20 anni di Doom

Creato il 12 dicembre 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online

Vent’anni fa era il 1993 e l’informatica stava entrando nel suo periodo più florido ed evolutivo. Internet, una realtà ancora in poche selezionate zone del mondo, stava iniziando sempre più a prendere piede e a completare quell’incredibile rivoluzione delle telecomunicazioni iniziata dalla metà del diciannovesimo secolo. Le potenzialità erano sotto gli occhi di tutti, e si era in uno di quei periodi della storia nei quali si scoprono frontiere nuove, e più si scopre più si capisce che si ha da scoprire. Improvvisati “geni” si impegnavano singolarmente, in solitudine, o in gruppi ristretti, ed esploravano questo neonato mondo. Non solo Bill Gates e Steve Jobs, che pur sono i più conosciuti: tutta una schiera di visionari aveva puntato il proprio futuro sull’informatica, e, multiforme com’è la mente umana, davano origine a evoluzioni nei più disparati settori.

Se un Bill Gates, che all’epoca aveva un predominio molto più indiscusso di oggi, si concentrava, già forte di una compagnia di successo, sui sistemi operativi, “il Software dei software”, sognando di avere Windows in ogni casa del pianeta, altri, altrettanto meritevoli, si occupavano di spingere al massimo quelle innovative potenzialità di divertimento che questo nuovo strumento offriva.

Che i videogiochi fossero già ampiamente diffusi nella cultura pop era sicuramente indiscusso, ma il settore aveva bisogno di una spinta decisiva per farlo esplodere, un po’ come una protostella nella quale le reazioni di fusione sono appena iniziate. Questa spinta giunse il 10 dicembre 1993, con il rilascio di Doom. Creato da quella ID Software che avrebbe inciso il suo nome nella storia, con a capo John Romero e John Carmack, due menti oltre ai loro tempi, Doom fece definitivamente esplodere quella mania di “giocare al computer” che oggi permette di fatturare miliardi di dollari. E non solo: con la sua grafica innovativa, che sfruttava un “falso 2-D” che dava l’illusione di un mondo tridimensionale, mostrò a tutti quanto potesse essere incredibile immergersi totalmente in una realtà virtuale. Seppur embrionale, la grafica di Doom mostrava senza indugio un potenziale inespresso incredibile. Lo stesso potenziale che oggi, vent’anni dopo, dà quel quasi-fotorealismo proprio di alcuni titoli, che se fossero mostrati al pubblico del 1993 sarebbero scambiati per magia.

Non è un caso che i primi blockbuster di successo con grafica 3D, renderizzata al computer, uscirono dopo (due esempi: Toy Story, 1995; A Bug’s Life, 1998).

La potenzialità di Doom non si fermava solo alla grafica. Si consideri la complessità e la sfida che offriva, vista in prima persona, dagli occhi del protagonista, attraverso una struttura a livelli che era stata esplorata solo da pochi altri titoli prima (Wolfenstein 3D, della stessa ID Software, è forse l’unico vero esempio degno di nota), quanto potesse colpire un pubblico che fino ad allora era abituato per larghissima parte a giocare per fare “il punteggio più alto”, ripetendo meccanicamente lo stesso percorso, la stessa scena, solo sempre più difficile. Doom offriva 32 livelli, di una complessità assolutamente impareggiabile dai giochi di oggi, che fanno della semplicità e dell’accessibilità il loro cavallo di battaglia. Altri era possibile aggiungerne, attraverso una struttura molto libera che permetteva ai giocatori di creare e giocare mappe, livelli e avventure create da altri utenti, attraverso i file .WAD (“Where All Data (is)”).

Doom era dunque una spiaggia, e agli utenti venivano dati secchiello e paletta per fare potenzialmente quel che volevano: la rivoluzione era servita. Ognuno poteva improvvisarsi sviluppatore, ognuno poteva farsi conoscere. Nel piccolo internet del 1994 iniziarono presto a girare nomi di creatori di mappe in gamba: taluni furono assunti dai giganti dell’epoca, talaltri fondarono Software houses per loro stessi. Per molti fu il primo assaggio della possibilità di creare nuovi mondi, e fu amore a prima vista.

Photo credit: juanpol / Flickr / CC BY 2.0

Carmack e Romero ebbero poi la geniale idea di introdurre un sistema multigiocatore nel gioco. Un apporto tutt’altro che scontato, all’inizio degli anni ’90. Eppure, una così semplice opzione cambiò tutto. Non fu più tollerabile non avere la possibilità di sfidarsi tra giocatori reali e dimostrare chi era il più forte. Lo spirito di competizione tipico dell’essere umano uscì con estremo fragore, e nacque di fatto il multigiocatore competitivo, o “deathmatch”, una parola che si dice essere stata coniata dallo stesso John Romero. Oggi intorno al multigiocatore competitivo girano centinaia di milioni di dollari in premi, sponsorizzazioni, eventi, e tutto ciò che essi si portano dietro: marketing, catering, personale. Insomma, fu grazie a Doom se oggi è possibile sfidarsi da casa propria con gente di tutto il mondo. E vedere chi è meglio.

Non basterebbero centinaia di pagine per collegare con precisione tutte le evoluzioni che si sono susseguite nel mondo dei videogiochi e dell’informatica in generale con Doom. C’è chi ci ha provato, e si notano testi a tale proposito anche di autori italiani. Con Doom cambiò la lingua: fino alla fine dello scorso millennio, era diventato estremamente usuale leggere e sentir parlare di “doom clone” per indicare tutti i videogiochi che presero spunto da lui e consistevano in una serie di livelli visti in prima persona con nemici, di solito, a cui sparare. Dal 1993 al 2000 ve ne furono tanti, e di diverso successo. Il termine “doom clone” si esaurì nel nuovo millennio e lasciò il posto ad un acronimo che ormai è pane quotidiano per molti: FPS, First Person Shooter. Lo Sparatutto in prima persona.

Tutto il mondo dei videogiochi, di qualunque genere essi siano e da qualunque parte del mondo essi provengano, e tutto il sistema multigiocatore competitivo, deve dunque qualcosa a Doom. Il 10 dicembre 2013 sono vent’anni che è uscito, e ancora qualche appassionato ci gioca, e ancora occupa pochi megabyte sull’hard disk dei nostalgici. Vent’anni fa, era il software più installato del 1995. Più di Windows 95: per giocarci, infatti, bastava DOS.


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