Nella semioscurità contrastata dell’alba le tende si gonfiano di folate leggere e i lumi dondolano emettendo un cigolio ritmico. L’aria salmastra respira dentro di me. Seduto al tavolo posto al centro della stanza, un uomo barbuto taglia della frutta facendone spicchi sottili con precisa lentezza, uguale accuratezza. Solleva gli occhi e sorride cortesemente, come se interpretasse un ruolo. << Sono greco >>, dice sottovoce, << Solo da parte di padre, a dire il vero. Sono nato ad Atene, per il resto conosco la Grecia come te >>. Le sue parole mi arrivano confuse, per afferrarle meglio devo avvicinarmi. << Per tutta la vita ho viaggiato, navigato >>, riprende, << Ho assecondato la mia indole divagante, ecco tutto >>. Lo dice con un sorriso fin troppo compiaciuto, ostenta l’aria di chi finge l’obbligo di tacere ma spera di suscitare la curiosità dell’interlocutore. In quel momento preciso comprendo ciò che intendeva Vecchioni: Ulisse non è che un cialtrone, un impostore, il vero eroe è Aiace Telamonio che personifica il merito non riconosciuto. A quel pensiero provo una dolorosa consapevolezza che mi costringe a distogliere lo sguardo dall’uomo e a uscire nel giardino. Ad accogliermi un profumo inebriante di fiori che non so nominare, composti in grandi vasi. Oltrepassato un arco, m’immetto con passo rapido in un lungo corridoio di alberi dalle chiome scolpite. Alcuni gradini, un cortile, poi da qui si diparte un sentiero sassoso da cui è possibile raggiungere il mare. … il greco mar da cui vergine nacque Venere. Il silenzio è inusuale. Sono su un’isola, ora mi è chiaro. Certamente Rodi, dove nonno prestò il servizio militare quasi novant’anni fa. Su questa costa martoriata dai resort non resta più nulla di ciò che vide, e questo mi dispiace. In mano ho una lettera - non me n’ero accorto. La luce mi abbaglia, intorno una profusione di colori, posso mettere a fuoco appena una frase: Je vous prie de me répondre au plus tôt, je tiens à vous parler à temps. Lei dunque mi aveva scritto... Io invece non ho fatto in tempo, non so più nemmeno il perché. Com’è possibile una tale noncuranza… Il tono di quelle parole lascia intendere una certa urgenza; non commozione e neppure sconforto, probabilmente inquietudine. Forse sapeva già che sarei mancato a lungo da questo posto incantato. E ora che sono tornato non porto con me che una tristezza soffusa, mi affligge il dubbio che tra noi ci fossero ancora molte parole da condividere. Incertezza e rimpianto di sempre, compagni della mia esistenza fatta di slanci intensissimi ma poco rigorosa nel perseguire la meta... Sono stanco, adesso, veramente stanco, avrei voglia di sedermi e smettere per sempre di pensare. Improvvisamente, sento sopraggiungere alle spalle una voce calda e materna: << Ti prego, chiudi gli occhi… Qui c’è una pace straordinaria >>. Abbozzo un sorriso. Sono sospeso in questo tepore, sollevato dal vento.
(Fotografia scattata a Rodi l'1 agosto 2013)