San Giuseppe falegname di George De La Tour
La festa del papà è dedicata a San Giuseppe che come padre era un po’ atipico. Anche i padri dei film di Tim Burton, Sam Peckinpah, Clint Eastwood, Refn, De Sica, Almodovar, Shakespeare, Disney … non sono i soliti paparini. Però sono padri che non si dimenticano.
Film de chevetChevet in francese significa più o meno comodino. Le livre de chevet si tiene sul comodino per sfogliarlo, rileggerlo, accarezzarlo. Come i libri, i film de chevet si amano, si guardano, si sfogliano, si accarezzano, si portano sempre con sé.
L’amore improbabile in undici film de chevetUndici film de chevet belli a mamma sua
Fratelli e sorelle in Undici film de chevet
I film de chevet ricchi di speranza
I film de chevet da Oscar
I film de chevet sulla crisi
Il 19 marzo è la festa del papà, in onore di San Giuseppe che in qualche modo è considerato il padre di Gesù Cristo, anche se tutti sanno che non è vero. Giuseppe era un padre abbastanza atipico, non staremo qui ad approfondire la sua figura, ma vogliamo gustarci Undici film de chevet con padri che non si dimenticano.
Nei film che segnaliamo non ci sono padri modello che fanno filare tutto liscio. Ma il cinema è questo perché così è la vita. Le famiglie sono il primo nucleo sociale perciò è naturale che lì si concentri il peggio come il meglio. Come scriveva il grande Lev Nikolaevič Tolstoj all’inizio di Anna Karenina: “tutte le famiglie felici si somigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo”. E’ una questione di personalità e i padri che andremo a vedere ne hanno da vendere anche se non sempre la usano per il meglio. Perché in fondo se tutto va bene, non c’è niente da raccontare. Invece sui padri di questi film de chevet ci sarebbe da raccontare parecchio: (ri)guardatevi questi film e qualcosa vi resterà.
“Bambi
“Tutti lo rispettano. E’ molto saggio e coraggioso”
Bambi è uno dei classici Disney più belli e conosciuti. E’ il racconto di formazione del piccolo cerbiatto che impara a vivere, conosce l’amicizia, l’amore, il dolore più grande.
Nasce Bambi, tutti gli animali accorrono a salutare il principino. Il papà è il re della foresta ed ha cose più importanti di cui occuparsi, è sempre lontano, a farsi gli affari suoi. Penserà a tutto la mamma. Ma nei momenti difficili, quando è importante che ci sia, il padre c’è. Ed è una guida forte e sicura che protegge il piccolo e lo aiuta a crescere, perché un giorno dovrà prendere il suo posto. E’ questo il padre di cui ora si lamenta la scomparsa (o la liquefazione). Ma non ci sono più i padri di una volta. E neanche le cerbiatte.
Da vedere ordinando alla propria compagna di preparare il caffè e intimando al figlio di stare zitto (ma loro devono ubbidire)
Ladri di biciclette di Vittorio De Sica, 1948
Capisci che bisogna ritrovarla? Perché sinnò nun se magna!
L’Italia uscita dalla guerra, la miseria, la sopravvivenza, la voglia di ricominciare; poi De Sica, Zavattini e Suso Cecchi D’Amico, il neorealismo, il cinema italiano indimenticabile e insuperabile. Tutto in un film concentrato su un padre, un figlio e un’accidente di bicicletta indispensabile per campare (sullo sfondo di quella Roma senza automobili che ora appare stupefacente e straniante). Antonio e Bruno: un padre che si danna per sopravvivere e fare sopravvivere la famiglia, un figlio che ama suo padre, lo segue, lo guarda, lo ascolta, alla fine lo salva dal linciaggio. Un padre e un figlio che si tengono per mano, uniti davvero dalla fatica, dalla disperazione, anche nei silenzi.
Da vedere scrivendo una lunga lettera aperta sulla situazione economica indirizzata al Presidente Mario Monti.
– Aò, ma chiè ‘sto scassapalle? – È mio padre.
Walter Chiari è magnifico nell’interpretazione di un padre millantatore e patetico, spaccone, divertente e imbarazzante, fannullone e mantenuto dalle sue donne, che dopo cinque anni torna a incontrare suo figlio, con l’intenzione di fare colpo su di lui usando le sue abituali armi seduttive, cioè un’auto di grossa cilindrata e balle enormi. Non conosce l’intelligenza, la perspicacia e la sensibilità del figlio, che saprà nell’arco di un solo giovedì capire un padre più bambino di lui, imparare ad amarlo e farsi sinceramente amare.
Da vedere tirando castagnole per le scale di casa.
Re Lear [King Lear] di Peter Brook, 1971. Con Paul Scofield, Irene Worth
E’ colpa sua, ha perso la testa, adesso si goda la pazzia
Se Shakespeare è il Dio delle tragedie, Peter Brook è il suo profeta. In tanti anni di teatro e (purtroppo poco) cinema il regista e drammaturgo inglese ha portato la parola e le immagini create dal bardo di Stratford-upon-Avon dentro la modernità rendendole sempre più vive ed attuali. E questo Re Lear così tragico e grondante sangue e morte è più vivo che mai.
Peter Brook prende il Re Lear e congela le corti, i palazzi e la natura in un medio evo primitivo dove le regge sono dei bunker inospitali e i mantelli pellicce stracciate. La natura e il cielo raccolgono le maledizioni di un padre che rinuncia al potere della corona in favore delle figlie. Quando un re rinuncia ad essere re non potrà più essere riconosciuto neanche come padre. E quando il padre non esiste più allora crolla qualsiasi ordine sociale e ogni legge naturale o umana non ha più senso. In quel momento gli Dei, sempre ammesso che ci siano, si prendono giuoco di noi. Peter Brook riesce a restituirci tutto questo.
Se volete un finale edificante cercatevi un altro film. E anche un altro bardo. Ma nel tragico mondo di Shakespeare e anche nel nostro l’umanità troverà sempre quel filo di speranza per andare avanti, magari guidata da un buffone o da un pazzo.
Da vedere caricandosi il proprio padre sulle spalle ed arrampicarsi sul divano fingendo di essere sulle bianche scogliere di Dover.
“Se questo mondo è tutto per i vincitori, che cosa resta ai perdenti?” “Qualcuno deve pur tenere fermi i cavalli.”
Ace e Junior Bonner sono due ex campioni di rodeo. Al padre è Ace (asso) sono rimasti alcol e sogni campati per aria. Anche il figlio Junior è consapevolmente sulla via del declino. Il rodeo è ormai un triste circo e l’America spazza via i suoi sogni e le sue radici per concedersi definitivamente alla modernità del Dio denaro. E’ un malinconico film di perdenti. Ma di perdenti sanno emozionare davvero. Nell’America di Sam Peckinpah niente mucchi selvaggi o cani di paglia che esplodono in una violenza catartica. Restano la rassegnazione di una madre (Ida Lupino, meravigliosa) e il solitario amore per i propri sogni che non si realizzeranno mai, ma servono per restare vivi.
Guardare il papà chiedere ancora una volta alla mamma di ballare e poi regalargli un biglietto per l’Australia
Padre padrone di Paolo e Vittorio Taviani, 1977.
Voi patriarchi avete fatto solo due cose nella vita: ubbidito prima e comandato dopo.
Ci sono padri rispetto ai quali è legittimo un solo atto: la fuga. Così è per il protagonista di questa vicenda, tratta dal romanzo autobiografico del glottologo Gavino Ledda, ambientato nella Sardegna degli anni Quaranta. Dopo essere cresciuto come uno schiavo sotto la cieca e dispotica autorità del padre che si ritiene padrone assoluto anche della vita dei suoi familiari, ormai quasi adulto Gavino durante il servizio militare lontano dalla famiglia si affranca dall’autorità paterna grazie alla scoperta della conoscenza come arma di libertà. Un film di immagini scarne e fortissime, come il paesaggio sardo che vi è ritratto, in cui il padre è il sacerdote di una tradizione di vita in cui non ci sono né cambiamento né futuro.
Da vedere seduti sullo sgabello per mungere, in compagnia del gregge.
Mangiare bere uomo donna (Yin shi nan nu) di Ang Lee, 1994.
Mangiare, bere, uomo, donna…C’è altro?
Ogni padre ha il suo modo per essere padre. Maestro Chu è un cuoco straordinario, capace di esaltare ogni cibaria in un tripudio di colori e combinazioni che muoverebbero alla follia qualsiasi affamato; è anche un vedovo padre di tre figlie dalla vita sentimentale complicata, per le quali prepara deliziosi banchetti domenicali. Cucina a casa e cucina in un importante ristorante di Taipei, nonostante il suo senso del gusto lo stia abbandonando. Il cibo è la sua lingua, tra le pietanze cerca di sciogliere l’incomunicabilità tra sé e le tormentate figlie e nel cibo tramanda loro la propria cultura e tradizione. Mentre Maestro Chu cucina, la vita, che sembra scorrere uguale e monotona da tempo, sterza e lo sorprende: l’amore aspetta al varco tutti, compreso lui. Tutto si risveglia, comprese le papille gustative.
Da vedere strafogandovi di anatra laccata e ravioli ripieni di gamberi.
– Papà, io non ho idea di chi tu sia. – Cosa vuoi, Will? Chi vuoi che io sia? – Te stesso, Papà: fammi vedere chi sei veramente una volta tanto.
Certi padri tornano a casa e si concentrano sulla Champions League in tv; certi altri invece raccontano e vivono storie di circhi, streghe e Pesci Giganti. Non è detto che crescere accanto a quelli del secondo tipo sia più divertente o più facile; almeno così la pensa Will, allontanatosi da un padre avventuriero ingombrante della fantasia. Torna a incontrarlo quando sa che sta per morire, arrabbiato e deciso a capire chi si nasconda dietro tutte quelle storie, a quei racconti inverosimili. Per scoprire che non c’è mai stata una recita, che i racconti magari non erano la realtà, ma sicuramente erano la vita vera di suo padre.
Da vedere ogni volta che vi dicono che il vostro maggior difetto è la mancanza di originalità.
“Pusher 2 – Sangue sulle mie mani” [Pusher II] di Nicolas Winding Refn, 2004
Mentre era in galera a Tonny è nato un figlio, ma non ne vuole sapere e comunque non sarebbe in grado di occuparsene. Tonny è indeciso, impacciato, cerca qualche forma di riscatto, ma non sa quale strada prendere. Non è un eroe, non è un duro, non ha fascino, ma noi dall’inizio alla fine facciamo il tifo per lui.
In questo film durissimo di gangster rozzi che si muovono liberamente nella socialdemocratica Danimarca i padri ripudiano i figli perché non gli piacciono più e perché non sono in grado di svolgere il ruolo che è stato loro per secoli.
Questo è il secondo capitolo della trilogia di Pusher del regista di Drive, il primo fu il suo esordio nel 1996 e Pusher 3 è del 2005.
Rubare un dispositivo audiovideo insieme al padre e guardare il film con lui (poi insieme si spacca tutto).
“Gran Torino” di Clint Eastwood, 2009 con Clint Eastwood
Dio Santo, ho più cose in comune con questi musi gialli che con quei depravati della mia famiglia.
Gran Torino va a chiudere il cerchio idealmente aperto con Bambi. Se Bambi si apre e si chiude con una nascita, Gran Torino inizia e finisce con un funerale. Clint Eastwood è il padre del secolo scorso: tradizione, conservazione, protezione della famiglia e del patrimonio dalle insidie del mondo. E’ andato addirittura a farsi la guerra in Corea per questo. Ma l’autorità del padre si è dissolta e i suoi valori non sono più riconosciuti. I legami di sangue hanno fallito.
Si salverà affidando la sua testimonianza e la sua eredità a un ragazzino, un muso giallo vicino di casa. Perché se la natura e la società non riconoscono più il padre allora il vecchio Clint Eastwood ha un colpo di genio: padre è chi il padre fa.
Da vedere “in sacrificio per voi”