12. Interruzioni

Creato il 29 gennaio 2011 da Fabry2010

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Ora che si è trasferito da Venezia, Marco è aggredito dalla nostalgia. Al posto del cuore ha un dolore sottovuoto fatto di immagini e suoni: il Palazzo Ducale e il campanile di San Marco gli appaiono sotto un grumo di nuvole e sprazzi di cielo azzurro intenso; un gabbiano entra nel quadro come un segno di arrivo o di partenza, il grido di una natura non contaminata da stratagemmi umani. Il ponte di Rialto è il simbolo di due mani giunte in una preghiera senza voce, gli archi sono occhi moltiplicati all’infinito per piangere le lacrime che faticano a sciogliersi sulle guance di pietra bianca e grigia. Dal sestriere di Cannaregio gli giunge un riflesso della Chiesa dei Miracoli: la luce esplode nell’abside per offrire uno scampo al buio che avverte in fondo al cuore. Il Canal Grande è la prova di una città costruita sull’acqua e per l’acqua, perché ogni cosa si specchi nel suo doppio, anche la nostalgia che ora afferra l’anima di Marco e la strappa in mille pezzi, come le tessere del mosaico di Ca’ d’Oro o le finestre dei Frari, che si lasciano trafiggere dal bagliore del mattino. A Roma ha già provato i morsi del traffico, la folla che lo preme da ogni parte, la gente che lo cerca e gli impedisce di scrivere con serenità. Gli accade un fatto strano: ogni volta che è interrotto, ripensa al punto a cui stava lavorando, lo soccorrono altre idee, prospettive che gli erano sfuggite, orizzonti inediti che si propongono quasi con violenza. Solo adesso intuisce la forma di un’opera che si lascia ferire dalla vita e lo spinge verso l’alto, come fosse issato a forza sul Campanile di San Marco e cogliesse con una sola occhiata il Canale della Giudecca e il Canal Grande, le isole della laguna e le migliaia di tetti rossi che danno il colore inconfondibile alla città della memoria, alla lama sottile e invisibile della sua malinconia.



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