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Creato il 10 febbraio 2015 da Malvino
È lecito nutrire più di un dubbio sul fatto che il ritratto di Isabella d’Este che si trovava nel caveau di un istituto fiduciario svizzero con sede a Lugano e sequestrato da Carabinieri e Guardia di Finanza nell’ambito di un’indagine coordinata dalla Procura di Pesaro sia attribuibile a Leonardo da Vinci e, anche se di pessima qualità, già le riproduzioni del dipinto che circolano in rete a corredo della notizia dell’operazione bastano a sollevare serie perplessità al riguardo. Ce n’è una, per esempio, che rivela alla luce del flash una superficie incompatibile con la distribuzione del pigmento caratteristica dei dipinti leonardeschi, 

sicché, laddove il quadro sia veramente opera di Leonardo da Vinci, è lecito supporre abbia subìto, nel corso del tempo, interventi tali da guastare senza pietà la qualità dell’opera. In tal senso, potrebbe avere spiegazione un altro elemento che salta subito all’occhio, e cioè l’uniformità di tono dello sfondo, che non è mai presente nei ritratti di Leonardo da Vinci, neanche in quei pochi che hanno sfondo scuro, il cui esame radiografico ha peraltro costantemente rivelato elementi di ambientazione: nel caso di questo ritratto di Isabella d’Este lo sfondo sembra assorbire la figura, che sembra affondare nell’oscurità piuttosto che emergerne. Anche laddove il dipinto avesse subìto tali guasti per interventi posteriori, tuttavia, c’è ben altro a far sollevare dubbi sull’attribuzione. È evidente, infatti, che saremmo dinanzi alla realizzazione dell’opera per la quale Leonardo da Vinci preparò il cartone che oggi è conservato al Louvre, fatto sta che non c’è alcuna fonte che comprovi che il ritratto sia mai stato realizzato. Di nessun significato probante, inoltre, ha il fatto che il supporto abbia rivelato alle analisi fin qui condotte una datazione computabile tra il 1460 e il 1650, perché in quest’arco storico vengono dipinti ritratti di Isabella d’Este a dozzine e dozzine, per suo espresso volere, quasi tutti eseguiti in absentia, giacché non desiderava fossero somiglianti ma idealizzati (per questa ragione ne rifiutò uno eseguito dal Mantegna), per lo più ispirati a ritratti preesistenti, anch’essi eseguiti prendendo come modello altri ritratti, primi fra tutti i medaglioni e il busto di Gian Cristoforo Romano. Sarebbe così strano che il dipinto in questione non sia altro che un ritratto ispirato al cartone di Leonardo da Vinci, che d’altronde nei suoi salienti tratti formali non si discosta troppo dal modo in cui il soggetto era abitualmente riprodotto in quegli anni (di profilo, con capigliara e coroncina, veste ad ampio scollo)? Ma poi, considerando che tra cartone preparatorio e opera definitiva in Leonardo da Vinci vi è di solito strettissima correlazione di linee e proporzioni, l’Isabella d’Este del cartone è così uguale a quella del dipinto? Anche a voler considerare gli elementi che fanno la differenza come aggiunte decise in corso di trasposizione, la linea del profilo, il taglio dell’occhio, il volume delle labbra, l’impianto del collo, non sono del tutto dissimili, al punto da far credere che l’ispirazione al modello leonardesco si sia tutto esaurito nella riproposizione della posa? Il pannato, poi, è leonardesco? E quella mano?

Così, a naso, io sarei propenso ad attribuire il dipinto a un autore di scuola milanese, molto probabilmente a cavallo tra Cinquecento e Seicento, assai posteriore a Leonardo da Vinci. 

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