15. Cella

Creato il 16 maggio 2011 da Fabry2010

da qui

La stanza è minuscola: cinque metri quadrati, riempiti quasi per intero dai letti a castello, un armadietto dalle ante sconnesse e un tavolo in legno con una sedia instabile. Yoh’anan, Eleazar e Nathane sono ancora storditi dall’aggressione subita nel deserto. Si chiedono cosa abbia spinto la squadraccia a ridurli così e a rinchiuderli qui dentro. Yoh’anan intreccia le mani sulle cosce e guarda dritto avanti a sé. Eleazar ha gli occhi bassi, mortificato che un omaccione come lui possa ricevere una batosta di tali proporzioni. Gli occhiali di Nathane sono rotti, una tragedia per uno come lui.
- Tu e la tua storia dello scritto del maestro.
- Non cominciamo a rinfacciare. Non basta un pestaggio per cambiare idea. Ricordate l’ultimo biglietto? Il wadi tortuoso diventerà dritto. Ne usciremo rafforzati.
Eleazar raccoglie le forze per sollevare gli occhi dal pavimento in pietra:
- Cosa cerchiamo? Uno scritto di Dio? Ecco che cosa si ricava: ci ammazzano e non sappiamo la ragione. Bisogna accontentarsi, nella vita.
Yoh’anan si volta lentamente. I suoi occhi fissano quelli del compagno:
- Accontentarsi? Abbiamo vissuto tre anni nel deserto per arrivare a questa conclusione?
- Mi chiedo se il nostro non sia un idealismo fuori luogo. Sono passati duemila anni e non è cambiato nulla.
- Tocca a noi fare qualcosa: o aspetti che si muova qualcun altro?
- Siamo pochi. Nessuno crede più nella giustizia. La società è a compartimenti stagni: il ricco con il ricco, il povero col povero.
- Non fare il disfattista.
Nathane mette insieme i pezzi delle lenti.
- Non possiamo rinunciare al primo ostacolo. Dello scritto non m’importa nulla, dei disgraziati sì: ci vuole qualcuno che sia la loro voce.
In quel momento, la porta si spalanca: sulla soglia, un uomo in divisa beige, camicia con cravatta, berretto alto a visiera. E un manganello in metallo tra le mani.



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