“Locke” scritto e diretto da Steven Knight (USA, Gran Bretagna)
Con Tom Hardy, Olivia Colman, Ruth Wilson, Andrew Scott
Si può fare un buon film di 85 minuti con un uomo in macchina che parla al telefono? Avrei detto di no ma mi sono dovuto ampiamente ricredere. L’idea (e il coraggio) del film è semplice quanto geniale: un uomo riceve una chiamata che lo costringe a precipitarsi a Londra, durante il tragitto in auto dovrà risolvere svariati problemi che lo porteranno a perdere tutto quello che aveva ma per una giusta causa.
Ciò che conta in questi casi non è la trama, tutt’altro che originale, ma come viene realizzata la pellicola: è impressionante pensare che per tutto il film siamo all’interno di un abitacolo, è qualcosa di mai visto al cinema e per questo qualcosa di grandioso. Tom Hardy, fino ad oggi attore molto fisico (ad esempio è stato il cattivo Bane in “Il cavaliere oscuro – Il ritorno”), deve abbandonare ciò che conosce per interpretare un ruolo in cui il movimento è pressoché inesistente e tutto ciò che può fare è usare i colori e le sfumature della voce, ridiamo e ci commuoviamo con lui senza bisogno di altro se non le parole di due attori al telefono. Ma se il talento recitativo è essenziale non può essere da meno quello del regista, e Knight, qui alla seconda regia (“Redemption – Identità nascoste”) dopo anni da sceneggiatore di successo, di talento ne ha da vendere, riesce a non rendere pesante un film senza scenografia se non 5 sedili e un cruscotto e l’esperimento gli riesce perché decide di adottare una regia silenziosa, a favore dell’attore ma inventando dissolvenze e stacchi di inquadratura sempre nuovi e perfettamente fusi con il panorama autostradale.
Il tutto è stato girato in pochissimi giorni e con un basso budget ma il risultato è magnifico, ad indicare che non servono grandi effetti speciali, grandi scenografie o un ricco cast per fare un grande film, insomma bisogna iniziare a togliere un po’ di orpelli per tornare al vero valore del cinema. Ma poi questo film uscirà nelle sale e lo andranno a vedere in quattro gatti a favore del nuovo kolossal di fantascienza e allora quanto detto fin qui è solo tempo sprecato. Ma speriamo di no!
“All is lost” scritto e diretto da J.C. Chandor, USA
Con Robert Redford
Se quanto letto poco sopra vi sembrava già un film da tour de force non sapete cosa vi aspetta ora. Abbiamo avuto un uomo solo su un’isola in Cast Away, un uomo sepolto vivo in Buried, un uomo alla deriva con una tigre in Vita di Pi e un uomo in macchina in Locke, ma tutti avevano interlocutori anche se solo telefonici, animali o immaginari, questa volta non è così.
Il personaggio senza nome interpretato da Redford è da solo su una nave e poi su un gommone di salvataggio in mezzo al mare cercando con ogni forza di sopravvivere, non ha perciò nessuno con cui parlare e difatti non lo farà mai, escluso un breve discorso iniziale, un SOS e un paio di imprecazioni l’intero film è muto e perciò tutta la forza della pellicola risiede nelle espressioni di Redford che torna così a dimostrare di essere un grandissimo attore.
Il regista Chandor, già fattosi notare con il suo primo film Margin Call, la cui sceneggiatura ha meritato una candidatura agli Oscar, anche questa volta fa un lavoro sopraffino in fase di scrittura perché nonostante l’assenza di battute la tensione del film non cala mai neanche per un secondo e questo poiché sin da subito siamo gettati all’interno dell’azione senza neanche sapere come mai quell’uomo si trovi lì da solo, non sappiamo niente di lui ma non importa perché non abbiamo il tempo per pensarci in un susseguirsi di disgrazie e momenti di speranza senza sosta, sempre credibili, fino al magnifico finale in cui viene celebrata la voglia di vivere e l’arte di cavarsela nella loro massima espressione. Ancora una volta siamo di fronte ad un film senza precedenti che sottolinea come ogni tanto al talento bisogna affiancare il coraggio per fare la differenza.
“Don Jon”, scritto e diretto da Joseph Gordon-Levitt, USA
Con Joseph Gordon-Levitt, Scarlett Johansson, Julianne Moore, Brie Larson, Tony Danza
Joseph Gordon-Levitt se la scrive, se la suona e se la canta, e visto il risultato finale ha fatto molto bene. Il suo primo lavoro da regista è una commedia romantica atipica: un tamarro che preferisce la masturbazione al sesso reale nonostante incontri la tamarra giusta per lui, almeno all’apparenza, non riuscirà a cambiare abitudini finché qualcuno non gli aprirà gli occhi.
Il film è costellato di personaggi memorabili di cui i due protagonisti sono la ciliegina sulla torta. Sono di quanto più lontano si possa immaginare per una commedia romantica perché di amore non ne sanno niente: lei lo immagina come il cinema del genere di riferimento che Levitt prende sottilmente in giro, insomma tutto rose e confetti a favore della donna, e lui, moderno Don Giovanni nell’era della pornografia online, lo desidera come lo vede sui suoi siti, senza freni per allietare il desiderio maschile. Insomma nessuno dei due ci capisce nulla perché ognuno pensa per sé mentre l’amore è perdersi negli occhi dell’altro.
Il Joseph Gordon-Levitt attore è eccelso nel delineare il suo personaggio senza mai essere volgare e così lo è anche Scarlett Johansson, sempre cicca in bocca e carica erotica burina. Il Joseph Gordon-Levitt regista e sceneggiatore è superbo, senza ombra di dubbio una nuova promessa, riesce a farci ridere di gusto il più delle volte non per dialoghi brillanti ma per scelte di montaggio, la scena in cui spiega perché preferisce i siti porno al sesso reale è qualcosa di memorabile, e nonostante i temi trattati e le sequenze mostrate non risulta ancora una volta mai volgare.
Nella prima parte il film è una continua scoperta, e le scelte registiche trovate sono sorprendenti, si ride e tanto, nella seconda parte si sfiorano corde più classiche e lo stupore per la novità cala ma una morale edificante era necessaria, o no?
“The spectacular now”, diretto da James Ponsoldt, USA
Con Shailene Woodley, Miles Teller, Brie Larson, Dayo Okeniyi
Si continua a parlare di commedie romantiche ma ancora una volta ci troviamo di fronte a qualcosa di atipico ed egregiamente ben riuscito.
La nuova fatica del quasi sconosciuto James Ponsoldt è quanto di più vicino alla realtà si sia visto al cinema negli ultimi anni, tanto da sfiorare la commozione più di una volta non perché si trattino temi particolarmente toccanti ma perché è impossibile non ritrovarsi in almeno uno dei passaggi del film.
La regia è tesa ad accarezzare i suoi personaggi accompagnandoli nel loro percorso tanto da non staccarsi quasi mai dai corpi e dai volti poiché in fondo questa non è la storia di un luogo particolare ma di due giovani qualunque e dovunque.
Premio ai migliori attori al Sundance Film Festival 2013
“Grand Piano”, diretto da Eugenio Mira, Spagna
Con John Cusack, Elijah Wood, Allen Leech, Kerry Bishé, Tamsin Egerton
Con i suoi 90 minuti in questo film il tempo del racconto coincide pressoché con il tempo della storia, come faccio a dirlo? Esclusi i primi 6 o 7 minuti di introduzione, il protagonista è per tre quarti del tempo impegnato a suonare il pianoforte e per il resto c’è sempre comunque un concerto in corso.
Visti i presupposti, come si può costruire un buon thriller se il protagonista è seduto per la maggior parte del tempo? La risposta non è facile e raggiungere tale scopo richiede degli azzardi non sempre riusciti che talune volte portano ad una risata non proprio consona, perché posso anche credere che un cecchino sia entrato a teatro e possa tenere sotto tiro il pianista, ma mi viene da sorridere quando vedo quest’ultimo reagire maestosamente alle parole prima scritte e poi udite tramite auricolare della sua nemesi, finanche arrivare a scrivere un messaggino mentre suona. Ma la trama doveva pur progredire in qualche modo e una volta superati questi dettagli il film rimane piacevolmente fruibile e la tensione è ininterrottamente palpabile. E poi il presupposto di base è degno dei più classici film sulla ricerca di tesori antichi: il pianista migliore in circolazione torna dopo un fallimento a suonare sul palco in onore del suo defunto mentore usando proprio lo storico pianoforte di quest’ultimo, viene così costretto da un uomo senza scrupoli a suonare “La piece impossibile” chiamata così perché troppo veloce per chiunque tranne che per il defunto maestro e il suo migliore allievo che guarda caso è proprio il nostro protagonista e se riuscirà a portare a termine il brano gli verrà svelato il segreto del pianoforte.
Il regista è magistrale ad usare lo spazio del palcoscenico fuori e dentro con le sue numerose luci e ombre, soffermandosi spesso sul pianoforte e sulle mani del suo attore senza per questo risultare mai banale. Elijah Wood suona personalmente il piano e questo già di per se è sorprendente ma come se non bastasse ci regala una straordinaria interpretazione fatta per lo più di voce e volto, chi invece il volto non sta neanche a mettercelo è John Cusack ma effettivamente la sua voce può tranquillamente bastare.
“Salvo”, scritto e diretto da Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, Italia
Con Luigi Lo Cascio, Saleh Bakri, Sara Serraiocco, Giuditta Perriera
Il Salvo del titolo è uno dei tipici scagnozzi del boss che durante un lavoretto di pulizia trova la sorella della sua vittima, si intenerisce per la sua cecità e uno straordinario fatto che sa di miracolo li legherà facendo nascere qualcosa di più, ma si sa che in una città come Palermo se sei sotto il mirino del boss è più facile morire che vivere.
Il film è fatto per lo più di silenzi ed un uso da manuale del sonoro, nessun suono o rumore è messo lì a caso, ha un significato ben preciso e accompagna perfettamente l’evoluzione dei personaggi. I registi in questo sono fantastici, sicuramente i migliori sul piano nazionale, e anche quando abbracciano la telecamera fanno un ottimo lavoro giocando con luci e ombre di tutte quelle prigioni fisiche e mentali, e nel loro primo piano sequenza da venti minuti raggiungono il loro apice. Il problema è che spesso si autocompiaciono un po’ troppo della loro grande abilità e credono che questa basti a fare un grande film non approfondendo dovutamente la psicologia dei personaggi e lasciando ai silenzi quello che a volte una battuta renderebbe meglio, il ritmo non è velocissimo ma le inquadrature dei paesaggi sono magnifiche e i due attori sono all’altezza del compito, soprattutto la debuttante Sara Serraionico straordinaria nell’impersonificare una ragazza cieca.
Non è un prodotto perfetto ma è un buon film e sicuramente è qualcosa di diverso dal solito cinema italiano e una necessità per la sua sopravvivenza. Detto questo va spiegato bene come i produttori nostrani non siano per nulla intenzionati a far risorgere il nostro cinema, perché a meno che tu non sia un nome famoso o tu non faccia una commedia, se il tuo progetto è minimamente innovativo e perciò rischioso nessuno ci metterà un soldo. I due registi non hanno trovato neanche un produttore italiano, ci hanno messo 5 anni per fare il film tra sceneggiatura e riprese e sono dovuti andare in Francia per girarlo. Scusate la digressione ma era necessaria per sottolineare in che condizioni siamo e che fortunatamente c’è ancora qualcuno di talento disposto a grossi sacrifici per fare del buon cinema.
11 film dal London Film Festival 2 (6-11)