Do
per scontato che Massimo D’Alema sia persona moralmente irreprensibile, proprio perciò
non mi capacito del perché sia incazzato come una bestia per la pubblicazione
delle intercettazioni telefoniche in cui si fa il suo nome. C’è una cooperativa
che ha acquistato cinquecento copie di un suo libro e duemila bottiglie del suo
vino? Bene, mi pare non ci sia nulla di male, dunque perché gli dà fastidio che
si sappia? Un buon libro e un buon vino non smettono d’essere tali se a
comprarli sia stata una cooperativa oggi indagata per questo o quel reato, né
chi ha scritto quel libro e prodotto quel vino ha da rimproverarsi nulla se ad
acquistarli sia stato chi per questo o quel reato dovesse eventualmente essere
condannato. Diciamo che a far nascere l’odioso sospetto che quegli acquisti non
fossero motivati dalla qualità dei prodotti, che qui voglio dare per scontato sia indiscutibile, quanto piuttosto da una sorta di
disobbligo clientelare, è solo ciò che Francesco Simone, responsabile delle
relazioni istituzionali della cooperativa indagata, afferma in una delle
telefonate intercettate, quando, quasi certamente millantandone la protezione, testualmente dice:
«D’Alema mette le mani nella merda come ha già fatto con noi e ci ha dato delle
cose». La frase prova che quelle «cose» siano state date in cambio dell’acquisto
delle copie del libro e delle bottiglie di vino, o che si trattasse di
favori illeciti per il solo fatto che ad esse sia stata allegata l’immagine del «mettere
le mani nella merda»? A me non pare, e tuttavia comprendo che la frase possa prestarsi a una lettura errata, soprattutto da chi intenda mettere in discussione l’indiscutibile rettitudine di Massimo D’Alema, il quale, dunque, prima di querelare chi voglia tessere ingiuste
insinuazioni su quella frase, dovrebbe querelare Francesco Simone. L’ha
fatto? Può darsi mi sia sfuggito, ma non ne ho notizia.