150mo dell’Unità: la storia del “sacrificio” della principessa Clotilde

Creato il 16 marzo 2011 da Marinam

Il nostro Risorgimento è stato molto maschio, nel senso che l’Italia, sia dal punto di vista militare che da quello politico e diplomatico, l’hanno fatta gli uomini. L’unico personaggio femminile a prendere notoriamente parte alle vicende che portarono all’Unità (di cui un po’ obtorto collo si celebra il 150mo anniversario) è stata una cocotte d’altro bordo, come si diceva allora. Una bella signora dai costumi non propriamente irreprensibili che Cavour infila nel letto di Napoleone III con l’obiettivo di convincerlo a sostenere la causa italiana. Insomma sul suolo nazionale di eroine in senso stretto neanche l’ombra. Niente Charlotte Corday, niente regine patriottiche, niente Giovanne d’Arco. A parte una ragazza di cui molti, se non tutti, hanno quasi completamente dimenticato l’esistenza. Eppure se l’Italia è stata finalmente fatta lo dobbiamo anche al senso del dovere di una fanciulla che facendo tacere i suoi desideri e le sue reali aspirazioni si sacrifica per il bene comune. Questa ragazza si chiama Maria Clotilde di Savoia ed è la figlia dell’allora re di Sardegna Vittorio Emanuele II. A lei, eroina dimenticata del Risorgimento, vorrei dedicare un pensiero in questi giorni di commemorazioni.  

L’importanza politica di un’alleanza dinastica tra Savoia e Bonaparte alla vigilia della guerra con l’Austria, rende pressoché inevitabili le nozze tra Clotilde e Gerolamo Napoleone. Il problema è che la figlia prediletta di Vittorio Emanuele II e il cugino libertino dell’imperatore dei francesi sono l’uno agli antipodi dell’altra. La religiosissima e non bella principessa di casa Savoia è la sposa meno adatta per questo Bonaparte anticlericale, massone, donnaiolo e bon viveur, la cui vita dissipata sta innervosendo persino il cugino Napoleone III che santo non è. Dell’affare si comincia a parlare  nel salotto della principessa Matilde, sorella dell’aspirante sposo. “Quello è matto” pare abbia esclamato Vittorio Emanuele II con il suo solito franco parlare, una volta informato della congiura ai danni della povera Clotilde. Quanto a Cavour, neppure lui al momento si sofferma sulla questione, infatti secondo la sua strategia dinastica la primogenita del re avrebbe dovuto essere accasata in Belgio, salvo proposte più interessanti. Anche Clotilde, tutta casa, chiesa e dame di carità, come già prima di lei la madre e la nonna, non se ne cura. La principessa ha ben altro a cui pensare, ad esempio a tirar su i fratelli minori poiché il re di Sardegna è vedovo di Maria Adelaide d’Asburgo fin dal 1855. Tuttavia nell’aprile del 1858 il conte di Cavour viene informato che un matrimonio Savoia-Bonaparte rientra nei piani di alleanza franco-piemontese in vista di una guerra contro l’Austria. A queste nozze ci tiene l’Imperatore in prima persona, Cavour quindi capisce che non c’è tempo da perdere. Il ministro piemontese raggiunge Napoleone III a Plombières, e nella celebre stazione termale si decide il destino della povera Clotilde. Il matrimonio della principessa sabauda con Gerolamo Bonaparte è una delle conditio sine qua non per la futura alleanza con il Piemonte, ma Vittorio Emanuele II non ha il coraggio di insistere troppo e passa alla diretta interessata la lettera che gli ha scritto Cavour. Clotilde è ovviamente perplessa, lo spasimante del quale conosce carattere e precedenti, ha anche venti anni più di lei, ma si mette nelle mani del Signore e temporeggia. Cavour invece parla chiaro, da quella unione dipendono il futuro della dinastia e della patria. Il re a sua volta, angosciato all’idea di forzare sua figlia, assume una posizione interlocutoria e molti a corte prendono le parti della principessa da sacrificare sull’altare delle utili alleanze. In piena crisi, quando l’accordo sembra stia definitivamente per saltare Clotilde fa sapere di essere disposta ad incontrare Gerolamo e a sposarlo se appena lo troverà accettabile. L’improbabile coppia si incontra a Torino nei primi giorni del 1859, le nozze vengono celebrate il 30 gennaio e l’8 giugno Napoleone III e Vittorio Emanuele II, al termine di una vittoriosa campagna contro l’Austria, entrano a Milano.

Trasferita a Parigi Clotilde rifugge dagli splendori della corte imperiale. Modestissima, ma fiera mette al posto suo la splendida imperatrice Eugenia, elegante e raffinata ma di origine non reale che le vuole insegnare come ci si veste. “Signora – le risponde secca la neo principessa Bonaparte – IO in una corte si cono nata”. Caduto anche il Secondo Impero, la principessa decide di non abbandonare la città in rivolta e in una lettera spiega al preoccupatissimo genitore che questa scelta “farebbe il più pessimo e deplorevole effetto”. “Partire, quando il paese è in pericolo – prosegue – è il disonore e l’onta per sempre”. E lei ha da mantenere alto il suo nome: “Non sono una Principessa di Casa Savoia per niente!”. Così mentre l’imperatrice Eugenia lascia la capitale travestita, Clotilde aspetta che venga proclamata la repubblica, e poi se ne va in pieno giorno con la sua carrozza scoperta.

Chiusa la parentesi francese, abbandonata da marito in gravi ristrettezze economiche, la principessa torna nella sua famiglia di origine per dedicarsi principalmente alle opere di beneficenza ed alla preghiera. Muore nel 1911 a Moncalieri dove si era ritirata e nel 1942 viene avviato un processo di beatificazione. Il figlio maggiore Vittorio Napoleone sposa Clementina del Belgio e da lui discendono gli attuali pretedenti “bonapartisti”, mentre la figlia Laetizia, che ha ereditato il carattere esuberante del padre, si unisce in matrimonio con lo zio materno Amedeo duca d’Aosta.