1970’s Wenshan Bao Zhong (da Tea Masters)

Da Lasere

Temporale in arrivo. Almeno pare. Nuvoloni grigi e veloci, fugaci sprazzi di sole, abbaglianti. Vento forte a folate che le senti arrivare da lontano, mulinelli di terra secca e foglie in procinto di.

Oggi rinuncio al giardino alla mercé delle intemperie: non ho voglia di scappare da una pioggia improvvisa. Mi accomodo prudente (non è da me) sotto la loggia della grande terrazza, in attesa. Che stia per caso invecchiando crescendo?

Mi tengono d’occhio bocci appassiti di passiflora, i buffi baccelli del glicine che penzolano dal pergolato, in terra qualche mela cotogna: altre, ancora appese, hanno muffe che disegnano cerchi concentrici, bersagli in miniatura. Cornacchie in lontananza, a godersi le correnti impreviste come fossero su un ottovolante; fruscii di piante diverse: noce, mandorlo, melograno… Estate e autunno convivono già – o ancora -, prima di darsi il cambio definitivo. Io li spio e oscillo, pigra, in bilico tra il qui e il là.

Inspiro forte il sollievo strano di questa solitudine, dell’aria già fresca di pioggia, di questo silenzio abitato.

Ho con me Paul Celan – a ricordarmi di un’altra pioggia, in un’altra città – e un Bao Zhong invecchiato: foglie provenienti da diverse raccolte risalenti alla metà degli anni ‘70. Un po’ più vecchio di me, dunque; l’idea mi rincuora e tranquillizza, senza un riconoscibile perché.

… Vidi il mio pioppo calare nell’acqua,
ne vidi il braccio tastar giù nel profondo,
e, protese al cielo, le radici ad implorar notte.

Gli sprazzi luminosi si son fatti più rari, intanto. In lontananza sento i primi tuoni arrivare. Aspetto. Ne approfitto per lasciare che le foglie respirino in quest’aria di casa, certo così diversa dalla loro, quella di Taiwan: che si ambientino, che smaltiscano un po’ la nostalgia.

Di quando in quando copro con la mano la tazza in cui le ho messe, per paura che se ne volino via dietro a un’idea di temporale, a una giravolta d’aria, com’è solita fare la sottoscritta. Ne lascio scappare qualcuna di proposito e mi viene da sorridere nel vederle partire alla ventura.

Intanto le osservo, le annuso: hanno un aroma che commuove. La tostatura (torrefazione) è misurata, nient’affatto invadente come invece talvolta accade con certi oolong invecchiati: di norma tutti gli oolong che si decida di far “maturare” vengono tostati ad intervalli più o meno regolari e frequenti – fino ad un massimo di una volta all’anno, a quanto ne so – per eliminare l’umidità che potrebbe comprometterne l’affinamento: è una procedura che richiede grandi esperienza e maestria, ché basta un niente e si esagera, si cancella ciò che quel tè era stato, gli si spiana la memoria col fuoco riducendolo a poco più che carbone.

Non è questo il caso, proprio no: questo tè è un vecchio dalla memoria vigile e dall’eloquio incantatore.

Nelle foglie asciutte riconosco chiaramente note di fichi secchi, di cioccolato fondente, di cassonade bruciacchiata e di sciroppo d’acero (il grado più scuro e concentrato), e per un attimo mi sfiora i pensieri un goccio di crema di whisky: memoria e suggestione si fondono in uno dei bouquet più seducenti che mi sia mai capitato di incontrare.

La temperatura cala rapida, tempo di entrare in casa a prendere uno scialle. A sentirne il tepore sulle spalle mi sorprendo ad interrogarmi su chi vorrei lì, accanto, in questo momento di tuoni lontani e piccole malìe. I nomi si contano sulla punta di un solo dito, e io, che di dita ne ho ben venti e dovrei imparare ad andarne fiera, mi risparmio il peso di ogni commento.

Mi stringo più stretto lo scialle intorno e mi risolvo a tentare una prima infusione, nonostante la pioggia che ancora si fa pregare: riempio quasi metà della teierina con le foglie scure e appena ritorte: partiamo pure senza di lei (senza di loro).

In bocca, delicate note di pane tostato aprono il cammino ad una cornucopia di frutta secca, spezie, cacao amaro… e in fondo, proprio in fondo, senza che si osasse sperarlo, ecco i fiori della sua infanzia, la dolcezza tenue e primaverile del lillà: per un istante è come se questo Bao Zhong tornasse ad avere poche settimane di vita. Incredibile!

E’ un aroma di cui si percepisce la fatica del riemergere, lo sforzo del dover attraversare trent’anni di vita: ma c’è, ce la fa, ci riesce. E io dall’incanto passo all’amore.

Annuso le foglie infuse, convinta che non sia lecito attendersi altre sorprese… e invece: foglie di rovo, frutti rossi, lamponi soprattutto: lamponi!

Nel frattempo il temporale mi ha presa bonariamente in giro, mi ha sfiorato il cielo per passare oltre. Peccato, ero in vena di burrasche. O forse no, forse non lo sono mai davvero.

Allento i lembi dello scialle, li lascio scivolare giù, mentre sono già alla quinta infusione: le note tostate si sono attenuate e trasformate, si sente un vago lievito di mollica di pane, poi una freschezza leggermente aspra, come di more acerbe.

Arrivata ai cinque minuti di infusione mi fermo, persuasa che per stavolta mi abbia raccontato tutto ciò che doveva. Ma mi ripropongo di provarlo anche con un metodo di infusione diverso dal gongfu cha (diciamo pure opposto): poche foglie e tempi lunghissimi, come suggerito in questo post.

Tazza, teierina in argilla e foglie di tè provengono dalla Tea Masters Selection. Ve la racconterò meglio a breve in un post dedicato, perché vale davvero la pena parlare un po’ più approfonditamente dei tè che offre e del blog che la ospita.

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