Mario imprecò, mollando la borsa da viaggio, e senza nemmeno togliere la giacca, si era precipitato in cucina. Stefano lo udì bestemmiare pesantemente, allora uscì dall’angolo in cui si nascondeva e raggiunse il fratello. Aveva spalancato le ante degli armadietti e stava frugando febbrilmente nella dispensa, rovesciando scatolette e contenitori.
«Che cosa cerchi?», gli aveva chiesto Stefano, sorprendendolo.
Mario aveva cacciato un grido e si era voltato con sguardo assassino, lanciandosi in una sequela di maledizioni: «Cazzo hai fatto, Sté?», lo investì a mo’ di saluto.
«Che cercavi? », ripeté Stefano.
«Da fumare.», rispose mettendosi a sedere fingendo disinvoltura. Aveva la fronte imperlata di sudore e il collo rigido, i tendini tesi. Stefano indicò il barattolo con la chiusura ermetica che stava sopra il frigorifero: «Sicuro? Oppure volevi sincerarti che non avessi trovato la tua merda?»
Trasformando l’espressione spaventata in sollievo, Mario si precipitò ad arraffare il recipiente, portandoselo al petto come se fosse un tesoro. Non ci fu bisogno che gli domandasse se l’aveva aperto, perché glielo lesse negli occhi e ciò che vide non gli piacque. Lo sguardo del fratello maggiore s’indurì di nuovo: «Che hai fratellino? Pensi di farmi la morale? Risparmia il fiato!», e fece per uscire.
«Come puoi tenere quello schifo in casa e non dirmelo? Cazzo, se saltasse fuori penserebbero che è roba mia! Tu hai ancora residenza con tua moglie! Porca puttana, Mario, ma la usi?»
Gli rispose avanzando verso la camera: «Quante stronzate, Sté. Primo, nessuno perquisisce l’appartamento dove vive un poliziotto, residente o meno. Secondo, ti pare che io usi questa merda? Il fatto di farsi qualche canna non implica il consumo di tutti gli stupefacenti. È qui perché faccio un favore, la tengo per un amico. Terzo, la porto via, me ne vado stasera stessa. Mi trasferisco, quindi ritorna a respirare, coglione! Capisci perché non ti ho detto nulla?»
Stefano si sentiva come quando aveva cinque anni e trotterellava appresso al fratello maggiore, senza capire in pieno le sue azioni o gli scherzi dei suoi amici. Per un attimo ricordò tutto il disagio che gli aveva fatto provare Mario in passato, la sua abilità nel passare per il fratello migliore, quello con le rotelle a posto, quello che vegliava sullo spiantato artistoide sognatore e combina guai. Ad un tratto il rancore esplose nel petto del ragazzo: «Non darmi del coglione! Cosa cazzo stai combinando, Mario? Quella… Quello schifo e quei soldi, da dove arrivano? E tu dove stai andando?»
Gettando vestiti alla rinfusa nel secondo borsone, quello che aveva portato dopo la cacciata di Monica, Mario aveva risposto con tono infastidito (esattamente quello di quando erano bambini): «Che palle, Sté, vuoi sempre sapere tutto! Vado da Federica, stiamo insieme adesso. ». Stefano rimase immobile, facendo mente locale: Federica era la donna di quel trafficante, era incinta quando Mario aveva rotto con la moglie, a quest’ora doveva aver avuto il figlio, era una delinquente. La confusione che gli si dipinse sul volto fece ridere Mario: «La droga è sua, la mia squadra l’ha sequestrata il giorno che abbiamo arrestato suo marito. Diciamo che io ho fatto in modo di venirne in possesso. Nel frattempo lei ha avuto una bambina, Isabella. L’abbiamo portata dalla zia in Venezuela e tra un po’, dopo la vendita della roba, Federica ed io la raggiungiamo in Sudamerica e adios Milano! Per quando uscirà, suo marito non saprà dove siamo finiti!»
Stefano era sempre più stupito: suo fratello aveva sottratto l’eroina dai depositi della polizia, si era messo con quella donna e aveva ribaltato tutta la sua vita e lui non si era reso conto di nulla! La situazione era così paradossale e lontana dai suoi pensieri che per un attimo pensò che fosse un sogno, ma Mario gli afferrò il braccio abbastanza da fargli male: «Lasciati fuggire una parola e giuro che finisci male. Non hai idea di cosa racconterei in centrale, se tu mi incastrassi. Non esistono fratelli, quando si parla di giochi pericolosi. Ti ho confidato questo segreto perché ti voglio bene, ma tu prova solo a incastrarmi e faccio trovare merda in cantina e nello studio dei tuoi amichetti fricchettoni, e magari pure dalla tua vecchiaccia scopaiola, quella di Varese. Non dimenticare, io sono nelle forze dell’ordine e per la maggior parte dei benpensanti voi artisti di Brera siete tutti pazzi e drogati!»
Stefano si sentiva fluttuare in una dimensione astratta, aveva la bocca acida, provava repulsione per il fratello, era come vedere un estraneo con i suoi occhi. Non era più Mario ma una maschera senza espressione e si ricordò che era armato.
Il giovane si liberò il braccio e fece dei passi indietro, appoggiandosi alla parete del corridoio. Ascoltò il fratello armeggiare con la cerniera della borsa e lo vide uscire come una sagoma indistinta. Sulla porta Mario si voltò, la divisa da poliziotto su una gruccia appesa alla spalla, come un ragazzo con lo zaino: «Ciao Sté. Se non mi vorrai sentire per un po’, io lo capisco. Rimaniamo sempre fratelli, questo non lo scordo.»
Stefano non alzò lo sguardo sul fratello, lo spinse fuori con gesto lento ma inesorabile, poi richiuse la porta dietro di lui.
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