Portolano si è immersa in una delle tante città balneare nate in pochi anni dal nulla, ambientando le sue storie in un paesaggio usato secondo le necessità del momento. Mi sono fatto raccontare il motivo del suo errare in questi paesaggi.

Foto Giuseppe De Mattia


Salvatore D’Agostino Ci sono luoghi che non andrebbero tutelati per legge ma dagli abitanti del luogo. Luoghi che andrebbero presi in custodia collettivamente e abbandonati all’ingegno creativo della natura.Uno di questi è il tratto di costa lungo circa tredici chilometri della costa adriatica a sud di Bari, tra Bari-San Giorgio e Mola di Bari.Una battigia che hai percorso con il fotografo Giuseppe De Mattia bloccando dei ‘fermo immagine’ da dove sei partita per disegnare le tue storie dal C.E.P. village.Che cos’è il C.E.P. Village?Cristina Portolano Il C.E.P. village è l'acronimo di centro edilizia popolare. Nel nostro caso però, non è inteso il quartiere di San Paolo a Bari (detto c.e.p appunto) ma l'estensione di costruzioni abusive sulla fascia costiera a sud-est di Bari definite c.e.p village poiché con San Paolo hanno in comune le personalità che le hanno costruite per passarci le vacanze e di un modo di viverci. Per disegnare le storie del C.E.P. sono partita dalle foto di Giuseppe, da quell'atmosfera, per ambientarci storie di fantasia, ma non sempre la fantasia coincide con la finzione. Io e Giuseppe abbiamo parlato molto durante il percorso e ci siamo confrontati sul passato e sul presente di quei luoghi dove lui è cresciuto. Sia io che lui ce ne siamo andati dalla nostra terra e ci siamo incontrati a Bologna. Io sono di Napoli, e con lui ho in comune questo senso di malinconia/sconforto nei confronti della nostra città, del nostro mare.    Per iniziare a disegnare ho avuto bisogno di un fil rouge e creare una trama più ampia che contenesse le microstorie che avevo in mente e che volevo si sviluppassero con ordine cronologico. Infatti ho cercato di presentare quei luoghi com'erano (la storia di Michele), cosa ci hanno fatto (la stecca di Marlboro), chi li ha abitati/costruiti (Bibì dei gelati) e come vengono percepiti adesso (Ritorno a mare).   La costa italiana è disseminata d’intere città balneari, nate dal nulla, tra gli anni settanta e novanta in deroga alle normative urbanistiche. Un silenzio assenso avallato dalle comunità locali. Evitando l’estetizzazione, l’indignazione o il suo contrario l’accettazione passiva possiamo iniziare a riflettere sull’identità di queste città abusive?   Non credi che il C.E.P. village dietro la parola ‘abuso’ celi l’identità’ condivisa e quindi un luogo, dove ci si identifica?
   Ricordo che a diciasette anni un'amica ci invitò ad andare nella sua casa al mare. La casa si trovava in un vecchio hotel adibito a palazzo residenziale con tanti micro appartamenti. Mi ricordo l'aria spettrale, era ottobre e c'era qualcuno che abitava lì durante tutto l anno. C'era comunque un'aria estiva con i materassini di plastica, i teli da mare stesi ad asciugare. Eravamo a Villaggio Coppola vicino Castel Volturno. A Castel Volturno a diciotto anni ho lavorato in un lido balneare abitando in una casetta costruita a 50 metri dal mare nello stesso complesso del lido per due mesi.  A quell'età non ne sapevo niente e forse fingevo di non vederli gli abusi sul territorio. Tutto ciò per dire che queste località hanno sicuramente un'identità forte su cui dobbiamo seriamente riflettere e che non possiamo estirpare. Possiamo forse rendere un poco più consapevoli coloro che ci si identificano in quei luoghi, se li abitano per necessità. Qui sorge spontaneo fare una distinzione tra abuso edilizio per speculazione da abuso edilizio per povertà.
   Nel senso che spesso le strutture abusive destinate a grandi giri d'affari vengono bloccate e di conseguenza abbandonate e successivamente possono venire occupate per necessità da chiunque. Poi il riccone che si è costruito la villa sul mare andrebbe perseguito, ma sappiamo che comunque avrà i soldi per passarla liscia. È auspicabile che comunque tutte queste strutture vengano abbattute e alle persone che magari avevano preso ad abitarci, trovare un'altra sistemazione più decorosa. Questa sarebbe la teoria, la pratica è un'altra storia.    Perché provi malinconia/sconforto nei confronti della tua città e del tuo mare?
   Provo malinconia perché desidero ritornarci. La città, i luoghi, le persone hanno un potenziale enorme che non riesce mai a venir gestito come dovrebbe e provo sconforto nel vedere le persone delle istituzioni che dovrebbero accorgersene barcollare nel buio e ricadere in errori stupidi. Perché non è la città in sé, che è immobile, ad essere sbagliata sono quelli che eleggiamo per prendersene cura che non lo fanno.Quando vedo il mare non posso far a meno di pensare a tutte le occasioni mancate, ai rifiuti che vi si riversano dall'entroterra trascinati nei canali quando piove, al lungomare di via Caracciolo maltrattato per via di un’operazione di facciata come l’America’s Cup. Per fare “spazio” a non so cosa, hanno smantellato, nei giardini della Villa Comunale, la Cassa armonica (una struttura del 1877) dove si potevano ascoltare le musiche di Verdi, Puccini, concerti di musica contemporanea e spettacoli. L’hanno dissacrata per far spazio durante le regate, che regate non erano ma prove di qualificazione. 
   Non c’è trasparenza neanche da parte di colui a cui hai dato la tua fiducia. Lo sconforto è quando vedi che per un pugno di spiccioli e per un evento più mediatico che altro, si buttano alle ortiche pezzi di storia che hanno formato anche la cultura di una città.   Gipi ricordando Jean Giraud: Moebius, il fumettista francese morto il 10 marzo di quest’anno, ha raccontato il suo incontro:
«Dio lo guarda [ndr Jean Giraud: Moebius], prende la mia penna, sorride ed aggiunge sul foglio le unghie mancanti.Poi dice qualcosa in francese, che non capisco, ma sorrido. Falso.Dentro di me la vanità, innescata da quel maledetto premio prestigioso mi suggerisce che un vecchio ha fatto le unghie al mio disegno, perché quel vecchio ha uno stile antico, sorpassato, che ignora il mondo contemporaneo, che si è scollato, che ha avuto il suo momento di gloria e che è passato, e guarda come si manifesta, sulla carta, la sua distanza: due unghie dove non ce ne sarebbe alcun bisogno. Chi ha necessità di quel dettaglio? Cosa racconta? cosa aggiunge? Il mondo è cambiato e adesso siamo noi giovani a dettare le regole, a creare gli stili. Vanità».2
Un aneddoto che mi è venuto in mente mentre leggevo le tue tavole senza unghie.
   In realtà, le unghie ci sono.3Io ho adorato sia Moebius che Gipi.:)
Hai ragione mancava la domanda.Le tue tavole senza unghie nel senso del tratto della matita spesso sfumato, un po’ sospeso, con un realismo essenziale che cede il passo alle storie che racconti.Poiché, riprendendo Gipi, non c’è necessità d’inserire un dettaglio che non racconti o aggiunga qualcosa alla storia. Non credi?
   Adesso ho capito, forse. Si io credo che, anche se come dici tu il tratto è sospeso, alcuni dettagli restano necessari ma solo quelli che raccontano, come dice Gipi. Tipo il vecchio cartellone eldorado che racconta di un tempo preciso in cui è ambientata la vicenda è necessario mentre il muscolo sartorio su una gamba accavallata no.   Dicevi  «ho adorato sia Moebius che Gipi» e adesso chi segui e perché?
   Al momento non "seguo" nessuno in particolare. Il concetto di follower non mi appartiene, però ti posso dire che libri ho tenuto nella mia libreria dopo aver lasciato Moebius e Gipi nella casa dei miei genitori a Napoli. Ho delle antologie con i disegni degli allievi dei corsi che tiene Stefano Ricci ad Amburgo, Angoulême e Gorizia. Questi almanacchi mi aprono una finestra sul resto del mondo, l'ultima si chiama "un atto impossibile" ed è un volumone con la copertina argentata. Poi ho delle antologie francesi come L'épisode dei ragazzi di NA edition, Machine Dangereuse, vecchi numeri di Mome della Fantagraphics, e gli insormontabili Daniel Clowes e Adrian Tomine a cui non posso proprio rinunciare.   Qual è  la tua prossima storia? 
   La mia prossima storia è su un architetto, urbanista e artista a 360°: César Manrique. Vorrei disegnare la sua biografia e indagare la sua concezione di arte e natura. Lui è natio dell'isola di Lanzarote, nelle Canarie, dove ha costruito in maniera etica delle strutture che ad oggi restano le uniche attrazioni turistico/culturali dell'isola. Ha fatto murales, sculture del vento, e architettura a bassissimo impatto ambientale che si confonde con la natura vulcanica dell'isola. Lanzarote è stata completamente devastata dalle eruzioni vulcaniche che dal 1730 al 1732 hanno ricoperto l'isola di uno strato di lava e cenere le cui tracce sono ancora visibili ovunque. Piano piano gli isolani hanno ripreso ad abitarla e grazie a lui ad oggi l'isola è una meta del turismo mondiale. Purtroppo, proprio per il turismo, dopo la morte di Manrique si è iniziato a costruire delle vere e proprie città per i turisti in cui gli anglosassoni e non solo, ripropongono il proprio stile di vita e gli autoctoni servono ai bar e cucinano fish and chips. Tutto ciò è allucinante ed è proprio quello che Manrique non voleva.
   Ecco la mia prossima storia è su di lui.
18 giugno 2012 
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Note: 1 Joachim Gasquet, Ciò che mi ha detto..., in Michel Doran, Cézanne. Documenti e interpretazioni, Roma, Donzelli, 1995, pp. 128-129. 2 Gipi, Penne a china, Blog personale, 12 marzo 2012. Link3 Giuseppe De Mattia e Cristina Portolano, Storie dal C.E.P. Village, Bologna-Bari 2010-2012; stampato presso Fina Estampa via Filippo Turati, 8 - 40134 Bologna; rilegato presso Il Cartiglio, via San Carlo, 44 - 40121 Bologna;  immagine descritta nella storia di Bibì dei gelati, tavola 6 vignetta 2 pag 50 del libro.