05-09-’11 Matteo è al nido

Da Mriitan @MassiRiitano

Oggi è stato il primo giorno del mio Matteo al nido.
Devo dire che si è comportato molto bene, nessun capriccio, nessun pianto, nessuna reazione anomala, la sua tattica abituale, scrutare la situazione, fare l’osservatore per un po’, e poi rilassarsi e iniziare a toccare, sentire, ciò che lo interessa, ciò che attira la sua attenzione, solare e sereno, per sua fortuna un carattere molto diverso dal mio.
Bisogna ammettere che non era facile mantenere il suo aplomb abituale, tra i pianti strazianti di altri bambini che evidentemente ancora non sono entrati nel rito di andare all’asilo, di dover lasciare le braccia sicure dei genitori per entrare in società, in condivisione, di mettersi minuto dopo minuto in discussione, di confrontarsi con gli altri, cosa che per loro è una nuova sensazione, una nuova realtà da affrontare.

Come papà ho voluto essere presente, anzi la mia idea era di esserci per tutta la sua prima settimana (quella che chiamano “inserimento”), ma con molto tatto le educatrici mi hanno fatto capire che gradivano la presenza di un solo genitore, ruolo che senz’altro è più giusto venga ricoperto dalla mamma.
La mamma è sempre la mamma, lo dico come neo-papà, come figlio e come uomo che vive, osserva e partecipa al mondo, alla quotidianità delle cose.
Racconto questo frammento d’intimità, di vita vissuta, non per mettere in comune la mia vita, avevo preso l’impegno su questo blog che non avrei parlato della mia vita se non sporadicamente, questa è certo una di quelle sporadiche volte, ma non fine a se stessa, il focus è un altro.
Mi domando se sia giusto tutto ciò! Che un bambino di appena un anno, e ce ne sono di più piccoli, i nidi cominciano ad accoglierli se non sbaglio già dal terzo mese, debba essere costretto a iniziare a lavorare.

E sì, ho scritto proprio lavorare…
E di cos’altro si sta parlando se non di questo?

Un bambino in così tenera età costretto ad alzarsi presto la mattina, prendere il suo biberon alla velocità della luce, lavato e vestito, pronto a uscire, e già tra le braccia della sua educatrice alle ore 7.30 del mattino! Tutti i giorni per oltre 10 mesi l’anno da ora e per gli anni a venire.

Attenzione, non mi sto lamentando, le scelte fatte non le rinnego, con coerenza e convinzione le sostengo, e sono ben consapevole di essere fortunato, mi ritengo tale per tanti motivi, e so’ che intorno a me ci sono situazioni di ben altro disagio, e difficoltà.

Credo però che in tutto questo processo venga a mancare qualcosa…
Qual è il sostegno che l’organizzazione del nostro Stato prevede per le famiglie?
Per “famiglie”, spero siamo tutti d’accordo alla luce del progresso e dell’emancipazione cui diciamo di essere giunti, non s’intende solo quelle sposate legalmente, non cadiamo nei trabocchetti di taluni politici, o di talune politiche discriminatorie.
Come spesso accade, ai problemi ci si avvicina quando ci cascano addosso, quindi ho fatto una piccola indagine: in tanti Paesi a noi vicini, in particolare in quelli del nord Europa, che ho talvolta citato quali “esempi alti” di civiltà per noi Italiani un po’ furbetti-un po’ egoisti, le politiche verso le famiglie sono degne di questa classificazione.
Una donna che decide consapevolmente di avere un figlio non viene condannata da nessuno, a cominciare dal suo datore di lavoro – pratica che in Italia impazza – e riceve un trattamento da parte dello stato sociale del suo paese di tutto rispetto: servizi dedicati, periodo di astensione dal lavoro molto più lungo e retribuito, il tutto certamente in maniera più civile di quanto avviene qui da noi.
Nessuna donna e di conseguenza famiglia vivrà come una colpa, un disagio, un problema da traguardare la nascita di un figlio e di conseguenza il decorso del rientro a lavoro e dell’ingresso nel mondo della scuola del piccolo.
Tutto è più graduale, più indolore ed assistito dalle strutture dedicate di uno Stato attento ai bisogni della persona.
Non entro nel merito “numerico”, sulla quantità di mesi/anni che una donna può passare a casa retribuita senza alcuna decurtazione, e non faccio confronti di cifre in quanto sarebbe per noi imbarazzante e mortificante, ma tant’è! I dati sono pubblici se avete voglia indagate…
Tutto ciò, le cui cause tutti possiamo più o meno immaginare, ed imputare ad ipotetici responsabili, produce un solo effetto, quello che la popolazione non cresce, che gli Italiani non fanno figli, che il nostro è considerato vox-populi un Paese di vecchi.
Ed altrimenti non potrebbe essere, perché da un lato fare un figlio, con lo stato sociale ma anche con la mentalità socio-politica che abbiamo (prima si tutela chi è sposato!) diventa una problematica di tipo economico, e dall’altro diventa una questione di coscienza.

Chi come me, e mi ritengo fortunato lo ripeto, può permettersi seppur con sacrifici di pagare una retta al nido – a beneficio di chi ignora la problematica, sottolineo che si parla di circa 600€./mensili – risolve bene o male e va avanti.
Chi non può’ pagare evidentemente previene il problema… non fà figli!

Dall’altra parte se si traguarda il problema economico, quello di coscienza è anche più complicato da trattare. In questo caso anche chi non ha problemi a pagare si potrebbe far scoraggiare dai dubbi, dalle remore, dai rimorsi a dover lasciare un bambino già in tenerissima età in mani di sconosciuti, certo educatori, professionisti e professionali, ma altra cosa rispetto alle braccia di mamma e papà!
Questa è un’altra componente fortissima che produce lo stesso effetto, si traduce spesso nello scoraggiare dal fare figli!

La soluzione, per chi è fortunato spesso senza rendersene conto, rimane quella dei nonni, viva i nonni, quando ci sono, quando possono, e quando vogliono ovviamente: non tutti sono fisicamente in grado di gestire un neonato, o semplicemente non sempre ne hanno voglia o le capacità, ma quando ci sono, lo ripeto… viva in nonni!

Mi scuso per lo sfogo e per aver utilizzato quale esempio per trattare un tema sociale così rilevante, miei fatti personali che probabilmente hanno un livello di interesse per la collettività prossimo allo zero, il mio obiettivo è quello di condividere e di rendere consapevoli di una problematica, ormai diffusissima, coloro che non per colpa o per cattiveria, non ne sono al corrente.
E’ una di quelle problematiche che chi non “assaggia” sulla propria pelle probabilmente nemmeno immagina possa esistere e con quale peso, peraltro la realtà sociale e lavorativa cui giorno dopo giorno siamo sempre più inseriti è decisamente divergente rispetto alle esigenze dei nostri figli, se soltanto pensiamo a tutte quelle tipologie di lavori che prevedono, anche per la donna – attore principale per un figlio – il lavoro nei giorni festivi, la notte, o addirittura per svariati giorni consecutivi essere lontano da casa.

Qualcuno mi dirà che sono i problemi di sempre, che non ho scoperto alcuna novità: forse, ma almeno in parte permettetemi di dissentire!
Le generazioni precedenti hanno potuto scegliere almeno un po’, la donna in gran parte delle realtà era la presenza certa in una famiglia con figli, non lavorava all’esterno per fare un lavoro forse più duro e talvolta meno gratificante ma d’importanza vitale dentro le mura di casa, l’uomo invece era delegato al sostentamento della famiglia un po’ come accadeva fin dall’antichità.
Certo l’emancipazione ha cambiato le regole o almeno contribuito, e adesso che facciamo?
Quante famiglie potrebbero oggi permettersi, così come accadeva almeno fino alle generazioni dei nostri genitori, di vivere monoreddito? In una società dove il tetto sotto cui vivere, la propria casa, costa ad una famiglia anche il 60% delle proprie entrate?

Riflettiamoci, almeno per essere quali uomini, sul lavoro-nella politica-nel sociale, portatori di un’esperienza costruttiva che edifichi un mondo più giusto per i nostri figli.

Nanni


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