Creatore: Stefano Accorsi, Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo
Attori: Stefano Accorsi, Guido Caprino, Miriam Leone, Tea Falco,
Fabrizio Contri, Antonio Gerardi
Paese: Italia
La notizia, qui, è che pur non essendoci Sollima dietro 1992, hanno tirato fuori un'altra serie degna di nota nel nostro Paese. Di quelle che si può non chiamare fiction, termine che ormai indica uno a caso dei vari prodotti che circolano nella tv italiana, così fastidiosamente simili da non avere nemmeno bisogno della differenziata. Con Romanzo Criminale sembra siano stati settati i livelli sotto i quali non si può scendere se si vuol parlare di prodotto seriale che possa essere preso seriamente in considerazione come tale. Quindi è venuto fuori Gomorra, ed ora a distanza di un anno 1992. Insomma, da non credere nemmeno alla possibilità che in Italia ci potessero essere serie televisive dal respiro internazionale, adesso con esse ci si può quasi riempire le dita di una mano.
Non è proprio una considerazione da nulla, su. Se si tiene conto che ogni Paese per forza di cose non potrebbe, pur volendo, non personalizzare un prodotto, allineandolo ai propri stilemi (se ne parlava già mentre si scriveva di Love/Hate) non può non essere interessante che un "nuovo" Paese proponga la sua visione di una struttura ancora non del tutto sdoganata ovunque (la serie tv, per l'appunto), se non altro in termini di produzione. Sarebbe in ogni caso una cosa mai vista. Infatti quanto accaduto con Romanzo Criminale è stato emblematico: pur con i suoi difetti a venirne fuori è stato un ottimo prodotto che per ambientazioni, fotografia e respiro assai caratteristico (non solo per lo script nato da fatti prettamente interni al Paese) solo noi potevamo produrre - in realtà prima era accaduto già con Boris, che è però una sit-com. Stesso discorso per Gomorra e stesso discorso, ora, per 1992. In quest'ultimo caso, tuttavia, il discorso in specie assume una rilevanza ancor più marcata perché va ad occupare direttamente il primo posto tra gli attori protagonisti della riuscita del prodotto.
1992 non è una serie che ha la sua forza nella sceneggiatura prettamente intesa, né tanto meno nei dialoghi. Non ha nemmeno un fascino estetico superiore ad altri prodotti e, diciamocelo, in più di un'occasione la recitazione lascia parecchio a desiderare, al punto che se il risultato finale non si assesta su livelli definitivi è proprio a causa di cadute di stile davvero un po' troppo ingenue per uno show che per certi altri versi mostra una maturità assai invidiabile, che poi è anche ciò di cui scriverò a breve. Non si capisce se alcune scelte siano conseguenza diretta di direttive imposte, fatto sta che alcuni tasselli sfiorano quasi il ridicolo, e dispiace anche solo scriverlo. Guido Caprino nel ruolo del leghista improvvisato è obiettivamente scarso; rende la gran parte delle sequenze di cui è protagonista posticce e impostate, probabilmente anche a causa dell'accento da leghista idiota (come se ci fossero altri tipi di leghisti, starete pensando) che deve riprodurre. Tuttavia, va detto, una parentesi qua e là di recitazione credibile la offre anche, specie nella parte finale della serie. Il vero dramma, qui, è Tea Falco: non si riesce a capire come sia possibile che le abbiano permesso di recitare in quel modo, di settare la voce in quel modo, di presentarsi in generale davanti ad uno schermo in quel modo. Impressionante. Se vogliamo dal punto di vista dell'uso delle espressioni non è troppo inferiore ad altre recitazioni se non altro sufficienti, ma è proprio il percoco in bocca che rende pure il posticcio del Caprino di cui sopra una prova attoriale accettabile. Ogni volta che compare sullo schermo la qualità di 1992 scende di 3-4 livelli per risalire, con fatica, solo allo stacco successivo.
Fortunatamente a compensare, in parte, ci sono discrete sorprese, sempre attoriali. Si comincia con un fantastico Fabrizio Contri nei panni di un Dell'Utri identico all'originale, solo con più stile, e un ottimo Gerardi nei panni di Di Pietro, anche lui graziato stilisticamente; Si continua con Miriam Leone - che dopo Miss Italia si ripresenta al grande pubblico come un'attrice che può assolutamente essere definita tale, capace di dare credibilità al suo personaggio senza sbavature di sorta - e un sorprendente Stefano Accorsi. Già, non solo si comporta bene nel ruolo di Leonardo Notte, ma si comporta egregiamente anche nel ruolo di leading actor, quello che ti trascina la pellicola o la serie per intenderci. Mostra bravura, convinzione e finanche capacità di creare attorno al proprio personaggio un discreto fascino, sospeso tra lievi rigurgiti di etica e pura voglia di vincere le scommesse che egli stesso si pone davanti.
Non è ciononostante, come si scriveva, di certo parte del comparto recitativo a risollevare da solo le sorti di 1992. L'aspetto, forse l'unico ma a conti fatti più che sufficiente, che riesce nell'intento è una sorta di sensazione che la serie riesce a ricreare e spargere un po' ovunque durante le varie sequenze; l'aspetto che riesce nell'intento, oserei dire, è una sorta di atmosfera pre-apocalittica che serpeggia e semina disagio fino a creare in più di un'occasione genuina inquietudine. Nonostante sia ambientata nell'era di Tangentopoli, quindi nell'era della presunta liberazione dalla corruzione politico/morale in stile Democrazia Cristiana, nonostante racconti la stessa Tangentopoli, l'effetto è in realtà quello diametralmente opposto. Da essere la fine di una stortura diffusa diviene paradossalmente l'inizio di un incubo. Non si capisce se in Italia venga percepito questo intento in maniera più netta perché conosciamo il ventennio berlusconiano, l'ulteriore sfacelo etico/culturale (e non solo) che è seguito immediatamente dopo Tangentopoli, o se la serie riesca, ed è qui l'estrema validità della stessa, nell'intento di insinuare il disastro che di lì a breve sta per abbattersi sul Paese. Preferisco pensare che sia la serie, da sola, che riesce a farlo e in realtà ci sono parecchi elementi che corroborano questa tesi. Fra gli altri l'atmosfera continuamente sospesa del "ciò che sta per accadere", un'atmosfera sufficientemente angosciante da non permettere né di gioire delle "piccole vittorie" del pool di Mani Pulite né di intravedere una qualsivoglia risoluzione positiva all'orizzonte; al contrario, la sensazione è quella di essere risucchiati in una sorta di nulla culturale abitato da omuncoli sinistri, a tratti irreale, (vedi le scene di Notte che guarda la figlia a Non è la Rai) reso meravigliosamente da una colonna sonora assai efficace. Stupenda "Waiting for a miracle" di Leonard Cohen, perfetta "Killer" per la sequenza di Notte in macchina con il fantasma della ex, ma a farla da padrona è, insospettabilmente, "All that she wants" degli Ace of Base e relativo montaggio: sì, perché sono le sequenze, in questo caso, ad accompagnare il brano. Ora, la canzone un suo fascino particolare ce l'ha sempre avuto, ma la capacità di riempirlo dell'atmosfera inquietante di cui si scriveva poco sopra e darle una personalità differente e niente affatto positiva genera il momento forse più potente di tutta la stagione: è come se la serie in quel momento ti stesse ghignando in un orecchio qualcosa tipo "questo è quanto, e continueremo a mandere tutto a puttane. Sarà un disatro, ma sarà divertente. Lasciati andare, vieni con noi".
E in effetti è andato poi tutto a puttane. Noi già lo sapevamo, ma forse non avevamo fatto caso al momento in cui tutto ciò stava nascendo sotto le glorie di Tangentopoli. Questo è l'aspetto che rende la serie senza dubbio riuscita. Se i difetti di cui si scriveva non ci fossero stati avremmo probabilmente avuto un capolavoro. Ancor più angosciante, però.