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04/02/2015 - Il prezzo del petrolio, l’economia irachena e la guerra all’Isis

Creato il 04 febbraio 2015 da Orizzontenergia

Il crollo del petrolio e le sue ricadute negative sui bilanci dei paesi produttori. Dubbi sulle concrete possibilità di risoluzione delle crisi belliche regionali e del terrorismo internazionale.

Mentre l’attenzione della stampa mondiale è concentrata sulla guerra al terrorismo ed all’Isis in particolare, chiunque nota anche le ricadute negative che l’abbassamento del prezzo del petroliopetrolio
Combustibile di colore da bruno chiaro a nero, costituito essenzialmente da una miscela di idrocarburi. Si è formato per azioni chimiche, fisiche e microbiologiche da resti di microorganismi (alghe, plancton, batteri) che vivevano in ambiente marino addirittura prima della comparsa dei dinosauri sulla terra. I principali composti costituenti del petrolio appartengono alle classi delle paraffine, dei nafteni e degli aromatici, che sono composti organici formati da carbonio e idrogeno e le cui molecole sono disposte secondo legami di varia natura.
causa ai bilanci interni di Iran, Russia e Venezuela e altri produttori. Pochi però sottolineano come il primo dei Paesi impegnati nella lotta contro l’Isis, l’Iraq, abbia problemi di bilancio così gravi da creare dubbi sulle sue concrete possibilità di tener testa alle offensive del sedicente Stato Islamico.

Perfino prima del crollo del prezzo del barilebarile
Unità di misura in uso nei Paesi anglofoni per la misura volumetrica del petrolio e dei suoi derivati. Corrisponde a circa 159 litri.
, l’Iraq di Al Maliki navigava in cattivissime acque e i suoi conti erano già fuori controllo. Quel Primo ministro, imposto dall’accordo Iran – USA e mal digerito ma forzatamente accettato dai curdi, aveva presentato al parlamento un bilancio per il 2014 di 150 miliardi di dollari che non fu mai votato dal Parlamento di Baghdad. Nel momento in cui il leader sciita, pochi mesi or sono, ha lasciato in modo molto riluttante l’incarico l’intero budget era già stato speso e vi si era pure aggiunto un deficit di 37 miliardi di dollari.

Nonostante uno dei suoi figli sia stato fermato all’aeroporto di Beirut con decine di valigie piene di danaro dalla dubbia provenienza, Al Maliki, interrogato sul buco finanziario, ha spiegato che gran parte del danaro era servita per l’acquisto di armi per la guerra contro il terrorismo e per la paga dei 300.000 soldati iracheni impegnati nelle operazioni.

Purtroppo, delle armi acquistate con quel danaro non si è vista, né si vede, traccia e dei 300.000 soldati che, apparentemente percepivano un salario, si è scoperto che ne esistevano solo 50.000. Chissà a chi saranno  andati i dollari destinati ai 250.000 fantasmi?  Senza contare che, da subito dopo l’avanzata dell’Isis nelle province di Al Anbar e Mosul, ogni pagamento a quelle aree è stato sospeso.  Così come è accaduto al diciassette per cento delle entrate dello Stato (dedotto delle spese, in pratica il solo dieci per cento), destinato alla Regione Autonoma Curda. Quest’ultima  spesa non effettuata, ufficialmente, a causa del mancato accordo sulle modalità di vendita del petrolio in uscita dai nuovi pozzi del nord. Come abbiano fatto i curdi a sopravvivere e, soprattutto a foraggiare i peshmerga che, unici, hanno saputo prima fermare e poi addirittura ricacciare i  terroristi, sembra un miracolo. Gli aiuti internazionali in armi e qualche credito da banche internazionali che il governo di Erbil ha saputo ottenere grazie alla propria credibilità spiegano solo in parte il successo della resistenza curda. Il resto della spiegazione va ricercato solo nel diffuso senso patriottico e nello spirito di sacrificio di quella popolazione.

Con l’arrivo al potere del nuovo primo ministro Al Abadi, le cose sembrano essere cominciate a cambiare e il nuovo bilancio dello Stato per il 2015 è  sotto approvazione, in questi giorni, nel Parlamento Iracheno. Si tratta di un bilancio più contenuto, ridotto a 100 miliardi di dollari e che pone alcune pezze al malgoverno precedente pur richiedendo nuovi sacrifici a tutto il Paese. Una guerra costa molto e gli aiuti internazionali, fino ad ora, sono ancora una piccola parte di quanto necessario. L’impossibilità di utilizzare l’oleodottooleodotto
Insieme di condotti e stazioni di pompaggio adibite al trasporto del petrolio greggio dai centri di estrazione (o stoccaggio) fino ai porti di imbarco o fino alle raffinerie.
che dall’Iraq portava direttamente in Turchia a causa di attentati terroristici e del fatto che il territorio su cui passa è in gran parte occupato dalle truppe dell’Isis ha spinto Erbil e Baghdad ad un accordo.

Secondo quanto concordato, il recente oleodotto curdo – turco operato dai curdi consentirà la vendita verso la Turchia di almeno 550.000 di barili al giorno di cui 250.000 in provenienza dai pozzi del Krg e 300.000 da Kirkuk. Tale accordo, oltre a consentire la fine del vecchio contenzioso tra i due governi costituisce, implicitamente, un riconoscimento per i curdi del possesso di Kirkuk e la sua area (altro argomento di lungo litigio tra il centro e la Regione Autonoma). La fine delle incomprensioni ha permesso anche la ripresa dei versamenti dovuti al Krg pure se gli arretrati vengono pagati a tranche e non coprono ancora nemmeno gli stipendi non pagati, almeno quelli di dicembre e gennaio.  A questo proposito non va dimenticato che la gran parte delle spese correnti, sia ad Erbil che a Baghdad, viene assorbita dal pagamento dei salari di una pletora di dipendenti pubblici e, nella sola regione curda il bilancio mensile minimo per questo scopo è di un miliardo e mezzo di dollari al mese (ridotto, per i sacrifici necessari a 1,2). A tutto ciò va aggiunto il problema del mantenimento del fronte di guerra lungo circa 4000 chilometri di cui ben 1200 difesi dai peshmerga.

Come se non bastasse, un‘altra delle fonti di spesa particolarmente rilevanti dove l’aiuto internazionale non basta per le reali esigenze è costituito dai rifugiati, alcuni dei quali provenienti dalla Siria insanguinata ma la maggior parte fuggiti dai territori iracheni conquistati dall’Isis o a rischio di diventarlo. Si tratta nel solo Kurdistan di ben più di due milioni di persone su una popolazione locale di circa sei milioni.

Infine, va considerato che il bilancio dello Stato è ancora nella sua quasi totalità basato sulla vendita di gas e petrolio e che il valore internazionale di quest’ultimo è sceso, nel 2015 sul 2014, di circa il 70%.

Se il mondo vuole veramente che l’Iraq sconfigga l’Isis e mantenga (o magari sviluppi) quel po’ di democrazia affacciatasi dopo la caduta di Saddam Hussein e l’emarginazione (parziale) del suo quasi emulo Al Maliki, occorre rendersi conto che l’intervento internazionale con armi, uomini e aiuti economici non basta ancora e ha assoluto bisogno di essere ulteriormente incrementato.

di Dario Rivolta, già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.

Fonte: Notizie Geopolitiche

 

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