10 anni fa la morte di Federico Aldrovandi, “vittima di Stato” e dell’eccesso di potere

Creato il 24 settembre 2015 da Stivalepensante @StivalePensante

La sua morte per asfissia a seguito di un prolungato schiacciamento del torace, all’inizio, era stata fatta passare come quella, benchè assurda, del classico sbandato che, reduce da una nottata di eccessi a base di alcool e droga, incappa in un controllo di polizia e perde la vita per un malore. E invece gli eccessi erano stati compiuti proprio dall’equipaggio delle pattuglie Alfa 3 e Alfa 2 che la mattina del 25 settembre di dieci anni fa intervennero in via dell’Ippodromo, a Ferrara.

(radiocittafujiko.it)

10 anni fa la morte di Federico Aldrovandi, “vittima di Stato” e dell’eccesso di potere. Lo studente Federico Aldrovandi aveva poco più di 18 anni quando, reduce da una serata in un locale con alcuni amici, finì nelle mani degli agenti della Questura Enzo Pontani, Luca Pollastri, Paolo Forlani e Monica Segatto mentre se ne stava tornando a casa a piedi. Il suo è il primo triste caso (con sentenza definitiva), di una lunga serie che contempla, tra l’altro, i nomi di Giuseppe Uva e di Stefano Cucchi, cioè di cittadini presunte vittime di un abuso di potere, che lo Stato, attraverso i suoi organismi ha restituito come cadaveri alle famiglie tentando a tutti i costi di negare la realtà. Cittadini, Cucchi e Uva, il cui procedimenti penali sono ancora in corso.

La vicenda giudiziaria di Aldrovandi, invece, è ormai chiusa dal 2012: c’è il timbro della Corte di Cassazione che, confermando le sentenze dei primi due gradi di giudizio (tra il 2009 e il 2011), ha stabilito la condanna dei quattro poliziotti, per omicidio colposo per eccesso nell’utilizzo della forza, a tre anni e mezzo di reclusione. In pratica, però, la pena è stata ridotta a soli sei mesi, da scontare in carcere, perchè l’indulto ha spazzato via il resto di quanto comminato. Segatto, Pontani e Pollastri sono tornati a indossare la divisa nel gennaio del 2014, ma sono stati destinati a ricoprire ruoli amministrativi. Forlani, invece, sta seguendo una serie di cure. La Corte dei Conti ha poi individuato un danno erariale pari quasi a due milioni di euro che sono stati riconosciuti dal ministero dell’Interno alla famiglia a titolo di risarcimento del danno. Ma, al di là dei depistaggi che sono stati messi in piedi da uomini delle forze dell’ordine (c’è stato anche un processo bis), al punto da disorientare la magistratura e la stampa locale, c’è stata la difficilissima battaglia che la famiglia di Federico ha sostenuto con ostinazione e orgoglio nella speranza (andata alla fine a segno) di far conoscere all’opinione pubblica come si erano svolti effettivamente i fatti.

Una battaglia che una madre e un padre, trafitti dal dolore, hanno portato avanti senza mai mollare per dimostrare che il loro ragazzo non era morto per aver assunto troppa droga o aver abusato di alcool ma per quei colpi in serie subiti a calci, pugni e manganellate (due si sono spezzati durante la colluttazione con gli agenti): alla fine i medici legali hanno dovuto contare ben 54 tra lesioni ed ecchimosi sul corpo dilaniato. Corpo che Patrizia Moretti, la mamma che ha saputo smuovere le acque aprendo un blog di successo nel gennaio del 2006, non ha mai avuto paura di esibire in foto ogni qual volta se ne presentasse l’occasione. Come successe, ad esempio, nel 2013 quando accusata di sciacallaggio da esponenti di un sindacato di polizia (il Coisp) a seguito delle condanne degli imputati con un presidio di solidarietà sotto le finestre del suo ufficio al Municipio, lei replicò srotolando lo striscione col volto tumefatto del figlio con i suoi capelli mossi circondati da un’aureola di sangue.

Federico Aldrovandi era un ragazzo come tanti, pieno di vita e di aspettative. E non era un tossico, non era una testa calda, non era uno sbandato, come qualcuno voleva far credere e come altri hanno continuato a definire nel tempo. I genitori, grazie anche alla tenacia e alla bravura dei proprio avvocati, lo hanno gridato a tutto il mondo, lottando come forsennati affinchè la vicenda non venisse insabbiata e la verità uscisse fuori. Così è stato: per la Cassazione, Federico fu sottoposto a un pestaggio che non gli lasciò scampo da parte di poliziotti che il procuratore generale, in sede di requisitoria, definì “schegge impazzite dello Stato”. Agenti che, nell’avventarsi contro un ragazzo solo, dimostrarono “un grave deficit di diligenza e di regole precauzionali”, andando ben oltre i limiti. Agenti le cui condotte incaute e lesive “sono state individuate da un lato nella serie di colpi sferrati contro il giovane, dall’altro nelle modalità di immobilizzazione del ragazzo, accompagnate dall’incongrua protratta pressione esercitata sul tronco”. Per la Suprema Corte, Federico è stato “lasciato agonizzare ammanettato per strada”, quando, al contrario, per far fronte “allo stato di agitazione in cui versava” sarebbe stato sufficiente “un intervento di tipo dialogico e contenitivo”. (AGI)