Dopo aver superato senza difficoltà, pur con qualche pausa agonistica di troppo, il facile ottavo con gli Stati Uniti (7 a 1), per gli azzurri iniziò un autentico percorso di guerra. Da rilevare in proposito che quello fu, probabilmente, uno dei Mondiali dai più elevati contenuti tecnici di sempre. Detto di Italia e Austria, c'erano Cecoslovacchia, Spagna e Ungheria ricche di stelle e su elevati standard di competitività, una Germania emergente, un'Olanda che veniva descritta come compagine dalle notevoli potenzialità e che invece fu subito fatta fuori dalla Svizzera frizzantina di Kielholz e Trello Abegglen. Il tabellone non fece sconti ai nostri: nei quarti la Spagna, in semifinale il Wunderteam.LA DOPPIA SFIDA CON LE FURIE ROSSE - Proprio a queste sfide sono legati i dubbi e le contestazioni che, secondo alcuni, renderebbero "imbarazzante" il nostro primo alloro. Come detto, bisogna pesare col bilancino resoconti italiani e stranieri del tempo, sfrondarli tutti, non solo i nostri, dagli eccessi patriottici che spesso fanno velo all'obiettività, ieri come oggi. Nelle mie "riletture", più che sui commenti tecnici ho concentrato l'attenzione sulle cronache dettagliate, azione per azione, delle varie gare. Emerge che, nel doppio confronto con gli iberici, i nostri nel complesso meritarono il passaggio del turno: più ampie fasi di supremazia, maggiore pressione esercitata, più occasioni da rete, col leggendario portiere Zamora protagonista assoluto del primo match.
Certo, per le Furie Rosse non mancarono le recriminazioni, riferite in particolare al gol del pareggio di Ferrari che fissò l'1 a 1 finale della prima gara (probabile ostruzione di Schiavio nei confronti dello stesso Zamora) e a una rete annullata a Campanal per fuorigioco nel secondo incontro (terminato 1 a 0 grazie a un acuto di Meazza), rete a proposito della quale, non essendovi immagini, nessuno è assolutamente in grado di dire se l'offside vi fosse realmente o no; lamentele spagnole anche per la rudezza di certi interventi dei nostri, ma la sensazione è che neppure loro fossero andati troppo per il sottile: val la pena rimarcare che a riportare le peggiori conseguenze, in questa accesissima disfida, fu un nostro atleta, il mediano Pizziolo: ginocchio devastato, Mondiale finito e carriera compromessa... E si può aggiungere che, a proposito di episodi discussi, le cronache riportarono anche un mani in area iberica nella prima gara, non sanzionato dall'arbitro, poi "scomparso" da tutte le rievocazioni di questi ultimi anni.
CON L'AUSTRIA VITTORIA LEGITTIMA - Polemiche roventi anche sulla semifinale di San Siro: il duello più atteso, quello contro l'Austria. Una partita leggendaria sulla quale molte dicerie debbono essere ridimensionate. Gli inviati dell'epoca furono piuttosto unanimi nella valutazione complessiva della gara: il Wundeteam fu all'altezza delle sue migliori espressioni tecniche, ma i padroni di casa meritarono in tutto e per tutto il successo: più brillanti e continui in attacco, capaci di creare palle gol più numerose e più qualitativamente "pesanti" rispetto a quelle degli avversari, impeccabili nella gestione difensiva dell'esiguo vantaggio, grazie anche ad alcune prodezze di Combi; e soprattutto una squadra, la nostra, fisicamente più tonica, capace di reggere su buoni ritmi fino alla fine nonostante il calendario non le avesse concesso tregua (i due confronti con la Spagna e quello con l'Austria vennero disputati nel giro di quattro giorni, dal 31 maggio al 3 giugno!). Il match terminò 1 a 0, ancora oggi in molti considerano un dato acquisito l'irregolarità del punto decisivo marcato da Guaita (carica di Meazza sul portiere Platzer?).IL GOL CONTESTATO - In realtà cronache, fotografie e rare sequenze video raccontano una storia interpretabile, legittimamente, in maniera del tutto opposta: sul tiro di Schiavio Platzer tentò la parata ma non trattenne, il nostro "Balilla" si avventò fulmineo sul pallone ma il guardiano dei bianchi, che in quel momento si stava rialzando per tentare di recuperare la sfera, lo ostacolò facendolo cadere: la palla schizzò verso la linea di porta dove accorse Guaita che gli assestò il tocco decisivo. Insomma, azione senz'altro movimentata e controversa, ma considerarla a prescindere come "viziata" è quantomeno superficiale.
Sono contento, a tal proposito, che sulla mia stessa lunghezza d'onda sia sintonizzato il grandissimo Carlo F. Chiesa, firma prestigiosa del Guerin Sportivo, uno dei più preparati giornalisti di calcio della Penisola: nel capitolo dedicato ai Mondiali '34 della sua "Storia del calcio italiano" pubblicata mensilmente dal Guerino, l'anno scorso così scrisse: "Soprattutto su questo discusso gol, che decise la partita... si sarebbero successivamente incentrate le polemiche sui presunti favoritismi goduti dall'Italia per essere il Paese organizzatore. Polemiche nel corso del tempo in gran parte alimentate da storici improvvisati, probabilmente più fuorviati dall'intenzione di coinvolgere nell'accusa il regime di Mussolini che realmente convinti da documentazioni certe".LA FINALE - L'atto conclusivo si svolse a Roma, allo stadio del Partito Nazionale Fascista, progenitore dell'attuale Flaminio. Si giocò davanti a circa 50mila spettatori: grandioso spettacolo di folla, per quei tempi, ma impianto non completamente esaurito (qualche piccolo vuoto qua e là, come testimoniato da diverse foto). Quella fra gli italiani e la Cecoslovacchia fu una sfida tesa, tirata, emozionante. La squadra di casa attaccò in prevalenza mostrando però scarsa precisione in fase conclusiva, e Planicka, un altro dei portieroni dell'epoca, dovette comunque prodursi in più di una prodezza; i boemi irretirono i nostri con il loro gioco elaboratissimo, ma si resero anch'essi in più di una circostanza pericolosi dalle parti di Combi, che venne infine trafitto al 25' della ripresa da un tiro angolatissimo e maligno di Puc.
Gli azzurri rischiarono la capitolazione, lo stesso Combi riscattò l'incertezza mostrata in occasione del gol salvando sullo stesso Puc, poi Sobotka colpì un palo. Ma giunse l'agognata, e veemente, reazione dei nostri: Orsi, il miglior uomo in campo secondo il giudizio di chi c'era, diede ai suoi il pareggio a nove minuti dal termine con una imparabile fiondata dalla lunga distanza, e all'inizio dei supplementari Schiavio, servito da Guaita, tirò con tutte le residue forze che aveva in corpo e mandò il pallone prima sul palo e poi in rete. Era fatta: l'Italia del calcio dava inizio al suo mito.IL CORAGGIO DI POZZO - Trionfò il coraggio di Pozzo, che rischiò grosso con alcune scelte ardite: in primis il ripescaggio di Ferraris IV, di cui si è fatto cenno: il giocatore risultò splendido protagonista, ergendosi a dominatore della mediana soprattutto nel match di spareggio con gli spagnoli; poi il rilancio di Bertolini, appannato nel campionato di Serie A (tanto che sul "Calcio illustrato" Renzo De Vecchi, alla vigilia della Coppa del Mondo, propose di schierare in sua vece Castellazzi nella formazione titolare) e tornato rapidamente su livelli di rendimento eccellenti; il ricorso a Combi che era a un passo dal ritiro e che invece disseminò il suo Mondiale di prodigi fra i pali, in particolare nelle ultime due gare; e la fiducia ad Allemandi, difensore impeccabile, gladiatorio ma pulito nei suoi interventi, preciso nei rilanci (Gianni Brera aveva però di lui un'opinione diversa e non certo positiva: un giorno affermò di avergli visto fare in campo "cose oscene"). Il C.U. si dimostrò abile stratega: la mossa dello scambio di posizioni fra Guaita e Schiavio fu adottata più volte durante il torneo e diede i suoi frutti migliori nella finalissima, rivelandosi decisiva per la rimonta azzurra.MEAZZA E GLI ALTRI - Fu la Coppa del Mondo di uno strepitoso Meazza, che si rivelò in tutto e per tutto all'altezza del complicato, delicatissimo ruolo di mezzala destra. Dovette fare tutto: attaccare, ispirare, rifinire, ma anche darsi da fare in interdizione: un'universalità di gioco che gli costò un poco, in termini di lucidità sotto porta, ma che fu fondamentale per gli equilibri della squadra. L'altra mezzala, Ferrari, mostrò al consueto sagacia tattica, eleganza e tempra, orchestrando da par suo le manovre di un quintetto d'attacco in cui brillò soprattutto il satanasso Guaita, letteralmente indemoniato.
Orsi, reduce da un grave infortunio in stagione con la Juve, partì lento ma finì alla grande, ricamando football in punta di fioretto e giocando una finale spettacolosa, e Schiavio, un veterano, mostrò sì un certo logorio, ma ciò non gli impedì di battersi con generosità, cercando ripetutamente la via della rete e realizzandone comunque quattro, tre al debutto con gli States e poi la più importante, quella a Planicka al 95' della finale. Combi, Monzeglio, Allemandi; Ferraris IV, Monti, Bertolini, Guaita, Meazza, Schiavio, Ferrari, Orsi. E un contributo lo diedero anche Rosetta, Pizziolo, Castellazzi, Guarisi, Demaria, Borel II. Furono questi, gli eroi di Roma '34: la loro impresa fece diventare adulto il calcio italiano, lo fece entrare nel mito. Ricordiamoli, ricordateli come meritano. (2 - Fine).