#1 - Elephant // The White Stripes

Creato il 28 maggio 2011 da Elephant07

Photo by Patrick Pantano


Non so a voi,  ma a me degli elefanti non è mai fregato niente.
Almeno non fino a quel lontano giorno del 2004, quando, dopo infinite suppliche alla mia genitrice, ebbi tra le mani e nelle orecchie questo disco, del quale conoscevo solo la tragicomicamente famosa "Seven Nation Army".
Anzi no.
In realtà ho mentito: quel giorno non cambiò assolutamente nulla, perchè la mia mente rincitrullita non era pronta ad accogliere la grandezza racchiusa in quei cinquanta minuti scarsi di musica. Ci vollero anni di silenzio, ed un pomeriggio qualsiasi, per ritrovare quel disco sul mio scaffale.
Forte di una coscienza musicale nuova e diversa, diedi a me, ed al disco, un secondo tentativo.
Da quel momento in poi qualcosa è cambiato, nel mio modo di intendere la musica ed il mondo; ma non saprei dire precisamente cosa: è qualcosa di sfuggevole, che ti scivola tra le mani ogni volta che stai per afferrarlo.
Così come sfuggevole è diventato l'elefante, che per me non è più un semplice animale, ma un concetto inconcepibile.
Per Gus Van Sant (Elephant, 2003), e per la lingua inglese, l'elefante (o meglio "l'elefante nella stanza") rappresenta un problema così enorme da non poter essere ignorato, ma che tuttavia nessuno vuole affrontare.
L'elefante dei White Stripes analogamente c'è, ma non si vede. Però si sente, si sente eccome: mastodontico e geniale, fatto di rock, blues e spruzzi di noise seminati tra le canzoni; la batteria di Meg è semplice e quadrata, perfetto accompagnamento per la chitarra di Jack, che spara note sporche ed ingrassate di fuzz e blues vecchia maniera, assoli che trasformano il rumore in una musica fuori dalla musica, voci ora straziate e deliranti, ora rassegnate e crudeli, ora docili e soffuse.
Per me "Elephant" è un disco che parla di adolescenza, di inadeguatezza, di addii, di speranze, di amori ingenui e folli, di cose che perderemo raggiungendo l'età adulta, e che forse non ritroveremo mai più.
Potrei spendere mille pagine a parlare di questo disco, delle sensazioni che ogni canzone mi suscita, dei brividi che mi corrono lungo la schiena quando sento quella distorsione ringhiare.
Potrei parlare della delicatezza e della rabbia che scorrono lungo i testi di quest'album, che per me sono vicini a certa letteratura americana dei più alti livelli.
Potrei scegliere di inserire qualche canzone in questo post, indicandovi le mie preferite.
E invece no.
Non voglio condividere con voi qualcosa di così intimo e viscerale.
Credo che il modo migliore di ascoltare questo disco sia viverlo in prima persona, canzone dopo canzone, sorriso dopo sorriso, lacrima dopo lacrima.
Se non lo avete mai ascoltato, fatelo. Subito. ORA. --> /download/
Se lo avete già ascoltato, riascoltatelo. Ora. SUBITO.
E se dovete ringraziare qualcuno, non sono certo io, ma quei due lì. Che anche se si sono sciolti, lasciandoci senza nemmeno un tour d'addio, ci hanno lasciato musica che, per usare un eufemismo, è bella da morire. Che ve lo dico a fare.

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