1994: quella Voce spavalda di Montanelli e Corona

Creato il 21 marzo 2014 da Pedroelrey

La sera del 21 marzo del 1994 alla vigi­lia dell’uscita del primo numero de La Voce erano due le pos­si­bili coper­tine già impo­state per l’approvazione del diret­tore. La prima era stata dise­gnata dall’ufficio gra­fico seguendo il più tra­di­zio­nale dei modelli pos­si­bili, con la clas­sica aper­tura, la foto prin­ci­pale nean­che troppo grande, i titoli secon­dari e le varie chia­mate di rito. Insomma una pagina “nor­male” ed equi­li­brata come se ne stam­pano ancora oggi a ton­nel­late nel mondo. La seconda, nelle mani di un grup­petto di “car­bo­nari” messi un po’ al lato dell’ufficio gra­fico, era com­po­sta solo dall’editoriale di Mon­ta­nelli e da un titolo d’impatto sopra un grande mon­tag­gio foto­gra­fico cen­trato sui pro­ta­go­ni­sti delle ormai pros­sime ele­zioni. Ber­lu­sconi e Occhetto erano stati tagliati in due come a sim­bo­leg­giare la divi­sione che attra­ver­sava all’epoca un Paese pronto a un voto dif­fi­cile: titolo, “L’Italia si è spaccata”.

Io ero uno dei due car­bo­nari accom­pa­gnati all’inizio di quella avven­tura da Ser­gio Sar­tori, l’autore del pro­getto gra­fico del nuovo quo­ti­diano, e tutti sotto la guida di Vit­to­rio Corona, vice diret­tore e vera mente visuale del gior­nale. L’ordine di Vit­to­rio era stato tas­sa­tivo: “Finite il lavoro, ma non mostrate que­sta coper­tina a nes­suno”.

Tro­vai subito geniale l’idea delle teste spac­cate: una cosa mai vista prima. A dire il vero in quei giorni di pre­pa­ra­tivi per il lan­cio, a parte il clima ine­vi­ta­bil­mente effer­ve­scente, le cose che mi col­pi­rono di più furono pro­prio  la carica crea­tiva di Corona e il corag­gio di Mon­ta­nelli di imbar­carsi, nono­stante gli 80 anni suo­nati, in un’avventura tanto nuova quanto rischiosa.
Il mira­colo avvenne tra lo stu­pore e l’incredulità di tutto il ver­tice del gior­nale durante la nor­male riu­nione serale per defi­nire pro­prio la prima pagina. La coper­tina di esor­dio de La Voce sarebbe stata rivo­lu­zio­na­ria. Mon­ta­nelli aveva scelto e bene­detto quello che a molti in reda­zione sem­brava un azzardo.

Il secondo mira­colo avvenne il giorno dopo in edi­cola: quasi 600.000 copie spa­rite in poco tempo. All’ora di pranzo nono­stante le ristampe il gior­nale era intro­va­bile. Sold out. Mon­ta­nelli aveva fatto bene a fidarsi delle idee appa­ren­te­mente bislac­che di Corona.

In realtà anni dopo sco­prii che quell’idea di coper­tina era già stata discussa durante una cola­zione riser­vata in un risto­rante non lon­tano dalla reda­zione di via Dante, a Milano. Il patto tra Mon­ta­nelli e Corona c’era, l’ok del diret­tore pure, ma il piano doveva restare segreto. Durante quell’incontro Corona (e Vit­to­rio lo rac­conta det­ta­glia­ta­mente nel suo libro “Senza Voce”) ebbe modo di spie­gare a Mon­ta­nelli la sua idea del quo­ti­diano che stava per nascere.
Per prima cosa un gior­nale diverso, asciutto per numero di pagine, capace di sce­gliere e mai dispo­ni­bile all’esposizione com­pi­la­tiva delle noti­zie: qua­lità non quan­tità. Diverso per il taglio da set­ti­ma­nale nel pri­vi­le­giare gli appro­fon­di­menti, quindi non il solito quo­ti­diano “con­te­ni­tore” di fatti, ma un gior­nale con titoli bril­lanti, spesso iro­nici, accom­pa­gnati da som­mari abbon­danti, discor­sivi, capaci real­mente di sin­te­tiz­zare la noti­zia a chi non avesse tempo.
Spa­valdo e curato nei con­te­nuti, nel modo di disporli gra­fi­ca­mente, in ogni sua riga, in ogni imma­gine pro­po­sta anche a costo di cor­rere il rischio di dare qual­che volta un pugno nello sto­maco dei let­tori. E ancora, un quo­ti­diano all’avanguardia nelle scelte tipo­gra­fi­che (la forza razio­nale del Cen­tury New School­book messa a con­tra­sto con l’eleganza del Caslon, l’uso nei titoli di grandi parole in cor­sivo, solu­zione oggi dif­fusa tra i men­sili…)  in una epoca domi­nata dal Times New Roman, dal Frank­lin, ovvero quando a par­lare di carat­teri spe­ci­fici per gior­nali sem­brava un poco una cosa da alieni. E il tutto impac­chet­tato in un for­mato di stampa stretto e allun­gato come usano oggi i gior­nali ame­ri­cani, solu­zione pro­fon­da­mente diversa da quella a “len­zuolo” dif­fusa ai tempi in Ita­lia. L’ambizione de La Voce era di pun­tare sui gio­vani e sulle donne aprendo ampi spazi alla cul­tura, alla moda, allo spet­ta­colo e la mis­sione era di pro­porre qual­cosa di pro­fon­da­mente inno­va­tivo, sotto la guida, però, del diret­tore più tra­di­zio­nale e con­ser­va­tore che si potesse immaginare

Ma  un gior­nale che vuole essere così diverso, que­sto in sin­tesi il ragio­na­mento di Corona a Mon­ta­nelli, non può pre­sen­tarsi con una coper­tina tra­di­zio­nale. Al con­tra­rio ha biso­gno di mostrarsi spa­valdo e ambi­zioso a mag­gior ragione in prima pagina e deve neces­sa­ria­mente pun­tare, oltre che sulla forza e sulla riso­nanza dell’editoriale, anche su una grande imma­gine sor­pren­dente e su titoli graf­fianti. Insomma il design non come eser­ci­zio di stile ma come ele­mento distin­tivo d’innovazione, per­so­na­lità e sorpresa.

Così a par­tire dal for­tu­nato esor­dio nac­que una sorta di rito. Ogni sera Mon­ta­nelli affi­dava a Corona la let­tura del suo edi­to­riale affin­ché Vit­to­rio ne rica­vasse sia l’idea del titolo che quella del rela­tivo foto­mon­tag­gio. Poi era il nostro turno. Tra­sfor­mare quelle idee in qual­cosa di reale da por­tare all’approvazione del direttore.

Lavo­rare con Corona era fati­coso per l’impegno richie­sto, ma sem­pre appa­gante e diver­tente. Vit­to­rio aveva una capa­cità di sin­tesi unica, la dote di saper coniu­gare con faci­lità titoli e imma­gini (ma molto spesso suc­ce­deva il con­tra­rio, si par­tiva dalla foto), una memo­ria visuale incre­di­bile e un tocco di humor che poteva rasen­tare una sorta di ama­bile per­fi­dia. Era impos­si­bile anno­iarsi. E di lavori memo­ra­bili in quel clima spesso gio­coso ne sono stati pro­dotti parec­chi. Non tutti a essere one­sti, ma molti decisamente.

 La Voce pur­troppo però è stata una meteora. Un anno e venti giorni dalla sua uscita si trovò a dover chiu­dere nono­stante ven­desse ancora 60.000 copie al giorno. Sui motivi della chiu­sura si è scritto molto, spesso in maniera nean­che troppo gene­rosa o cor­retta. In realtà sulla sto­ria del gior­nale le uni­che infor­ma­zioni che restano un rife­ri­mento per me sono quelle descritte da Mon­ta­nelli nel suo ultimo edi­to­riale alla fine di un anno indimenticabile.

Però, per quello che ho vis­suto, la sto­ria de La Voce è stata in primo luogo quella dell’incontro tra due geni, Mon­ta­nelli e Corona, per­sone lon­ta­nis­sime tra loro ma unite dal rispetto, dal talento, dal desi­de­rio costante di inno­vare e dalla capa­cità di essere, cia­scuno nel rispet­tivo ruolo, pro­fon­da­mente visionari.Il fatto che a venti anni di distanza nelle reda­zioni si discuta ancora intorno ai mede­simi con­cetti espo­sti da Corona a un Mon­ta­nelli con­cen­trato, ma non distratto, sul suo piatto di pappa al pomo­doro in fondo ne è la con­ferma. In quale modo è pos­si­bile essere oggi diversi, spa­valdi, ambi­ziosi e sor­pren­denti?
La Voce, sep­pure per una sta­gione molto breve e magari con risul­tati a volte alta­le­nanti, ci è riuscita.

…E poi altri, quasi tutti, si sono arro­gati e con­ti­nuano a farlo, il diritto di “sve­lare” Mon­ta­nelli.
Come fosse mai pos­si­bile sve­lare un sogna­tore, spie­gare un genio.

Vit­to­rio Corona

Arti­coli correlati
  • La morte di Senna vista da La Voce di Montanelli:…
  • L’ idea gra­fica di Data­Me­dia­Hub: cre­scere strada facendo
  • La Noti­zia
  • Rac­conto di Natale 2013
  • Rac­conto di Natale 2012

Mi piace:


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :