Se
ho capito bene, pur di non essere costretto a dimettersi, Tsipras si
prepara a stringere a una sorta di Patto del Nazareno con forze
politiche a cui Syriza si dichiarava alternativa, e irriducibilmente alternativa, nel momento di
chiedere il voto alle elezioni di appena sei mesi fa. In sostanza, si
prepara ad ingannare i greci una seconda volta, perché è evidente
che così viene tradito anche il mandato chiesto e ottenuto alle
elezioni politiche del 25 gennaio, come già è stato per il no
chiesto e ottenuto al referendum del 5 luglio. Scelte obbligate, si
dirà, e convengo, ma in base a quale obbligo se non quello di
acquisire e mantenere il potere contro
chi te lo ha affidato, e quindi in spregio al principio democratico
che all’eletto
affida la rappresentanza del volere degli elettori?
Non venite a
dirmi che il principio democratico è per l’appunto un principio,
lo so bene. So bene che in democrazia il consenso si fonda sulla
capacità degli elettori di sopportare, fin tanto ci riescano, la
delusione di veder mancate le promesse dei candidati. Qui, tuttavia,
non siamo al non aver onorato entro la fine del mandato gli impegni
presi al momento di chiedere il voto: siamo al rimpasto di una
maggioranza dopo solo sei mesi, siamo alla firma di un accordo che
tradisce il risultato di un referendum tenuto appena una settimana
prima. In entrambi i casi, siamo dinanzi all’esercizio di un potere
che si fa autonomo dalla fonte che dovrebbe legittimarlo. Sembrerà
esagerato parlare di demagogia e di autocrazia, ma in fondo l’etimo
di questi due termini non descrivono quel che con Tsipras accade in
Grecia?
Eppure – penso agli editoriali di Norma Rangieri di questi ultimi giorni –
Tsipras continua a trovare simpatizzanti in quella sinistra che dà
il meglio di sé quando si straccia le vesti per lo scandalo di un Pd
che cerca e trova accordo con chi aveva solennemente giurato mai
avrebbe stretto un accordo, e che non esita a tappare i buchi aperti
in Parlamento dalle defezioni dell’opposizione interna col soccorso
azzurro della pattuglia di Verdini. Ripeto:
parlo de il
manifesto,
non di chi coltiva la subcultura del «basta vincere, non ha
importanza come».
Il sospetto è che tra i maneggioni del Pd che in
Renzi vedono la mutazione efficace e chi s’attarda
a vantare d’essere
ancora comunista ci sia in comune il tratto di considerare
irrilevante il mezzo rispetto al fine. Che poi è il tratto
specularmente opposto a quello che si rimprovera alla gestione
cosiddetta tecnocratica delle sorti umane, che nella esaltazione del
mezzo correrebbe – si dice – il serio rischio di smarrire fine.
Volevo dire che nel secondo caso c’è
solo il serio rischio di sacrificare il bene comune a interessi
particolari, nel primo c’è
la negazione di fatto della democrazia. Insomma, a Tsipras e a Renzi io preferisco i freddi burocrati di Bruxelles. Al feudalesimo preferisco la monarchia illuminata.