Vista la mia passione per la letteratura classica greca e latina, vorrei parlarvi e consigliarvi 11 testi latini che, a mio modesto parere, andrebbero assolutamente letti, perché da loro parte la grandiosa tradizione poetica italiana e, tutt'ora la influenzano.
La massima espressione lirica concessa e accettata dai costumi latini era il poema epico a scopo celebrativo oppure gli Annales, trattazioni con l'obbiettivo di raccontare fatti o celebrare vittorie e virtù dei condottieri in esse coinvolte.
La poesia e l'elegia, quindi, diventano un extra, uno strappo alla regola che, con l'aumento dell'influenza greca sulla civiltà romana, porta personalità come Cicerone ad indicarne i cultori come effeminati, vires che hanno perso il rispetto per i propri avi.
Gli autori lirici che vi presenterò ora sono tra i più affascinanti della letteratura latina.
1. Gneo Nevio e il Bellum Poenicum (275-201 a. C., circa)
Gneo Nevio fu una personalità importante perché fu il primo scrittore di origini latine documentato. La sua opera più importante è il Bellum Poenicum (La guerra punica, tra Roma e Cartagine), a cui aveva partecipato e dalla quale trae i maggiori esempi di virtus, per spronare i giovani ad emulare le gesta degli antenati. La sua opera diventerà modello di riferimento per i due grandi scrittori epici successivi Ennio, autore degli Annales, e Virgilio, autore dell'Eneide.
Oltre al Bellum Poenicum, Nevio fu autore di varie commedie di grande successo. La lettura consigliata è una delle sue commedie la Tarentilla di cui vi riporto uno stralcio. (ricordo che per la maggior parte dei primi autori latini sono rintracciabili solo raccolte con gli stralci rinvenuti).
"Come una palla che rimbalza in un cerchio (di giocatori) a turno si dà, e a tutti appartiene; ad uno fa cenno con il capo, all'altro ammicca; ne carezza uno, ne abbraccia un altro; mentre da una parte è occupata la sua mano, ad un altro stuzzica dolcemente il piede; ad un altro dà l'anello da guardare, a un altro fa un invito con le labbra, con uno canta, e intanto a un altro manda un messaggio con le dita."
(fr. 63 Traglia)
2. Gaio Valerio Catullo, Canti (84-54 a.C., Verona)
Catullo vive a Verona fino al 61 a.C., quando si trasferisce a Roma. Nella capitale entra in contatto con i poeti neòteroi ("poeti nuovi" che rifiutano il lungo poema epico a favore di componimenti più brevi e più semplici da elaborare stilisticamente). Con loro si diletta a scrivere poesie, discutere di arte e letteratura, e appagare ogni sorta di piacere. Probabilmente già nel 60 a.C. l'uomo rivede la terribile e amatissima Clodia (che nei suoi componimenti prenderà il nome di Lesbia). Questa donna sarà gioia e dolore per l'autore che la renderà musa ispiratrice schizofrenica delle sue opere liriche. Per mostrare cosa intendo con "schizofrenica", vi riporto una lirica catulliana molto interessante.
Iucundum mea vita (Carme 109)
"Mi prometti, vita mia, che questo nostro amore
Sarà felice ed eterno.
Dei grandi, fate che possa promettere il vero,
e che dica ciò sinceramente e di cuore,
così che per tutta la vita ci sia consentito far durare
questo eterno patto di inviolabile amore."
Interessante anche il Carme 48, che racconta l'amore per i giovinetti.
"Se quei tu occhi di miele, Giovenzio,
fosse dato baciarli sempre sempre
trecentomila volte, neanche allora
penserei di saziarmene in futuro,
fosse messe di baci fitta fitta
come mai fu messe di spighe asciutte.
3. Tito Lucrezio (ipoteticamente 98-55 a.C.)
Si hanno notizie troppo contraddittorie per avere delle certezze. È probabile che sia stata emanata una "congiura del silenzio" nei suoi confronti). Lucrezio fu di fede epicurea, quindi dedito al piacere e lontano dal mos maiorum. Tra i suoi oppositori troviamo in prima linea Cicerone che, però, non nega l'abilità letteraria dell'autore come si legge da una sua lettera al fratello Quinto.
( Ad Quintum fratrem, II, 10, 3.): "I versi di Lucrezio, come tu scrivi, possiedono molti bagliori di intelligenza, ma anche molta ricercatezza."
L'opera più celebre di Lucrezio è il De rerum natura (Sulla natura), poema epico-didascalico, con l'obbiettivo di diffondere temi filosofici e medici, ma con uno stile dolce e allettante. Ne ritengo interessante la lettura non tanto per gli argomenti trattati, quanto per la tecnica elegante con cui vengono narrati.
Stralcio tratto dal primo libro de De rerum natura:
"Infatti questo non sembra privo di una valida ragione, ma come quando i medici vogliono dare ai ragazzi il ributtante succo dell'assenzio e prima cospargono gli orli della tazza con il biondo e dolce miele per ingannare fino alle labbra l'ingenua età dei bambini [...], così io ora, poiché questa dottrina sembra per lo più troppo sgradevole a coloro che non l'hanno studiata e il popolo fugge via, ho voluto esporti la mia teoria con il dolce canto delle Muse[...]."
4. Publio Virgilio Marone, Bucoliche (15 ottobre 70 a.C, Cremona- 21 settembre 19 a.C., Napoli)
Studiò grammatica a Cremona, poi retorica a Milano e, infine, si trasferì a Roma alla scuola di Epidio. Fu autore del celeberrimo poema epico Eneide e di altre due raccolte le Bucoliche (Bucolica), ossia "componimenti scelti" (egloghe), dieci poesie pastorali, ispirate ai carmi bucolici del poeta greco Teocrito di Siracusa, e le Georgiche (o Georgica) un poema epico didascalico che ha come soggetto dei canti agresti, o canti di contadini.
Ci sarebbe molto da dire e da raccontare di questo importante autore. Per ora mi limito a suggerire come lettura poetica le Bucoliche, di cui vi riporto uno stralcio.
Bucoliche, Egloga prima.
"Titiro, tu riposi al riparo di un gran faggio
E intoni un'aria silvestre sulla sottile canna;
noi, la patria terra lasciamo e i dolci campi.
Partiamo esuli, noi, via dal paese; tu giaci all'ombra,
Titiro, e insegni al bosco a risonare il nome di Amrìlli."
5. Publio Virgilio Marone, Georgiche
( Georgiche, Incipit, Libro I, 1-5)
"Cosa fecondi le messi, sotto quale stella
convenga arare la terra, O Mecenate, unire agli olmi le viti,
come si accudisca ai buoi e si curi l'allevamento delle greggi,
quanta esperienza si debba dedicare alle frugali api,
di qui l'inizio del canto."
6. Quinto Orazio Flacco (8 dicembre 65 a.C. - 27 novembre 8 a.C.)
Studiò a Roma presso la scuola del plagosus Orbilius (il manesco Orbilio) e completò i suoi studi filosofici e letterari in Grecia, dove incontrò Bruto e Cassio e si unì a loro nella battaglia di Filippi contro Ottaviano. Rientrato a Roma subì la confisca dei beni e, spinto dalle difficoltà economiche, decise di pubblicare la prima raccolta dei suoi versi. Grazie a questa fortunata decisione ottenne la stima e l'amicizia di Virgilio, che lo presentò a Mecenate, affezionato amico di Agusto.
Il princeps Augusto propose un incarico a Orazio come proprio segretario personale ma l'autore rifiutò per tenersi lontano dalla politica. Tuttavia il poeta colse al volo la seconda offerta dell'uomo che gli affidò la composizione del celebre Carmen saeculare (celebrazione del destino di Roma e della pax Romana). La produzione di Orazio conta l' Epodon Liber, una raccolta di diciassette componimenti contro i vizi e la corruzione; le Saturae o Sermones, due libri che contano 18 componimenti satirici. Di grande interesse, sono anche le Odi (o Carmina), 103 poesie raccolte in quattro libri, sul modello della grande poesie greca arcaica. Riporto le prime tre strofe del Carmina 7, del secondo libro.
(Una rievocazione del passato, II, 7.)
"O tu che spesso con me fosti spinto
all'ora estrema sotto il comando di Bruto,
chi ti ha restituito cittadino romano
agli dei patri e al cielo italico,
o Pompeo, il più caro dei miei compagni,
con cui spezzai il giorno che indugiava,
con una corona sui capelli lucenti
di unguento siriaco?"
7. Quinto Orazio Flacco, Le satire
( Libro secondo, Satira prima, Incipit)
"C'è gente cui sembra ch'io sia troppo aggressivo nella mia satira e che tenda l'arco dell'opera mia oltre quel che la legge consente; altri, invece, pensano che tutto ciò che ho composto sia privo di nerbo e che versi come i miei mille al giorno se ne posson filare. Trebazio, prescrivimi tu cosa fare."
8. Albio Tibullo (54 a.C.- 21 settembre 19 a.C.)
Proveniente da una ricca famiglia equestre caduta in disgrazia riuscì ugualmente ad entrare nel circolo culturale di Messalla Corvino e strinse amicizia con esponenti di spicco come Ovidio, Suplicia, Ligdamo. Nelle sue odi le donne da lui cantate sono tre: Delia (vero nome Plania), Glìcera, ricordata da Orazio come donna inmitis (crudele), e Nemesi (la vendicatrice). Le opere di Tibullo sono raccolte nel Corpus Tibullianum, formato da tre libri: i primi due sono sicuramente attribuiti all'autore, il terzo ha dubbia attribuzione. Vi propongo un estratto dal secondo libro, nel quale si parla di Nemesi e della schiavitù d'amore per lei.
(II, 4, 1-4)
"Così vedo per me pronte una schiavitù e una padrona:
o libertà dei miei antenati, ormai ti dico addio;
invece a me viene imposta una gravosa schiavitù,
e sono incatenato, e Amore non allenta
mai i ceppi a me infelice"
9. Fedro (20 a.C.- 50 d.C.)
Fedro era originario della Macedonia, ma venne portato a Roma in qualità di schiavo. Entrato nelle simpatie di Augusto, fu liberato sia per i suoi meriti sia per la sua grande cultura. Attraverso le sue favole, l'autore attacca i potenti dell'epoca finendo per essere processato e condannato, anche se senza alcuna ritorsione concreta. Importantissime le sue favole non solo per il fondo satirico, ma anche per la forte allegoria della vita umana. Le favole di Fedro sono adatte sia ai bambini che agli adulti perché in grado di mostrare una morale semplice e complessa allo stesso tempo. Ne riporto il Prologo.
( Prologus, Phedri Augusti liberti fabulae Aesopiae)
"Io ho levigato in versi senari le storie che Esopo ha inventato. Duplice è il pregio del libro: muove il riso e consiglia saggiamente per la vita. Se qualcuno volesse criticare il fatto che qui parlano gli alberi, e non solo gli animali, si ricordi che noi scherziamo, con favole inventate!"
10. Publio Ovidio Nasone (43 a.C.- 18 d.C.)
Publio Ovidio frequenta a Roma la scuola dei retori Procio Latrone e Arellio Fusco, distinguendosi per l'ottima abilità retorica. Tuttavia il suo cuore è rapito dalla poesia elegiaca. Entra poi a far parte del circolo di Messalla Corvino, dove incontra Albio Tibullo. La personalità frivola e superficiale, lontana dagli ideali politici e morali spiega i tre matrimoni. Divorziò due volte fino al matrimonio con Fabia, fedele e affettuosa compagna. Probabilmente a causa di uno scandalo di corte tra Ovidio e la nipote di Augusto, l'autore fu costretto ad un "soggiorno obbligato", senza moglie ne figli, a Tomi sul Mar Nero. Di particolare interessa è opera Ars amatoria o Ars amandi, trattato in tre libri in versi su come conquistare l'amore di una donna, un vero e proprio codice e galateo dell'amore, con tanto di illustrazioni delle diverse tattiche di corteggiamento. Ne riporto l'incipit del primo libro:
( Ars amatoria, Libro I, 1-7)
"Se c'è tra voi chi non conosca ancora
l'arte d'amare, legga il mio poema
e fatto esperto colga nuovi amori!
Solcano l'onde con le vele o i remi,
sospinte ad arte, l'aglili carene;
con arte noi guidiamo il live cocchio:
con arte dunque è da guidarsi Amore!"
11. Apuleio (125 d.C.-150 d.C.)
Apuleio fu brillante oratore, filosofo ed esperto di magia, imparando soprattutto l'eloquenza latina. Affascinato dal misticismo e dalla magia si fece introdurre ai vari culti misterici come quello di Mitra e di Eleusi. Di piacevole lettura sia per l'ironia che per lo stile elegante è L'Apologia o De magia e conta 103 capitoli, frutto della rielaborazione del discorso da lui realmente tenuto in tribunale, per difendersi dall'accusa di stregoneria nei confronti di una nobile vedova che aveva acconsentito a sposarlo.
Il vero capolavoro della produzione di Apuleio sono i Metamorphoseon libri XI, (Undici libri sulle metamorfosi), perché l'unico romanzo della letteratura latina in nostro possesso. Sant'Agostino lo definisce Asinus aureus, da qui prese poi il nome di Asino d'oro.
Riporto qui di seguito un estratto dal De magia.
( De magia, Dentifricio o veleno?, 6)
"Calpurniano, ti saluto con versi improvvisati.
Ti ho mandato (come mi hai chiesto) nettezza di denti,
splendore di bocca composto di arabiche erbe,
una polverina fine, candeggiante, nobile,
che appiana la gengivetta gonfia,
che spazza via i resti del cibo del giorno prima,
perché non si veda alcuna scura traccia di sporco
se per caso riderai con le labbrucce aperte."
Come avrete visto dai testi che vi ho riportato, i latini erano uomini pratici, che avevano a cuore le tradizioni romane; tuttavia nella serietà degli Annales, dei poemi epici celebrativi e della pura elegia amorosa c'è sempre spazio per una risata, una satira o una battuta sagace.