11. Una carriola

Creato il 23 settembre 2011 da Fabry2010

da qui

Quando mi destinarono al dicastero, ebbi una fitta al cuore. Un prete da ufficio non l’ho mai capito.
Si vede una parete bombardata, piena di ferite, come un uomo fucilato in strada.
Pensai di rinnovare, organizzare in modo più agile il mastodonte irrigidito.
Un uomo in giacca e cravatta si mette le mani nei capelli: cosa è successo? C’è un motivo per cui tutto va in rovina?
Ero incerto se accettare; mi consigliai, pensai al paese, alla lunga strada che sale verso la parrocchia, tra due file di alberi.
Un altro è sdraiato sul tetto della macchina, come se il mondo fosse stato rovesciato, per comprenderne il senso.
Vidi la chiesa che ricorda San Miniato, il grigio e il bianco che si alternano per dare agli occhi una sensazione di riposo.
Le strade sono piene di macerie, verrebbe voglia di guardare oltre gli scuri, per sapere se qualcuno stia spiando le mosse del presente, se sia possibile concepirsi ancora in un futuro.
Il campanile è un razzo in partenza, no, una colonna in cui si segnano le vicende della storia, no, una matita per scrivere un racconto diverso da ogni altro, perché non tutti i racconti sono uguali, grazie a Dio.
Dal balcone sconnesso si vedono tre ombre che camminano nel viale: sono gli ultimi superstiti di un cataclisma universale?
Da bambino pensavo che ogni storia fosse unica; solo adesso capisco quanto è vero, nelle sale in cui si aggirano personaggi impettiti, attenti a evitare espressioni sconvenienti, se ci sei, ma pronti a sproloquiare appena giri l’angolo.
La piazza si popola quasi d’improvviso: dov’eravate, perché siete usciti tutti insieme? Un calesse procede sbilenco, un tram dagli occhi tristi sembra chiedere scusa di viaggiare.
Mi piacerebbe che la porta della chiesa rimanesse aperta; dicono sia pericoloso, perché i ladri rubano, c’è il rischio delle messe sataniche, dei furti nelle cassette per le offerte; io ricordo i tesori del vangelo, che la tignola non può deteriorare, che i furfanti non possono raggiungere.
Il tram si ferma; la gente pare aver dimenticato la porta d’ingresso: tocca di qua e di là, poi si accalcano tutti dalla parte giusta.
Una chiesa aperta è il contrario dei palazzi dove i cicisbei non si confidano perché temono di perdere qualcosa.
La piazza è il cuore del mondo, in cui si aggirano ombre timorose che hanno perso la via e non ricordano più dove si entri né dove si vada, che scorgono macerie dappertutto e non sanno chi abbia provocato tutto questo.
Ricordo la chiesa dove fui battezzato: a pensarci mi commuovo, misuro la distanza tra la vita che esplodeva e quella che implode in queste mura.
Un gruppo di uomini, armati di piccone, lavorano su un mucchio di detriti.
Prima o poi ne uscirò, sono qui per obbedienza.
Un ragazzino trascina una carriola.