[I post che ho dedicato alla Vocazione di San Matteo del Caravaggio (1, 2, 3) mi hanno procurato l’immenso piacere di uno scambio epistolare con un autorevole studioso di storia dell’arte nei cui confronti ho sempre nutrito immensa stima. Non me ne ha fatto divieto, ma eviterò di farne il nome, perché il fatto che mi abbia contattato per dare il suo fin troppo lusinghiero avallo alle mie riflessioni potrebbe metterlo a rischio di qualche speciosa molestia di rimbalzo. Se ne parlo, d’altronde, è solo per dare una spiegazione al post qui sotto, che è stato scritto su suo espresso invito, e che senza questa premessa potrebbe essere letto senza riuscire a coglierne il registro ironico, peraltro esplicito fin dal titolo: in una delle sue e-mail mi ha chiesto di produrgli un esempio di quelle disavventure che capitano – avevo scritto in risposta al commento di un lettore – a «tanta critica d’arte, che, per liberarsi dal rigore dell’analisi scientifica dell’opera (contesto storico, tecnica, ecc.), vola per i cieli dell’interpretazione arbitraria» e «piega gli elementi formali dell’opera d’arte alla concettuosità di chi la guarda», sicché accade che «la tela deve adattarsi a ciò che l’occhio vede in essa». Quanto segue, con dedica, è l’esempio richiestomi.]Il Tondo Doni come psicobiografia gay di Michelangelo
È opinione corrente che la scena dipinta da Michelangelo Buonarroti nel Tondo Doni raffiguri Maria nell’atto di prendere il piccolo Gesù dalle braccia di Giuseppe che glielo sta porgendo. Tutto sbagliato, si tratta esattamente del contrario: è Maria che porge Gesù a Giuseppe. Questa lettura consente di liberare l’opera dalla fredda analisi formale che la liquida come «punto di partenza del Manierismo» per farne un vero e proprio diario dell’anima dell’artista.Prima di passare a considerare i significati che si sprigionano dall’opera se letta in questo modo, diciamo subito che questa lettura non confligge con quanto è assodato sul piano storico in relazione a ciò che ne spiega genesi e struttura. Se infatti la scena starebbe a rappresentare il «dono» di Gesù che Giuseppe fa a Maria, in evidente allusione al cognome del committente, Agnolo Doni, la lettura alternativa di Maria che «dona» Gesù a Giuseppe non la contraddice.Peraltro, le posture dei tre personaggi della Sacra Famiglia sono compatibili con entrambe le letture, anzi, quella alternativa qui proposta risulta ancora più convincente. Gli occhi di Giuseppe, infatti, sono rivolti verso il «dono», com’è naturale in chi compia l’atto di riceverlo, mentre in Maria, che lo sta «donando», analogo sguardo è giustificato, dato il gesto di porgere il «dono» a chi è posto alle sue spalle, dalla premura di verificare se la presa sia sicura.