Il diario è opera di un soldato indomito e volitivo, mai spezzato dalle sofferenze e dalle ferite (non solo fisiche) della guerra. Si comincia con il clima entusiastico della piazza che sta premendo sul Governo italiano per spingerlo a dichiarare guerra all’Austria-Ungheria: la mobilitazione delle componenti interventiste naturalmente coinvolge anche il mondo della scuola e dell’università. Paolo Caccia Dominioni è uno studente non troppo zelante quando nel maggio 1915 c’è sentore che la guerra sia vicinissima anche per il nostro Paese. Il giovane si arruola, come molti altri studenti e inizia l’addestramento. Forte è la smania di raggiungere il fronte dove si hanno le prime offensive italiane. Poco sa il diciottenne Paolo di cosa sia la guerra; un incontro con un soldato in treno gli permette di sapere che sull’Isonzo si è trovata una coriacea resistenza e ci sono stati tanti morti. Il giovane viene inviato sul Carso nel Genio Pontieri e diventerà tenente. Molti suoi amici vengono feriti o uccisi. Il diarista riesce a dare immagini crude ed efficaci della vita al fronte. Ci racconta di un ragazzo, classe 1899, trovato un mattino ferito a morte alla testa, dagli occhi semiaperti, celesti (“sembra un bambino”). In particolare ha notizia di un amico colpito da una pallottola all’intestino; sembra spacciato ma si salva perché non mangiava da oltre trenta ore e allora l’intestino era vuoto. Il soldato è quindi fuori pericolo. Questa è la guerra e il reparto di Paolo deve partecipare a una temeraria e prolungata iniziativa sull’Isonzo; bisogna predisporre i ponti di barche per i fanti che si lanceranno dall’altra parte del fiume. Il lavoro viene svolto sotto il flagello dell’artiglieria nemica. Anche il diarista viene ferito; durante la convalescenza, scosso dalla perdita di tanti compagni, decide di entrare nel reparto lanciafiamme in quanto considerato arma più combattente. Dopo l’addestramento, torna sul Carso e ci descrive con una prosa curata l’ambiente martoriato da due anni di conflitto e in particolare la sua logorante attività di presidio di Quota Innominata. Nell’ottobre 1917 c’è il dramma di Caporetto. Paolo e i suoi compagni evitano la cattura ma grandissima è la sofferenza per il doversi ritirare. Un segno di ripresa viene individuato in un giovane che compie il percorso inverso rispetto alle truppe in fuga; accompagnato dal padre, cerca di raggiungere il suo reparto per combattere, pur non essendo tenuto a farlo dato che era in licenza. Perché Caporetto? Paolo, ne discute con i commilitoni; la responsabilità è degli alti ufficiali che hanno fiaccato gli uomini in inutili attacchi frontali. Caccia Dominioni parla anche di ordini (da lui non eseguiti) che ingiungevano di perquisire i soldati alla ricerca di documenti sovversivi o disfattisti. Si cita invece come figura positiva il generale Venturi, una mosca bianca nell’ambiente: “Lui preparava le azioni passando settimane in trincea, e anche davanti alla trincea, pigliando appunti e notando ogni buca e ogni pietrone (…). Risultato: ha preso il Passo della Sentinella e il Sabotino con perdite irrisorie”. Poco stimato dai superiori per la sua autonomia e la difficoltà a sposare la tattica degli assalti frontali, Venturi verrà allontanato dal fronte.
Nel 1918 c’è una drammatica cesura nella vita di Paolo; muore in un attacco Cino, fratello del diarista. I due fratelli in alcune occasioni si erano incontrati in trincea e il loro rapporto stretto ricorda anche nel destino tragico quello di altre coppie di soldati fratelli come Giani e Carlo Stuparich e Carlo ed Enrico Gadda. Pur essendo di famiglia influente e imparentata con il generale Porro, i Caccia Dominioni non avevano mai chiesto agevolazioni per evitare le prime linee e nemmeno avevano mai pensato di farlo. La fine di Cino significa il termine dell’esperienza bellica del giovane ufficiale; raggiunge infatti la famiglia in lutto a Tunisi e poi viene trasferito in Tripolitania. Il fisico è logorato da tante battaglie, ma il clima da “Fortezza Bastiani” che si respira nella colonia non gli piace. Noia e scartoffie da ufficio lo esasperano. Chiede più volte di tornare in Italia, al fronte, ma senza successo. In terra d’Africa, riceverà la notizia della fine della guerra e della Vittoria.