Freeheld
di Peter Sollet
con Julianne Moore, Helen Page, Michael Shannon, Steve Carell
Usa, 2015
genere, drammatico
durata, 103'
Non è la prima volta e temiamo non sarà l'ultima che accadrà di
ragionare sull'opportunità di presentare cinebiografie come quelle che
arrivano sui nostri schermi. Il motivo del ragionamento è conseguente
all'incapacità dei film in questione di soddisfare i requisiti di
approfondimento e di rigore che dovrebbero costituire il presupposto
indispensabile per legittimarne la realizzazione e che, al contrario
(l'ultimo dei quali è rappresentato da"The Program" il film di Stephen
Frears incentrato sulla figura di Lance Armstrong) si rivelano incapaci
di giustificarla. Carenze che sono state impietosamente evidenziate
dalla qualità di documentari come "Citizen Four" e "Going Clear:
Scientology e le prigioni della fede" che dei suddetti
biopic
costituiscono l'alter ego capace di esaltare le istanze di realtà
tipiche del formato all'interno di struttura drammaturgia che riesce ad
essere appassionante e tesa come quella dei
thriller e dei
crime movie.
Così, in'attesa di saperne di più dal confronto che tra breve metterà
uno di fronte all'altro "Jobs", il nuovo film di Danny Boyle e "Steve
Jobs: The Man in the Machine" ultima fatica del documentarista Alex
Gibney, la festa del cinema di Roma ci offre l'opportunità di continuare
a trattare la questione grazie a "Freeheld" di Peter Sollet,
lungometraggio che ricostruisce la vicenda di Laurel Hester e della
compagna Stadie Andree, protagoniste nei primi anni del nuovo secolo di
una lungo contenzioso contro la decisione della contea di Ocean County
in New Jersey di negare alla Hester - malata terminale e prossima alla
morte - il diritto di lasciare la pensione alla propria
partner.
La
disputa, che assunse fin da subito la fisionomia di una lotta per la
parità dei diritti civili e del matrimonio e che ricevette il sostegno
di vari movimenti della comunità
LGBT riscosse l
'interesse
del cinema che del caso si occupò attraverso la produzione di un
cortometraggio che fu capace di vincere l'Oscar della sua categoria.
Ora, considerato che il film di Sollet oltre a essere un
biopic è anche la riproposizione in chiave
fiction del
documentario di cui abbiamo appena parlato, non si può fare a meno di
chiedersi, prima di entrare nel merito degli esiti raggiunti, se
davvero fosse necessaria un'operazione di questo tipo. Detto che il
"Freeheld" presentato alla festa del cinema di Roma non è una copia
allungata del suo prototipo ma prende in considerazione anche gli anni
più felici della coppia, quelli che precedettero la scoperta della
malattia e dell'impegno militante, la discriminante favorevole potrebbe
essere fornita dall'opportunità di sfruttare la popolarità degli
interpreti per allargare la visibilità della storia di Laurel (Julianne Moore) e Stadie (Helen Page). Un scelta che permette a chi scrive di
agganciarsi all'analisi della materia filmica, condizionata non poco
negli aspetti formali dalle implicazioni di un contenuto che vuole
essere particolare e insieme universale; manifesto esistenziale di una
comunità che nell'affermare la propria identità si impegna a mostrarne
la continuità con i valori della quotidiana convivenza. Sul piano
filmico questa volontà trova la sua coerenza nelle scelta delle attrici
che impersonano le due donne, con la presenza della Page divenuta dopo
il suo
coming out una delle esponenti più note e considerate
del movimento GLBT, bilanciata da quella di Julian Moore che la recente
vittoria dell'Oscar ha proiettato in una dimensione di successo
generalizzato e privo di etichette. E poi in una regia, che non sappiamo
quanto consapevolmente, tende a tipizzare situazioni e modi di essere,
al fine di eliminare tutte quegli aspetti che potrebbero circoscrivere
la vicenda e quindi spiegarla in ragione di condizioni riferibili
unicamente al suo contesto geografico e culturale e non, come invece fu,
alla reazione di un bisogno che appartiene all'essenza stessa della
condizione umana.
Parimenti al film della Tognazzi (Io e lei), anche
quello di Sollet nel ricercare una trasversalità che gli consenta di
esprimersi senza urtare la suscettibilità dei benpensanti è costretto a
lasciare fuori campo gli aspetti più sconvenienti e meno rappresentabili
della tenzone, adeguandosi a una omologazione che è quella della
maggior parte dei
biopic attualmente in circolazione. Così a mancare e' soprattutto quel
surplus d'energia
e di determinazione che appartenne alla realtà delle persone coinvolte
nella vicenda e che invece sembra mancare a personaggi del film. Senza
mai prevedere una parola fuori posto o una reazione fuori dalle righe, e
con i cattivi che così non sono, "Freeheld" risulta troppo ecumenico
per riuscire ad appassionare come invece dovrebbe.
(pubblicata su ondacinema.it)