+ 2 -2% sembra poca cosa. Tutt’altro che niente, invece, per quelli che contano, urlano e strepitano nel fare e rifare i conti e farseli tornare.
La differenza mostra l’effetto della variazione dei prezzi dei beni sul mercato. Gli effetti, appunto. La causa invece sta nella maggiore o minore quantità di moneta disponibile dagli operatori per le transazioni economiche.
Senza farla tanto lunga: tra gli squilibri del +2 -2, meglio zero! Essipperchè zero espone la condizione di equilibrio nella disponibilità di moneta tra gli operatori economici.
Già zero dispone l’ottimo nell’impiego delle risorse produttive: quel che serve insomma alle imprese per produrre e quanto quelli della spesa devono avere in tasca per acquistare quanto prodotto. Giust’appunto per fare tutti il meglio per la crescita.
Teoria? Beh, forse un po’. Mica tanto però, se già lo statuto d’azione delle Banche Centrali recita la stabilità dei prezzi. Cacchio, solo che l’equilibrio viene confezionato mediante l’espansione o la contrazione artificiale della quantità di moneta in circolazione ed un mandato: per la Bce, tenere il tasso di inflazione di medio periodo a un livello prossimo al 2%.* Stessa cosa per la Fed, la BoE, la BoJ.
Alla faccia dell’equilibrio, alla nuca di quell’ottimizzazione; in culo a quella crescita che si fa con la spesa e che così se ne fa meno.
Eggià questi istituti, per svolgere al meglio il mandato istituzionale, fanno pressappoco così: se si riduce la base monetaria e i prezzi scendono, magari, del 2% facendo aumentare il potere d’acquisto, Lor Signori intervengono con la politica monetaria per dare spinta a quei prezzi fino a quell’asintodico + 2%. Torna così a ridursi quel potere d’acquisto: bella no?
Alla deflazione dei prezzi si contrappone insomma una istituzionale inflazione monetaria che, alterando il meccanismo di formazione dei prezzi, riproduce intatto lo squilibrio.
Ci risiamo, la regola di un decrepito paradigma sprona per dar sostegno ai prezzi con l’intento di salvaguardare la produzione ed il lavoro. Dimentica che quel che non si acquista si svaluta, svalutando proprio quella produzione ed il lavoro che ha prodotto ed ancor più mancherà proprio quel lavoro per poter riprodurre.
Tocca a questo punto della tenzone aggiustare il tiro per far sì che possa farsi quel prezzo dei nuovi equilibri che si intravvedono al mercato, là, dove hanno più bisogno le imprese di vendere che i consumatori di acquistare.
Eggià, così un prezzo “disinibito” potrà rifocillare quel potere d’acquisto ad oggi inibito.
Tocca insomma sospendere le azioni di reflazione messe in campo che, invece di sanare quegli squilibri, li aggravano. Tocca insomma far agire i dispositivi propri di un mercato efficiente. Quelli in grado di rendere compatibili le risorse economiche degli agenti su quel mercato, con il prezzo dei beni che sono in vendita.
Per l’inflazione e la deflazione, quelle “vere”, nessun anatema insomma, non conviene a nessuno!
P.S: Ogni riferimento agli accadimenti che ieri hanno generato la crisi e che ancor oggi la conclamano appare del tutto causale.
*Quelli di wikypedia dicono che; La BCE esercita il controllo dell’inflazione nell'”area dell’euro” badando a contenere, tramite opportune politiche monetarie (controllando la base monetaria o fissando i tassi di interesse a breve), il tasso di inflazione di medio periodo a un livello inferiore (ma tuttavia prossimo) al 2%.
Mauro Artibani