Non ci si crede, perchè è impossibileMa Roma allora era proprio così
Nel cuore della mia generazione c'è una immagine splendida, in un film indimenticabile. A bordo di una spider Lancia Aurelia, la più bella decappottabile firmata Pininfarina, Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant sbucano dal Corso - impensabile, ormai da secoli zona pedonale - e attraversano come frecce Piazza del Popolo, inaudito, non c'erano pilastri e catene e neanche una statua vivente vestita da Faraone - e insultano allegramente un povero domestico che porta a spasso i cani, esortandolo a rompere le catene e affrancarsi dalla sua odiosa servitù.Roma d'estate, negli anni '60, era proprio così. Bella come non mai, deserta, con il sole a picco. Tranne che per la spider di Gassman, un traffico inesistente, nel silenzio lo stridio della Circolare Esterna Destra lungo valle Giulia, il fruscio dei copertoni dei filobus sull'asfalto rovente. Di giorno era una città fantasma, i negozi quasi tutti chiusi, i posteggi vuoti, i mercati rionali spopolati, i banchi dei cocomerari oasi di gelo. Rare figure si muovevano nell'ombra dei palazzi, le fontanelle erano apprezzate soprattutto dagli stranieri, nelle loro città del nord non c'erano poerchè non c'era neanche il sole, si beveva dalla testa di lupo tappando il foro sotto la gola con un dito e attingendo allo zampillo. Villa Borghese, polverosa e disabitata, era una gran macchia d'ombra.[...]
La sera era tutta un'altra cosa. Con l'allungarsi delle ombre, il trascolorare del cielo in quel strano miscuglio, sempre commovente, di indaco, celeste, blu con una punta di verde acido, uscivamo tutti dalle tane degli uffici e delle case. Roma allora era tutta dipinta di rosso, un rosso minio imposto dai piemontesi dopo la conquista (per i romani il termine è esatto) per uniformare quelle facciate tutte diverse, color pastello, lilla, pistacchio, rosa, avorio, che facevano fremere i Sabaudi con quel loro ricordare il Sud, il Meridione, la Bassa Italia, in una parola l'Africa. Alla fine del giorno, d'estate, i muri di Roma cambiavano colore; il rosso sangue, a tratti sbiadito, a tratti scolorito, che ricopriva tutto, dal Quirinale a Palazzo Chigi, da via Frattina a via del Babuino, risputava il caldo immagazzinato e diventava quasi viola.Allora, per la sera e la notte romana, c'era solo Trastevere, San Lorenzo era ancora un brutto quartiere senza alcuna attrattiva, a Testaccio c'erano solo tre ristoranti di fronte al mattatoio, il Pigneto era terra vergine. [...]
Si andava in Trastevere verso le nove, a bere un primo vino fresco, traditore, per aspettare l'ora di cena, un'ora civile, [...]. A Trastevere si cenava bene, modestamente, senza pretese, quasi dovunque e con poca spesa, tranne in quei due o tre locali famosi, accuratamente da evitare. Gli altri commensali erano del quartiere, famiglie intere dal nonno al nipotino, cui si somministrava immancabilmente una goccia di vino anche se quasi lattante, 'pe' fallo riposà'.Il vento della sera rinfrescava tutto e tutti, e si poteva cenare anche alle due dopo mezzanotte: all'uscita dell'ultimo turno dell'agenzia di stampa nazionale, insieme con i telescriventisti, si cercava una delle tante osterie ancora aperte, sulla porta l'oste sfatto dal caldo, grasso e in canottiera, la figlia maggiore appoggiata alla cassa e la moglie affacciata sulla porta della cucina, che senza fiatare tornava difilato ai fornelli a farti una penna all'arrabbiata. Di arrabbiato, a Roma, in quegli anni, c'era solo quello.
Giulio Colavolpe(Incontro, l'altra informazione - luglio 2011)