Lo chiamavano Jeeg Robot
di Gabriele Mainetti
con Claudio Santamaria, Luca Marinelli, Elena Pastorelli
Italia, 2015
genere, fantascienza, avventura, azione
durata,
Trovare qualcosa di positivo nella crisi che attanaglia il paese può
sembrare irriguardoso nei confronti delle persone che ne stanno pagano
il prezzo più alto. E' pur vero però che la storia ci ha insegnato di
come il progresso e i miglioramento della specie siano stati spesso il
frutto di situazioni traumatiche e rivoluzionarie, capaci anche in
maniera violenta di mettere in discussione le regole dello
status quo
che le avevano precedute. Nel suo piccolo il cinema non è da meno e
anche lui, alla pari degli altri, reagisce come può alla mancanza di
fiducia nelle sorti del paese. Guido Mainetti per esempio lo fa da par
suo affidandosi ad un
pool di semi esordienti che comprende tra
gli altri Menotti e Simone Guaglione, sceneggiatori che insieme a lui
hanno dato vita alla storia di Enzo Ceccotti (un ottimo Claudio
Santamaria), pregiudicato di borgata che il contatto con una sostanza
misteriosa trasforma in una specie di super eroe. Trattandosi di un film
girato in Italia e ambientato per lo più nell'area di Tor Bella Monaca,
borgata romana al centro delle cronache per episodi collegati
all'instabilità del sua mescolanza sociale, il progetto di "Lo
chiamavano Jeeg Robot" risultava fin dall'inizio tanto originale quanto
coraggioso. A renderlo tale era innanzitutto l'idiosincrasia dei
produttori italiani, abituati a considerare la fantascienza come un
brand
ad uso esclusivo del cinema americano e quindi per antonomasia restii a
investire i propri soldi in film destinati diventare, secondo il loro
punto di vista dei parenti poveri dei grandi
blockbuster
americani. E poi, circoscrivendo il campo alla genesi del film in
questione, la decisione di Mainetti di confrontarsi con i colleghi
americani nel rispetto dei codici e degli stilemi tipici del genere, ma
senza la deferenza che ci si sarebbe potuto aspettare da un esordiente e
anzi argomentando da par suo, sulla base di una cultura che metteva a
sistema l'immaginario
pop sul tipo di quello cosiddetto
low brow
rintracciabile in alcuni film di recente produzione ("La solita
commedia - Inferno" e "Italiano medio), con specificità linguistiche
(l'uso del dialetto romano) e di costume, profondamente connaturate con
la specificità del territorio in cui la storia si svolge.
Cosi
facendo "Lo chiamavo Jeeg Robot" lavora allo stesso tempo in due
direzioni; da una parte si preoccupa di mantenere fede ai capisaldi del
genere di riferimento, costruendo la mitologia del suo eroe attraverso
le fasi classiche che contraddistinguono la scoperta e la presa di
coscienza dei super poteri, incentrate per la maggior parte sulle
difficoltà del protagonista di adattarsi al cambiamenti e alle
responsabilità che ne derivano; dall'altra, ponendosi in antitesi nei
confronti delle certezze tipiche dei prodotti americani, traditi, per
cosi dire, dal campionario di personaggi e di situazioni che fanno da
contraltare al perfezionismo espressivo e iconofrafico che solitamente
si accompagna a questo tipo di storie. Una scelta secondo noi vincente,
perché è difficile rimanere insensibili sotto il profilo del
divertimento e della partecipazione alle continue commistioni di generi,
culture e specialità artistiche che a partire dal recupero del
repertorio musicale anni ottanta (su tutti la gli hit di Anna Oxa
reinterpretati dal personaggio di Luca Marinelli) e di una
star
della canzone popolare ed eclettica come quella di Renato Zero, a
quello prettamente visivo, monopolizzato dai riferimenti al manga
giapponese che da il titolo al film;
per non parlare dei rimandi a quel
tipo di commedia italiana che amava raccontarsi attraverso le maschere
di un'umanità mostruosa e ferale , qui capitanata da cattivo (Lo
zingaro) interpretato dal nuovo
zelig del nostro cinema Luca Marinelli, impegnato in una versione
trash del Brian Ferry dei
Roxy Music, "Lo
chiamavano Jeeg Robot" può contare anche sullo stupore sensuale e
smarrito di Ilenia Pastorelli (un altro volto nuovo) nella parte della
ragazza
interrotta (Alessia) di cui Enzo si innamora e che lo
aiuterà a trovare la sua strada. Blindato da una sceneggiatura pressoché
perfetta "Jeeg Robot" è talmente diverso da quello che il cinema ci ha
abituato a vedere che solo per quello andrebbe premiato dalla scelta del
pubblico di andarlo a vedere.
(pubblicata su ondacinema.it)