Continua il Viaggio nel Paese del Sol Levante
Questo festival viene organizzato annualmente da tre anni, con lo scopo di rendere più vivace la zona. L’anno scorso era previsto per il 13 marzo, due giorni dopo il terremoto che ha sconvolto il Giappone. E’ stato quindi in quella occasione cancellato e sostituito da un evento, con gli stessi organizzatori, per aiutare le persone delle zone più colpite. In tale occasione sono stati raccolti più di 470.000 yen
In realtà, appena arrivati, ci siamo subito fermati qualche minuto a guardare gli spettacoli dei bambini, gridando all’unisono “kawaiiiii!”. Eccovene uno per intero:
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Il festival comunque non era dedicato solo ai bambini, ma vi partecipava gente di ambo i sessi e di ogni età, con generi del tutto diversi: signori di età rispettabile che cantavano canti tradizionali, l’orchestra di una scuola, varie danze spagnole, latinoamericane, forse quasi hawaiane, ballate con tutta la compostezza che si conviene a delle giapponesi, e poi nuovamente altre rappresentazioni e musiche tradizionali si sono succedute sul palco.
Mentre stavo distribuendo volantini sono incappata in un gruppetto di persone mascherate, che presto si sarebbero unite a molte altre per inscenare una danza tradizionale molto divertente. La maschera principale, è proprio hyottoko. Su internet è difficile trovare informazioni in merito, ed anche i volontari del campo giapponesi in realtà non ne sanno molto, forse perché si tratta di una tradizione molto legata a questa regione: la capo-gruppo viene da Tokyo, che è davvero molto distante.
Forse è meglio un breve video:
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Appena mi è stato detto che “tori” significa pollo/uccelli mi sono subito ricordata come il cognome Toriyama (quello del mangaka che ha creato Dragonball) fosse formato dai kanji “uccello” e “montagna”.
Il giapponese ha un numero estremamente elevato di parole dalla pronuncia del tutto identica (complice di questo è la piccolissima quantità di suoni che questa lingua prevede) e questo è uno dei principali motivi per cui i Kanji sono così importanti: mentre parlando è difficile confondersi, una scrittura fonetica probabilmente non sarebbe sufficiente per garantire la facilità di lettura.
Fra gli spettacoli che erano comprensibili anche ai miei occhi e alle mie orecchie occidentali, questo sembrava veramente quello eseguito con maggiore arte e precisione. I suonatori di tamburi erano perfettamente sincronizzati, pur facendo passi di danza e lanciando le bacchette, scambiandosi anche i tamburi (girandoci intorno) senza smettere di suonare.
Il tamburo centrale che suonava Koki richiede così tanta forza che a metà del primo pezzo è previsto e necessario che i due suonatori si diano il cambio, ma sembra che si tratti di un’esibizione che richiede grande preparazione fisica per quasi tutti i ruoli, oltre che un grande allenamento per raggiungere una perfetta sincronia.
Nel primo pomeriggio è arrivata la notizia che gli organizzatori dello Hyottoko Matsuri ci avrebbero concesso qualche minuto per parlare del Kodomo Geijitsu Festibaru a cui stavamo facendo pubblicità, così siamo saliti sul palco e, dopo una introduzione generale di Saori, la capo-gruppo, ciascuno di noi si è fatto avanti ed ha detto il proprio nome e paese di provenienza prima nella propria lingua, poi in giapponese (“Buongiorno! Mi chiamo Elena e vengo dall’italia! Konnichiwa! Watashi wa Erena desu, Itaria-jin desu“). Poco dopo, finiti gli ultimi volantini, siamo andati a finire di smontare.