1000 MOSTRE: GUY HARLOFF, Galleria Carini, Milano, 1990

Creato il 08 novembre 2011 da Milanoartexpo @MilanoArteExpo

Milano Arte Expo procede nel proprio intento di ri-proporre e re-inaugurare mostre che possano consentire ai lettori di conoscere o ricordare artisti che, oltre a costituire un prezioso patrimonio universalmente riconosciuto e storicizzato della Storia dell’Arte del ’900, hanno avuto il pregio di essere attestazione di genio e talento. La scelta è caduta questa volta su Guy Harloff, personaggio eclettico, dalla smisurata cultura, universale e cosmopolita. Tra le ultime mostre che lo riguardano ricordiamo quella inaugurata a Milano nel settembre 2008 dall’Associazione Culturale Renzo Cortina  e quella svoltasi nel marzo 2009 presso la Galleria Berman di Torino, curata da Nicoletta Colombo, di cui troverete la presentazione a seguire, oltre ad un saggio critico di Cristina Palmieri e all’aggiornamento relativo alle mostre.

Il catalogo che  invece pubblichiamo per intero è stato scelto perché rappresenta la testimonianza dell’ultima esposizione inauguratasi a Milano, nel 1990, alla presenza dell’artista. Pochi mesi dopo, infatti, Harloff scomparve prematuramente nella sua casa di Galliate. La mostra è stata fortemente voluta dalla “Galleria Carini”, ora “Studio d’Arte Nicoletta Colombo”, che sin dagli anni ’70 fu una delle più attente nel promuovere il suo particolarissimo lavoro.

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GUY   HARLOFF - testo di Cristina Palmieri

Guy Harloff, about life, 1980

Vi è stata una stagione, nell’ambito della storia dell’arte, ricca di fermenti, di proposte e di ricerche, che vide affacciarsi alla ribalta la prima generazione di artisti maturata nel dopoguerra. Artisti che ebbero la fortuna di vivere un periodo in cui numerosi erano i punti di riferimento e di incontro dove potersi confrontare e far circolare le idee. Magari accomunati anche dalla difficoltà, da una vita talvolta non semplice ed agiata, ma certamente uniti dall’entusiasmo e dalla fede nell’arte. Amicizie e sodalizi nascevano e si rafforzavano spesso a tarda notte, nelle taverne o nei bar davanti ad un bicchiere di vino o di  whisky , oppure in qualche “casa ospitale”.

Accanto a loro, e con loro,  vi erano galleristi e critici che sapevano creare aggregazione, che aiutavano e spronavano questi giovani a credere in se stessi e a poter vivere del proprio “lavoro”. Insieme hanno attraversato, e contribuito a scrivere, pagine fondamentali della storia dell’arte contemporanea.

Guy Harloff è uno di questi. Personaggio non comune, eclettico e poliedrico, si impose sin dalla meta degli anni  ’50 all’attenzione della critica e delle maggiori gallerie, europee e d’oltreoceano.

Di lui hanno scritto autori importanti, come Patrick Waldberg, uno degli storici padri del Surrealismo, che nel 1968 gli dedicò una monografia edita da Mazzotta.

Harloff fu uomo d’arte, di vita, di viaggi. Una persona singolare che, nei racconti di chi lo ha conosciuto e frequentato, sapeva affascinare con la propria immensa cultura, con la vivace intelligenza che brillava nel guizzo vivo dei suoi profondi occhi azzurri.

Nato a Parigi da padre olandese di origine russa e da madre svizzera, trascorse l’infanzia in Ungheria, sino all’adolescenza. A quindici anni arrivò a Roma, in cerca di fortuna nel cinema, ambiente che amò a lungo.

Cittadino del mondo, “turista del vivere” (come amava definirsi), visse in Marocco, in Oriente, in Persia.

Guy Harloff, vision blanc, 1980

Trascorse lunghi periodi a Teheran, Parigi, Londra, New York, Milano, Venezia.

Fu artista – come ebbe a scrivere Waldberg – nel significato più profondo del termine, laddove l’arte si coniuga con la libertà, la ricerca, la cultura, la curiosità, per il mondo, per l’uomo, per la conoscenza.

Ed infatti Harloff, nelle proprie opere, racconta il volto segreto e misterioso delle cose, quello meno evidente, ma profondo ed eterno. Affascinato dai simboli, dalle forme più antiche, “nate – come dichiarò egli stesso – agli albori del mondo”, ripropone, nelle sue creazioni, elementi provenienti da molteplici culture, che riordina e reinventa con un proprio ritmo interiore e fantastico.

Con un’abilità quasi da miniaturista (non ama infatti le grandi dimensioni) compone i propri quadri quasi fossero arabeschi o vetrate gotiche, rari gioielli o preziosi tappeti ed antichi tessuti. I suoi disegni sono piccole poesie che ci parlano del mistero della vita. Oggetti, forme, idee che si sommano e creano un’immagine preziosa che diviene un racconto, una chiave da decifrare, un enigma millenario da interpretare.

Da quasi tutte queste opere fisso ci guarda il suo occhio, fotografato o disegnato, replicato all’infinito, denso di impenetrabilità ma ricco di luce, di vita, finestra sul mondo ansiosa di comprendere il quotidiano rivelarsi dell’universo.

Affascinato dal misticismo, dalla cultura orientale (che vive e sperimenta), dalla ricerca junghiana (i suoi disegni ricordano i mandala), Guy Harloff cerca di spingersi “al di là della pittura”. E’ un infaticabile ed abile artigiano, capace di lavorare con la carta, i colori, le gomme arabiche, le cere, miscelandole sapientemente come un antico alchimista. Ma è anche, e soprattutto, un fine pensatore, un poeta del linguaggio simbolico, che con amore diaristico ci consegna la propria avventura esistenziale, inseguendo forme che nascono l’una dall’altra, l’una nell’altra, segni che si addensano fitti sul foglio (le sue opere sono tutte esclusivamente su carta) e “crescono sulla superficie” come un racconto interiore che si schiude.

Guy Harloff, vision, ottobre 1980, cm. 13x25

Ne nascono composizioni minuziose, in cui nulla sembra più frutto del caso, in cui simboli, segni e parole cercano di svelarci il senso che sfugge.

Troviamo tutte le forme di base (ruota, triangolo, cono, spirale, piramide, cerchio) in rapporto fra loro; un rapporto mai arbitrario, ma denso di significati profondi. Tutto richiama la vita, i suoi quattro elementi essenziali -  terra, acqua, aria e fuoco – connessi tra loro da un fitto ed arcano legame che è quanto dobbiamo penetrare, nei suoi misconosciuti e sublimi volti.

L’arte di questo “poeta” ci consegna così alla baudleriana “magia suggestiva”, in cui nessun senso e nessuna corrispondenza sono immediatamente percepibili. Tutto va ascoltato, penetrato, indagato, a volte semplicemente intuito, come i suoi minuziosi disegni, così precisi nella ricerca e nell’esecuzione, raffinati nel colore, da non poter essere eseguiti – come accennato – su grandi superfici.

Harloff amò moltissimo Venezia, tanto da viverci, per diverso tempo, secondo il suo stile da bohemien cosmopolita. Su un barcone, che era il “suo riflesso microcosmo”, ascoltò i racconti di questa città, intrisa di storia e di culture. Tanto che dichiarò: “ Se trovate difficoltà ad entrare nella mia pittura, guardate le facciate dei palazzi veneziani. Sono pieni di stemmi, di bassorilievi in pietra bianca. C’è il sole, il cuore, la scala, il pesce, la chiave, eccetera. Ho cercato di capire cosa significano e da dove provengono. Sono forme antichissime, nate agli albori del mondo. Sono simboli. Io ve li propongo tramite il mio lavoro. Sono modernissimi, utilissimi, essenziali. Ci sono necessari.”

Ed ecco perciò che a Venezia consegniamo questa mostra, perché questa città, che è di tutti e di nessuno, ma certamente di chi la ama e l’ha amata nel profondo, si ricordi di un artista che le ha dedicato parte dei suoi anni migliori. CRISTINA PALMIERI

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GUY HARLOFF, Galleria Carini, Milano, 1990

IL PIANETA HARLOFF
Difficile accostare nel senso di comprensione, il pianeta-Harloff.
Artista-Uomo che racchiude in sé il suo ed il nostro mondo (anche
se non sempre noi ne siamo consapevoli) di opposti: l’antico e il moderno,
la tradizione e la scoperta del nuovo, il fermarsi per un po’
e poi l’andare lontano, il viaggiare e il rinchiudersi in uno studio ad
elaborare la propria opera. E, come ci viene insegnato dalle filosofie
orientali, il passo che si compie sempre nella realtà, nel mondo, nelle
cose e negli uomini, tra gli opposti, è quello che porta alla vita, al
cammino verso la perfezione, verso il domani. Questo Harloff incarna
in sé, nel suo procedere verso la scoperta del Sé, lungo il cammino
fatto di opposti attraversati disinvoltamente, senza problemi:
l’azione e la meditazione, il lavoro elaborato con fatica nella solitudine
del proprio studio-antro e la cordiale bevuta pomeridiana con
gli amici, la meditata stasi dei mesi trascorsi nel nebbioso e solitario
attracco chioggiotto a bordo della “sua” nave, microcosmo privato
fatto di musica e libri, ed il successivo viaggio “on the road”, senza
soste e senza mete, con un camper Volkswagen, attraverso quasi tutti
gli Stati Uniti.

GUY HARLOFF, Galleria Carini, Milano, 1990 - tav 1, LE MAT BATEAU, 1971, CM. 69X46,5

Viaggi e soste di un artista che s’è concesso pause di anni durante
i quali ha sperimentato altre espressioni (la musica, la letteratura, il
cinema), viaggi e soste della sua mente che esplora nel passato l’opera
degli alchimisti, della tradizione taoista e sufista, della qabala, della
cultura animistica orientale, e poi blocca tutto in uno spaccato personalizzato;
il proprio lavoro, l’Opera, quella che manifesta la ricerca
di perfezione, la sua panoramica mistica e filosofica sulla realtà,
che si esprime attraverso un simbologia che Harloff attinge dallo studio
della tradizione esoterica e dall’inconscio collettivo emergente nel suo
essere come le onde del mare, al mattino dopo la burrasca, nell’atto
in cui restituiscono alla riva i segnali, i resti di ciò che s’era perduto
da anni nel profondo indistinto.

GUY HARLOFF, Galleria Carini, Milano, 1990 - TAV 2, peindre l'intérieur du livre, 1969, cm. 60x48

Harloff non è un bohemien e neppure un deraciné: è un personaggio
che bisogna conoscere per capire.
Le sue parole rispecchiano pienamente se stesso, sono lui, non servono
mai a mascherare, anzi, lo rivelano; per lui la parola è ontologica,
è il Verbo.
Harloff non si identifica in nessuna terra d’origine o di adozione;
parla correntemente l’italiano, l’inglese, il francese, il tedesco, l’arabo,
comprende persine perfettamente il dialetto milanese. È cittadino
del mondo, o meglio, collocato in epoca avveniristica, potrebbe
essere cittadino dell’universo.
È un artista colto, di una cultura interiore e interiorizzata, è un “mistico
secolarizzato” che cammina sulla via del raggiungimento della
propria compiutezza finale, via lastricata dalle pietre del suo lavoro,
della pittura, ognuna con il suo apporto in più. “Il lavoro è un difficile
cammino verso la conoscenza di sé, una lenta maturazione interiore.
Work is the Great Power.” È solito dire. Il lavoro è la Grande
Forza: la forza dell’uomo di tutti i tempi.
Buon lavoro, Harloff.

Nicoletta Colombo
marzo 1990

GUY HARLOFF, Galleria Carini, Milano, 1990 - tav 3, le divenir, 1972, cm. 72x38

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Ritratto d’un “turista del vivere”
L’angelo Harloff
di Giovanni Arpino
È ripartito per New York, dopo una fulminea presenza milanese, Guy
Harloff. Stavolta non aveva portato con sé la cagnetta vecchissima
che quando arriva all’hotel “Milan” occupa un letto, cercando di
allungarsi il più possibile. È ripartito, Harloff, dopo aver fatto vedere
agli amici il suo primo filmino, nove minuti fantastici – e girati
con estrema povertà ma anche secchezza di mezzi – che ricordano il
Bunuel degli esordi.
Parigino, cosmopolita, di radice olandese ma vaga (non ama affatto
quei luoghi che ritiene incattiviti dai costumi odierni, si parli di Amsterdam
o di un villaggio tra i tulipani), viaggiatore inesausto ma anche
randagio stufo di spostarsi, newyorchese d’adozione e di scelta,
anche se di New York apprezza solo lo spazio che circonda l’hotel
“Chelsea”, il pittore Harloff è un colosso tenerissimo, un angelo di
due metri e passa, un esperto di alchimie che ha letto tutto, visto tutto,
conosciuto tutto. Dietro di lui, magnifici misteri di famiglia e una
piramide di lavoro. Non si definisce nemmeno pittore. Si nutre di
immagini, vede lo stesso film dieci volte, recita “in contemporanea”
i dialoghi di Bogart o McQueen, ha avuto un bar ad Algeri, un barcone
ai Sabbioni veneziani, predilige la cucina toscana, sa calarsi tra
le gomme arabiche necessarie per i suoi quadri e tra le terre da cuocere
per mattonelle senesi. Quando ride è un tuono. Scrive frasi brevissime
nei suoi quadri, con autentici sospiri, ovverossia degli “ahhh”
che si chiudono con punti esclamativi. Uno dei suoi storici, il critico
Patrick Waldberg, che curò una monografia per Mazzetta nel ’68,
ebbe paura neh”incontrarlo. Un’altra paura, da critico, gli venne dopo,
perché se non ha forza pensante e di sogno non dovrebbe nemmeno
vedere i disegni di Harloff, costruiti secondo un’arabescatura
misteriosa e coltissima, gremiti di occhi e di segnali e rifrazioni entro
ogni segnale, formativi un “discorso criptico” e gravidi di un esoterismo
che si può amare o no, accettare o no, ma che risulta indimenticabile.
È ripartito da Milano con un cappellaccio nero, una grande borsa,
la classica bottiglia di bourbon in una tasca, il corpo che si muove
con voluttà e fatica. Mi ha promesso la solita aragosta cucinata da lui
al “Chelsea” di New York. Dovrei andarci, prima di tirare le cuoia.
Ma un po’ temo per questo invito: forse precipiterei in un “asilo politico”
volontario ed increscioso. Ho visto i suoi ultimi quadri ora
grandi e ora minuscoli: schegge di barche ritrovate a Chioggia hanno
ispirato ad Harloff uno stupendo reliquiario di relitti marini, anch’essi
avvolti in una nube di colori, occhi, messaggi angelici.
Ritrovo brandelli di lettere harloffiane che parlano di giornate al bar,
con tequila davanti, soldi giusti per pagare il conto, e sogni da consumare.
Se avessimo la spudoratezza d’usare i linguaggi di una certa
critica disumana, potremmo dire che Guy Harloff – si definisce milanese
in parte, come Stendhal, ma anche un “turista del vivere” – è
un infinito contenitore dei temi pittorici e filosofici d’oggi, conquistati
con la pazienza che solo un aristocratico del Cinquecento poteva
concedersi.

GUY HARLOFF, Galleria Carini, Milano, 1990 - tav 4, tapis, 1972, cm. 70x45

Tenero come una grande e mansueta creatura preistorica, moderno
come il guizzo di un proiettile, generoso come quasi nessuno al mondo,
ha lavorato sempre, bevuto sempre, amato gli amici al di là del
merito. Ma ogni tanto l’ho visto venir fuori dai sortilegi di una lampada
d’Aladino, ogni tanto m’è apparso come uno stregone benefico,
indemoniato e angelicato, galoppante in un “finale” che nessuna
produzione cinematografica oserebbe mai inventare.
Guerriero laborioso, chino con i suoi inchiostri e le sue colle arabiche
sul foglio bianco, disegnatore che è orafo e miniaturista, esperto
di “cabala” e di vanità umane, l’ho sempre ricordato come una immane
conchiglia che, accostata all’orecchio, manda suoni ogni volta
diversi e ogni volta uguali.
E di lui, in tempi non lontani, scrissi che rammentava un artista di
mille e mille anni fa, quel tipo di artista che un imperatore della Cina
avrebbe assunto per un arazzo o una mappa o un vaso e subito dopo,
terminato il capolavoro, avrebbe amputato della mano destra perché
mai più potesse ripetersi.
Ora immagino Guy Harloff nel suo “Chelsea” a New York, la vecchia
cagnetta allungatissima sul letto, l’ordine scrupoloso sul tavolo
da lavoro, la bottiglia del bourbon che viene sorvegliata da un litro
d’acqua minerale, lì accanto. Ha compiuto cinquant’anni, che per
un artista valgono come un paio di secoli. Ha seminato occhi e perle
e sillabe colorate in ogni angolo del mondo. Pensa a mini-film futuri.
Sa ancora aprirsi in risate terribili.
Sarà possibile risentire queste sue risate a settembre od ottobre, a Milano.
Le stelle ce lo hanno garantito, anche se non sempre le fredde,
lontane stelle paiono affidabili. “Il Giornale” 24 Giugno 1984

GUY HARLOFF, Galleria Carini, Milano, 1990 - tav 5, tristi amori, cm. 21x37

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CLIC X INGRANDIRE - GUY HARLOFF, Galleria Carini, Milano, 1990 - tav 6, le triangle, 1969, cm. 18x16

CLIC X INGRANDIRE - GUY HARLOFF, Galleria Carini, Milano, 1990 - tav 7, vision, 1970, cm. 59x45

CLIC X INGRANDIRE - GUY HARLOFF, Galleria Carini, Milano, 1990 - tav 8, le grand carré, 1987, cm. 45x50

CLIC X INGRANDIRE - GUY HARLOFF, Galleria Carini, Milano, 1990 - tav 9, jod, 1988, cm. 37x40

CLIC X INGRANDIRE - GUY HARLOFF, Galleria Carini, Milano, 1990 - tav 10, les noces chimiques, 1988, cm. 38x 31,5

CLIC X INGRANDIRE - GUY HARLOFF, Galleria Carini, Milano, 1990 - tav 11, cm prends, aime, birth, creuset..., 1989, cm. 49x37,5

Elenco opere
In copertina
“SÉME LES PÉTALS” – 1988
cm. 55×42
Tav. I
“LE MAT DE BATEAU” – 1971
cm. 69×46,5
Tav. II
“PEINDRE L’INTÉRIEUli DULIVRE” – 1969
cm. 60×48
Tav. Ili
“LE DEVENIR” – 1972
cm. 72×38
Tav. IV
“TAPIS” – 1972
cm. 70×45
Tav. V
“TRISTI AMORI”
cm. 21×27
Tav. VI
“LE TRIANGLE” – 1969
cm. 18×16
Tav. VII
“VISION” – 1970
cm. 59×45
Tav. Vili
“Le Grand Carré” – 1987
cm. 45×50
Tav. IX
“/OD” – 1988
cm. 37×30
Tav. X
“LES NOCES CHIMIQUES” – 1988
cm. 38×31,5
Tav. XI
“COMPRENDS, AIME, BIRTH, CREUSET…” – 1989
cm. 49×37,5

MOSTRE di GUY HARLOFF (n.d.r. aggiornate al 1990, data della mostra):
Galleria Numero, Firenze 1952
Galleria del Naviglio, Milano 1958
Galleria del Cavallino, Venezia 1959
Galleria del Naviglio, Milano 1959
Galleria del Naviglio, Milano 1960
Galleria Selecta, Roma 1960
Galleria La cour d’Ingres, parigi 1961
Ernest Raboff Gallery, Los Angeles 1962
Anti-Procès, Venezia, Parigi, Milano 1962
Salon Comparaison, Parigi 1962
Galleria del Cavallino, Venezia 1962
Galleria Accademia, Venezia 1962
Galleria del Naviglio, Milano 1963
Galleria La cour d’Ingres, Parigi 1963
Galerie 20, Arnhem 1963
Galerie Passepartout, Gopenhagen 1964
Galleria 11 Punto, Torino 1964
Galleria del Cavallino, Venezia 1965
Biennale des jeunes, Parigi 1965
Galleria Stafanoni, Lecco 1966
Galleria Zen, Brescia 1966
Galleria Arco d’Alibert, Roma 1966
Galleria Argentario, Trento 1966
Galleria Carlevaro, Genova 1966
Galleria La Sfera, Modena 1967
Galleria Milano, Milano 1967
Galleria A.A.B., Brescia 1967
Galleria II Punto, Torino 1967
Galleria Chironi, Nuoro 1967
Galleria della Steccata, Parma 1967
Salone delle mostre, Slasomaggiore 1967
Galleria Solarla, Milano 1968
Galleria Cortina, Milano 1968
Galerie Givaudan, Parigi 1970
Biennale di Mentone, Mentone 1970
Palazzo delle Prigioni, Venezia 1971
Wadell Gallery, New York 1972
Galleria Levi, Milano 1972
Galleria del Traghetto, Venezia 1972
Galerie Froncke, Gand 1972
Libreria Einaudi, Milano 1972
Documenta 5, Kassel 1972
Centro Culturale San Fedele, Milano 1973
Palazzo della Permanente, Milano 1974
Galleria Pigalle, Lamezia Terme 1974
Centro d’Arte La Grafica, Milano 1974
Galleria Cavour, Milano 1974
Galleria Carini, Milano 1974
Quadriennale di Roma, Roma 1977
Palazzo Sormani, Milano 1978
Galleria Carini, Milano 1978
Galleria Antiope. Sorrento 1978
Centro d’Arte Malagnini, Saronno 1978
Galleria del Milione, Milano 1979
Palazzo Té, Mantova 1980
Art-Expo, New York 1980
Centro d’Arte Euroamericano, Caracas 1981
Galleria Cortina, Milano 1983
Galleria Interarte, Milano 1984
Galleria La Parisina, Torino 1986
Comune di Cavarzere, Cavarzere 1986
Galleria l’Incontro, Roma 1987
Comune di Levanto, Levante 1987
Comune di Bordighera, Bordighera 1987
Galleria Prisma, Verona 1987
Circolo Artistico, Bologna 1987
Citinvest, Padova 1988
Banca Popolare di Milano, Milano 1988
Galleria 9 Colonne, Brescia e Trento 1988
Galleria Sorrenti, Novara 1990
Galleria Carini, Milano 1990

GUY HARLOFF, Galleria Carini, Milano, 1990 - retro di copertina

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HARLOFF, un primitivo del secolo XX – Testo di Nicoletta Colombo
Non è esagerato affermare l’estraneità ai più del “pianeta” Harloff, artista autonomo, singolare, uomo dalla immensa statura (superava di dieci centimetri i due metri), eppure dolce e ingenuo al di sotto della ruvida scorza montata ad hoc per difendersi dal mondo.
Artista e uomo che si muoveva nel mondo degli opposti: l’antico e il moderno, la tradizione e la scoperta del nuovo, il fermarsi e poi l’andare lontano, il viaggiare e il rinchiudersi in uno studio ad elaborare la propria opera.
Come ci viene tramandato dalle filosofie orientali, il passo che si compie sempre nella realtà, nel mondo, nelle cose e tra gli uomini, tra gli opposti, è quello che porta alla vita, al cammino verso la perfezione, verso il domani. Questo Harloff incarnava in sé, nel suo procedere alla scoperta del Sé lungo il cammino fatto di opposti attraversati disinvoltamente, senza problemi: l’alternanza di azione e meditazione, il lavoro elaborato con fatica nella solitudine del proprio studio-antro e la cordiale bevuta pomeridiana con gli amici, la meditata stasi dei mesi trascorsi nel nebbioso e solitario attracco chioggiotto a bordo della “sua” nave, microcosmo privato fatto di musica e libri ed il successivo viaggio oltreoceano on the road, senza soste e senza mete, con un camper Volkswagen, attraverso gli Stati Uniti.
Viaggi e soste di un artista che s’è concesso pause di anni durante i quali ha sperimentato altre espressioni (la musica, la letteratura, il cinema), ancora viaggi e soste mentre esplorava nel passato l’opera degli alchimisti, della tradizione taoista e sufista, della qabala, della cultura animistica orientale, ma anche si aggiornava sul cinema internazionale, sulla musica jazz, di cui conosceva da vicino gli interpreti migliori. Nel ’73, nella vasta personale dedicatagli dal Comune di Milano presso la prestigiosa sede della Permanente, l’atrio d’ingresso dell’ampio spazio di via Turati era animato per l’inaugurazione dalla band del grande sassofonista Ornette Coleman, suo vecchio amico, che gli rendeva omaggio con le sue composizioni free jazz.
Harloff centrifugava tutte le conoscenze acquisite nell’Opera, quella con la O maiuscola che porta alla luce la ricerca di perfezione, la visione mistica e filosofica della realtà. L’artista adottava una simbologia che attingeva allo studio della tradizione esoterica e filosofica dell’inconscio collettivo, non incontrando in ciò difficoltà perché era un istintivo, gli era naturale scovare il senso spirituale delle cose, quel “demone” che solo chi si indaga e indaga il passato, il presente e il senso della storia, riesce a fare emergere dal profondo caos indistinto della memoria storica.
Harloff, a dispetto delle apparenze, non era un bohémien e neppure un déraciné: era un personaggio dolcissimo che occorreva conoscere per capire. Era una uomo perbene ma non un perbenista, si muoveva fuori dai canoni della consuetudine; le sue parole, sempre taglienti e perfette, scandite secondo una articolazione sapiente della lingua italiana, rispecchiavano pienamente se stesso, erano lui, non servivano a mascherarlo, ma lo rivelavano; per lui la parola era ontologia, era il Verbo, e come tale non doveva essere sprecata in sfrangiature irrisolte, ma calibrata nella traduzione sonora essenziale, classica delle cose.
Da incorreggibile apolide, Guy non si identificava in nessuna terra d’origine o di adozione; parlava correttamente l’italiano, l’inglese, il tedesco, l’arabo, comprendeva persino senza inciampi il dialetto milanese. Era cittadino del mondo, o meglio dovremmo dire, cittadino dell’universo.
Da artista colto, di una cultura interiore e interiorizzata che ne faceva un “mistico secolarizzato”, camminava sulla via del raggiungimento della propria compiutezza finale, via lastricata dalle pietre del suo lavoro, della pittura, implementata da acquisizioni culturali che incrementava nel corso delle frequentazioni di intellettuali, letterati, musicisti, artisti, cineasti, mercanti d’arte internazionali.
“Il lavoro è un difficile cammino verso la conoscenza di sé, una lenta maturazione interiore. Work is the Great Power”, era solito dire.
Il Lavoro era in effetti la sua Grande Forza, l’energia di ascendenza esiodea che dall’uomo antico è approdata a quello odierno, l’archetipo trasmessoci come una inesorabile eredità dai tempi remoti di “Le opere e i giorni”.
Tutto ciò si trovava in Harloff, artista “primitivo”, nel senso di garante di autenticità incontaminata, del secolo XX.  - Nicoletta Colombo Milano, febbraio 2009

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GUY HARLOFF – elenco aggiornato delle PRINCIPALI MOSTRE PERSONALI

Galleria Numero, Firenze 1952

Galleria del Naviglio, Milano 1958

Galleria del Cavallino, Venezia 1959

Galleria del Naviglio, Milano 1959

Galleria del Naviglio, Milano 1960

Galleria Selecta, Roma 1960

Galleria La cour d’Ingres, Parigi 1961

Ernest Raboff Gallery,Los Angeles1962

Anti-procès, Venezia, Parigi, Milano 1962

Salon Comparaison, Parigi 1962

Galleria del Cavallino, Venezia 1962

Galleria Accademia, Venezia 1962

Galleria del Naviglio, Milano 1963

Galleria La cour d’Ingres, Parigi 1963

Galerie 20, Arnhem 1963

Galerie Passepartout, Copenhagen 1964

Galleria Il Punto, Torino 1964

Galleria del Cavallino, Venezia 1965

Biennale des jeunes, Parigi 1965

Galleria Stafanoni, Lecco 1966

Galleria Zen, Brescia 1966

Galleria Arco d’Alibert, Roma 1966

Galleria Argentario, Trento 1966

Galleria Carlevaro, Genova 1966

GalleriaLa Sfera, Modena 1967

Galleria Milano, Milano 1967

Galleria A.A.B., Brescia 1967

Galleria Il Punto, Torino 1967

Galleria Chironi, Nuoro 1967

GalleriaLa Steccata, Parma 1967

Salone delle mostre, Salsomaggiore 1967

Galleria Solaria, Milano 1968

Galleria Cortina, Milano 1968

Galleria Givaudan, Parigi 1970

Biennale di Mentone, Mentone 1970

Palazzo delle prigioni, Venezia 1971

Wadell Gallery, New York 1972

Galleria Levi, Milano 1972

Galleria del Traghetto, Venezia 1972

Galerie Foncke, Gand 1972

Libreria Einaudi, Milano 1972

Documenta 5, Kassel 1972

Centro Culturale San Fedele, Milano 1973

Palazzo della Permanente, Milano 1974

Galleria Pigalle, Lamezia Terme 1974

Centro d’ArteLa Grafica, Milano 1974

Galleria Cavour, Milano 1974

Galleria Carini, Milano 1974

Quadriennale di Roma, Roma, 1977

Palazzo Sormani, Milano 1978

Galleria Carini, Milano 1978

Galleria Antiope, Sorrento 1978

Centro d’Arte Malagnini, Saronno 1978

Galleria del Milione, Milano 1979

Palazzo Tè, Mantova 1980

Art-Expo, New York 1980

Centro d’Arte Euroamericano, Caracas 1981

Galleria Cortina, Milano 1983

Galleria Interarte, Milano 1984

GalleriaLa Parisina, Torino, 1986

Comune di Cavarzete, Cavarzete 1986

Galleria l’Incontro, Roma 1987

Comune di Levanto, Levanto 1987

Galleria Prisma, Verona 1987

Citinvest, Padova 1988

Banca Popolare di Milano, Milano 1988

Galleria 9 Colonne, Brescia e Trento 1988

Galleria Berman, Torino 1990

Galleria Sorrenti, Novara 1990

Galleria Carini, Milano 1990

Il Chiostro, Saronno 1991

Galleria Sorrenti, Novara 1993

Associazione Culturale Renzo Cortina, 2008

Galleria Berman, Torino 2009


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