«Io vado via Ralf» dissi con un senso di liberazione, quella sera ero molto stanca, una serata proprio pesante. Lui mi rispose con il suo solito tono dolce «Ok bellezza, sicura di essere in grado di guidare? Non mi sembri molto in forma...». Effettivamente mi sentivo uno straccio, ma non volevo darlo troppo a vedere «Non preoccuparti Ralf sto bene, non devi essere sempre cosi premuroso con me, sai bene che so cavarmela benissimo anche da sola.». Ralf decide si arrendersi, sapeva che ero una tipa ostinata «Non ne ho dubbi dolcezza, allora buonanotte a domani.». Lo salutai quindi con un sorriso sulle labbra «Notte Ralf!». In quel momento tutto avrei potuto immaginare, tranne che non lo avrei mai più rivisto. Ralf è proprio un bravo ragazzo si preoccupa sempre per me, anche se io non sono il tipo che ama avere avvocati difensori. Meglio sbrigarmi a tornare a casa, penso guardando l'orologio, si sta facendo sempre più tardi. Mi avvio verso il parcheggio, ormai a quest'ora la mia macchina è una delle poche rimaste, oltre a quella di Ralf poco distante. La trovo al solito posto dove nel tardo pomeriggio l'avevo parcheggiata. Con il lavoro che mi ritrovo non posso permettermi chi sa quale auto, per cui mi sono dovuta accontentare di questo catorcio. L'importante che non mi lasci in mezzo a una strada e con la fortuna che mi ritrovo la cosa non sarebbe poi cosi improbabile. «Miki ci vediamo domani, buonanotte.» a salutarmi era stata una delle mie colleghe di lavoro, pensavo fosse già andata via e invece mi aveva colta di sorpresa. Risposi educatamente «Ciao Anna non ti avevo visto, scusami stanotte sono proprio fuori, ma non preoccuparti una bella dormita e tutto passa, a domani.» la salutai cercando di non dilungarmi troppo, prima tornavo a casa e meglio era. «Ok tesoro ma mi raccomando ti voglio viva e vegeta domani.» Non sapeva quanto fosse premonitrice quella frase. Faccio per aprire la borsa, cerco affannosamente le chiavi, con tutto questo disordine è sempre difficile trovare qualcosa in tempi brevi. Eccole scovate dal loro nascondiglio, le allungo verso la serratura della macchina sbaglio a mirare. Stanotte è proprio difficile far centro a primo colpo, come la maggior parte degli uomini. Rido da sola alla mia battuta, nel silenzio della notte. Dopo vari tentativi riesco ad aprire l'auto. Mi metto maldestramente seduta al volante, guardandomi allo specchietto sistemo un attimo la mia acconciatura, tante ore passate davanti al phon e guardate ora che risultati. Meglio lasciar stare, tanto chi deve vedermi ormai a quest'ora. Ora posso dirigermi verso casa. Sono da poco passate le cinque del mattino, e come ogni sabato mi trovo di ritorno dal pub, in cui cerco di sopravvivere facendo la cameriera. A volte è difficile tenere a bada le avance dei clienti ed essere sempre sorridenti con tutti, ma cerco di fare del mio meglio, infondo non ho molte altre alternative. Di solito erco di non pensare a niente, odio le preoccupazioni sterili che ti consumano il cervello. Stasera per giunta ho anche bevuto qualche bicchierino, non che lo faccia spesso. Forse sarebbe stato meglio chiedere a Ralf il barista, mio collega di lavoro, di riaccompagnarmi a casa. Non è stata una grande idea quella di mettermi al volante in queste condizioni. Ancora non mi sono presentata, scusate la maleducazione, mi chiamo Mikaela e quella che mi presto a raccontare è la storia di come in una notte tutta la mia vita cambiò in un istante. Il mio nome era l'unica cosa che mi rimanesse di mia madre, oltre a una coroncina del rosario che tenevo conservata in casa malgrado non fossi religiosa. Infatti lei mi abbandonò circa un anno dopo avermi messa al mondo sull'uscio di un orfanotrofio gestito da un gruppo di suore cristiane. I primi anni della mia vita non furono poi cosi male, le suore erano come una famiglia per me, anche se non ne avevo mai conosciuta una vera di famiglia. Ma i problemi iniziarono quando l'orfanotrofio fu costretto a chiudere per mancanza di fondi e io fui obbligata ad abbandonare l'unico luogo che potessi chiamare veramente casa. In seguito iniziò il mio calvario con gli istituti. Non ero considerata la classica bambina carina e docile da adottare anzi ero molto ribelle e non mi piaceva stare sotto a regole che non comprendevo. Per fortuna compiuti i 18 anni fui libera di vivere la mia vita come pareva a me.Ma senza dei genitori che ti pongono dei freni, tipo a che ora ritornare la sera o non fare questo non fare quello, è difficile porsi da soli dei limiti. Di rimanda ho quindi sempre vissuto in modo molto scapestrato, in giro per strada di città in città. Ultimamente ho trovato questo lavoro al pub come cameriera, non è che sia la mia aspirazione più alta nella vita, non mi sarebbe dispiaciuto studiare e laurearmi, ma devo pur campare. La paga non era male potevo permettermi un affitto in una bettola di casa. Casa mia non dista molto dal club, sono solo poche miglia. Le luci della strada si fanno sempre più fioche, e un alone di sonnolenza comincia ad aleggiare su di me. All'improvviso vengo sopraffatta dalla visione di una grossa luce puntata dritto verso la mia faccia, o cavolo una macchina mi sta venendo contro, o sono io ad andare contro di essa? Pochi attimi e mi ritrovo incastrata tra le lamiere della mia macchina, quel catorcio che avevo preso in giro poco tempo prima, cerco di guardarmi attorno ma la mia vista è annebbiata riesco solo a percepire qualcosa che mi bagna i vestiti. Provo a concentrarmi per rendermi conto di cosa sia... sangue tanto sangue... mi ritrovo in una pozza di sangue...
Nessuno pensa alla propria morte se non nell'attimo in cui vede passarsela davanti agli occhi. O almeno la maggior parte della gente cerca di evitare questo argomento, come se non gli possa accadere nulla di male nella vita. Anch'io non mi distacco molto da quest'ottica. Ai miei occhi sono quasi immortale. Certo non vado a camminare in mezzo ai binari della ferrovia sfidando la sorte, ma allo stesso tempo non mi faccio mancare niente di emozionante o adrenalinico. In quell'istante in cui la macchina mi venne incontro pensai a tutta la mia vita passata. A quante cavolate sono riuscita a combinare per giunta in un lasso di tempo cosi breve. Dopotutto ho solamente 24 anni. Li avevo compiuti da poco. Non era il mio giorno preferito dell'anno, nessuno a farti un regalo nessuno a farti gli auguri non era certo il massimo. Per giunta la mia data di nascita era stata calcolata in modo approssimativo da un dottore, per cui non ero neanche sicura di essere nata quel giorno. Ma non ero il tipo che badava molto a questo genere di cose, ero dell'idea che tutto mi potesse scivolare sopra come acqua, la mia filosofia di vita era “fottersene allegramente!” Ma in questo lasso di tempo in cui mi ritrovavo intrappolata nella mia stessa auto, con la vita che sentivo scorrermi via troppo velocemente, capii di non aver ancora combinato nulla di buono nella mia vita, niente di concreto, nessuno che mi possa ricordare per qualcosa fatto. Ero invisibile, il mondo sarebbe continuato ad andare avanti come sempre importandosi ben poco della mia morte... Forse Ralf o il mio datore di lavoro, o la mia vicina di casa, avrebbero speso qualche lacrima per me, ma il giorno dopo la notizia della mia morte sarei sparita dalla loro mente... Penserete beh te la sei cercata e non lo nego, ma una seconda chance non si nega a nessuno.. L'ambulanza arriva quasi subito, l'uomo al volante dell'altra auto coinvolga nell'incidente per fortuna sembra non si sia fatto nulla, sicuramente sarà qualche bravo padre di famiglia appena alzatosi e messo al volante per andare a lavorare come ogni mattina. Sono ancora in parte cosciente, riesco a capire che si trovano qua per me, in due mi prendono cercando di estrarmi il più delicatamente possibile dal groviglio di lamiere intrecciate e mi adagiano sulla barella. Sentii una voce dire «Ancora respira, ma il suo battito è lento. Sembra semi-cosciente, dobbiamo portarla il più velocemente possibile all'ospedale, ogni attimo è prezioso...». Subito dopo la stessa voce cercò di rassicurarmi «Signorina non si preoccupi andrà tutto bene vedrà. Se può sentirmi stringa la mia mano...» Cerco con tutte le mie forze di stringere la sua mano, ma l'uomo davanti a me sembra non accorgersi dei miei sforzi, eppure ce la sto mettendo tutta. «Non fa niente signorina, non si sforzi troppo, andrà tutto bene.» Il tragitto dal luogo dell'incidente all'Ospedale non è molto, eppure sembra passare un'eternità. Raramente ero stata all'ospedale, tranne quella volta in quinta elementare in cui avevo fatto a botte con un mio compagno di classe. Mi ero rimediata un paio di punti e una bella cicatrice, la sua colpa quella di aver preso in giro mia madre. Non la conoscevo ma sapevo, o mi illudevo, fosse una brava persona, anche se non riuscivo a perdonarla per quello che mi aveva fatto. L'ambulanza arriva di tutta fretta a sirene spiegate, la mia barella viene fatta correre velocemente lungo quei corridori. Tento di alzare un po' la testa per vedere cosa mi sta intorno ma riesco a malapena a distinguere tre infermieri accanto a me. La mia vista si fa sempre più appannata e faccio fatica a tenere gli occhi aperti. «Non tenti di alzarsi, è stata vittima di un incidente con la sua auto. Ha riportato lesioni molto gravi e ha perso tanto sangue. E' già un miracolo che sia ancora viva, ringrazi il cielo, ma non si sforzi più del dovuto.» “Ringrazi il cielo”, queste parole continuano a risuonarmi nella mente. Non ero mai stata una persona credente, tanto meno religiosa o praticante. Non sapevo se dopo la morte esisteva veramente qualcosa certo in quegli attimi ci speravo con tutta me stessa. All'improvviso vengo sollevata dalla barella e posta su di un letto. Quello che credo sia un medico si avvicina a me, mentre gli infermieri iniziano a spogliarmi e a mettermi una flebo. Il medico apre a forza le mie palpebre, sempre più stanche e vi avvicina una luce accecante, per istinto stringo forte gli occhi. «I riflessi ancora ci sono, forse è anche cosciente.» dice il medico come se io non fossi li presente. Avrei proprio voglia di una bella dormita in questo momento, ma qualcosa mi dice che devo resistere, devo sforzarmi di rimanere sveglia, altrimenti sarà la fine. Eppure quella fine tanto temuta, non sembra cosi male ora che il mio corpo è pieno di dolori. «Signorina mi sente? E' cosciente? Dobbiamo operarla immediatamente per fermare l'emorragia interna. Ha qualche parente qui in città che possiamo contattare?» «Nes....» Nessuno, ma non riesco a completare la parola.
Mi portano in sala operatoria e iniziano a prepararmi all'intervento. Dovete sbrigarvi non resisterò ancora per molto. Datevi una mossa cavolo, cerco di urlare a infermieri e dottori che mi stanno davanti, ma riesco solamente a muovere le labbra senza che nessun suono fuoriesca da esse. E' tutto inutile, per un attimo mi lascio andare allo sconforto, dopotutto forse è veramente giunta la mia ora. Le lacrime scendono giù come fiumi dalle mie pupilla. In un attimo mi sento liberata da ogni dolore, da ogni fatica. Mi vedo sdraiata su quel letto in quella sala operatoria, ma osservo me stessa come se fossi un'altra persona. Mi trovo fluttuante sul soffitto e riesco a vedere i dottori preoccupati delle mie condizioni, due si fanno un cenno forse dicono qualcosa che non comprendo. E' proprio come raccontano in quei stupidi programmi alla TV penso. «La pressione sta scendendo, valori vitali in calo.» l'infermiera sembra veramente preoccupata, cosi come tutti gli altri medici li presenti. «La stiamo perdendo dobbiamo sbrigarci, ha perso molto sangue fategli un'altra flebo, mentre io inizio ad operare.» «Dottore la paziente è in arresto cardiaco. » «Datemi il defibrillatore cerchiamo di rianimarla.» «Eccolo dottore» «Uno, due, tre...» «Niente, proviamo ancora, uno, due, tre...»
di Angela Visalli