Continua il nostro viaggio all'interno della lista dei film che concorreranno all'Oscar nella ormai sempre più prossima notte dedicata.
E questo rischia di essere il più autorevole: 9 candidature e un tema importante, come quello dello schiavismo che è ancora una ferita aperta, una piaga ulcerata nell'ancora giovane storia americana.
Si sa di come agli americani piaccia tanto sbandierare la loro storia ai quattro venti e 12 anni schiavo di Steve McQueen, oltre che regista , videoartista di grande pregio, in questo senso è perfetto.
E' in grado di toccare le corde emotive più nascoste, di stimolare adeguatamente nervi scoperti, getta una luce inquietante su tutta la retorica nazionalista che sta alla base del cosiddetto Sogno Americano raccontando una storia vera che ha dell'incredibile.
Solomon Northup vive 12 anni di incubo in una nazione schiavista e razzista, arretrata dal punto di vista dei diritti civili e dell'ordinamento giudiziario, la sua vita da schiavo è un urlo accorato contro la piaga della discriminazione razziale, un qualcosa da trattare un po' come si fa con la polvere da nascondere sotto il tappeto.
Il punto è proprio questo: Steve McQueen non lascia proprio nulla all'immaginazione, lavora come sa fare lui sui corpi stavolta martirizzati dalla frusta che vi apre solchi sanguinanti come autostrade, disegnando però personaggi eccessivi in un senso o nell'altro.
E gli unici fattori di perturbazione , guardacaso sembrano non appartenere allo stesso mondo in cui vivono Epps e Northup, l'alfa e l'omega di tutto il film, i due estremi che diventano due simboli di umanità e di disumanità.
In questo McQueen dimostra di essersi abbastanza appiattito sui dettami hollywoodiani: se il suo lavoro visuale è estremamente personale, la scrittura è semplificata, quasi deteriore,.un bignamino ad uso e consumo del grosso pubblico che dovrà indignarsi e uscire dalla sala con le lacrime agli occhi, di rabbia e di commozione.
Un po' troppo didascalismo per far tracimare l'impegno civile di una pellicola come questa in cui tutto deve essere a vista, una sorta di open space in cui tutto dovrà essere perfettamente comprensibile alla vulgata cinematografica che poi assegnerà gli Oscar.
Il primo film hollywoodiano del britannico, nero, McQueen , rischia di averci fatto perdere un talento che aveva soggiogato e fatto girare la testa a molti con film come Hunger e Shame, film indubbiamente più astratti e cerebrali di questo 12 anni schiavo che risulta a conti fatti quasi una semplificazione del lavoro di un regista che arrivato ad Hollywood per imporre il suo stile se ne torna a casa magari con la saccoccia piena di premi ma levigato nel suo modo di fare cinema altrove senza compromessi.
Insomma 12 anni schiavo è un film importante ma un filo deludente soprattutto per chi si aspettava da McQueen qualcosa di bello ed estremo.
Qui invece ci troviamo di fronte a un solido melodramma che lascia solo intuire le potenzialità di un regista che ha un talento come pochi.
Si riporterà a casa la sua bella vagonata di Oscar. Sperando che non abbia come al solito cannato il pronostico.
Durante i titoli di testa la bradipa mi fa sottovoce: "Ma di che parla, della storia di Kunta Kinte?"
E io " No, parla del fratello..." Lei un po' sospettosa che me ne stia uscendo con una delle mie solite cazzate un po' sostenuta mi dice " E chi sarebbe questo fratello?"
Sentendomi un po' come il George dell'immortale sitcom inglese George e Mildred le rispondo " Kunta Tore!"
E mi prendo subito il mio schiaffone d'ordinanza.....
Ecco con questa cosa vergognosa direi che per oggi la possiamo anche finire qui....
( VOTO : 6,5 / 10 )