L’ultima anguanadi EagleCreatura: Anguana
Laddove, ormai, una giornata primaverile volse al termine, Aglaia si guardò intorno. Strani ghirigori presero forma sul muro, dietro di lei; qualche bancarella era, ancora, ai bordi della strada e la gente gironzolava, cercando non si sa bene cosa. Aglaia spostò la sua attenzione verso la marmaglia di ragazzini che si era affollata intorno a lei e, soffermandosi su ognuno, notò nei loro occhi una certa attesa. Così, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, iniziò a raccontare la storia.
Tutto ebbe inizio a Rock Fort.
Ancora oggi, a trecento anni dalla sua nascita, Rock Fort si erge sulla cima di una leggera sporgenza e lì, al centro di una piccola foresta, ecco il castello di Aragon; isolato dal resto del villaggio, le cui abitazioni sono tutte costruzioni in pietra con porte di legno davanti alle quali, ancora oggi, quando sopraggiunge la sera, gli abitanti sono soliti lasciare una cesta di vimini. Si narra che, un tempo, le anguane, creature incantate, e gli abitanti di Rock Fort vivessero insieme.
Kieran non ne aveva mai vista una, ma aveva sentito diversi racconti degli anziani del villaggio in merito; per alcuni erano vecchie megere, per altri creature per metà donna e per metà serpente o capra, altri ancora le descrivevano come donne bellissime e seducenti. Si racconta che amassero stare presso lo specchio d’acqua, presente a est, alimentato dai torrenti che scendono dalle colline, alle spalle del castello.
Kieran amava pensare che si nascondessero fra loro, e quando le ultime luci si spegnevano, adorava immaginarle aggirarsi furtivamente fra le casupole per sedersi lungo la riva del lago, illuminate dalla soffusa luce lunare.
Peccato che ciò non fosse possibile.
Kieran rammentava suo nonno quando la sera, seduti davanti al focolare, raccontava di donne bellissime dai poteri magici, di posti incantati, di donne cattive come Desdemona, prima regina della dinastia degli Aragon, che cacciò via tutte le anguane dal regno e ordinò a Esther, strega dagli immensi poteri, di erigere un muro magico lungo tutto il perimetro di Rock Fort. Ebbene sì, Rock Fort era una sorta di prigione. Chiunque poteva entrare o uscire, purché non fosse un’anguana, ma lo stesso Kieran si sentiva ingabbiato. Nonostante la protezione magica, gli abitanti non persero l’abitudine della cesta di vimini, sembravano le tenesse lontane.
Il muro non era riuscito a estirpare del tutto certe usanze.
“Kieran?”
La voce del padre lo riscosse da quei pensieri, e si mosse verso il letto su cui lui giaceva, febbricitante.
“Si, padre”
“Un po’ d’acqua, per favore”
Così Kieran versò l’acqua in un bicchiere, dalla brocca posto sul comodino vicino al letto, e pose una mano dietro la nuca del padre, aiutandolo a bere.
Non riusciva a vederlo così. Era sempre stato un uomo attivo, amava stare all’aria aperta. Non si capacitava della velocità con cui aveva perso i sensi durante una festa, organizzata per i suoi cinquant’anni. Improvvisamente, mentre si brindava, si parlava del più e del meno e altri ballavano, era crollato per terra, disteso di lungo. Kieran ricordava ancora il fracasso prodotto dal bicchiere di vino che gli era sfuggito di mano. Non sapeva se dietro di tutto ciò c’era lo zampino dello zio, tutti sapevano quanto fosse vivo in lui il desiderio di avere la corona.
La dinastia degli Aragon era, ormai, da cent’anni al potere, il trono passava di figlio in figlio. Kieran, figlio di Artemio, re di Rock Fort, aveva solo ventidue anni e, per via di una legge, avrebbe dovuto aspettare i venticinque per poter, in caso di morte del padre, succedere al trono; non solo, ma se entro un anno, dalla sua salita al trono, non avesse preso moglie, automaticamente, la corona sarebbe passata al secondo erede al trono in lista di successione; in questo caso, essendo figlio unico, a suo zio, il principe Milos Aragon: un uomo subdolo e furbo, che riusciva a celare la sua invidia nei confronti del fratello con una buona dose di sorrisi e finta cordialità.
Con questi pensieri, posò il bicchiere, sorrise al padre e capì che doveva agire.
Era settembre quando Kieran decise che non poteva rassegnarsi all’idea che per suo padre non c’era via d’uscita.
Sapeva che non sarebbe stato facile e che il percorso, che si accingeva ad affrontare, fosse impervio e interminabile. Ciò che si domandava era: aveva alternative? C’era un altro modo per salvare suo padre? È la risposta era sempre la stessa: no.
Fu così che si mise in viaggio.
Il mattino dopo Candida era lì, lo guardava. Il suo muso sporgeva fuori dallo steccato, dava l’impressione di essere in quella posizione da un po’, come se sentisse che li aspettava un lungo peregrinare. Kieran si appoggiò con la schiena alla staccionata.
“Tu che ne pensi, Candida?”
La risposta di Candida fu un leggero tocco del braccio col suo muso bianco. Del resto, cosa ci si poteva aspettare da un cavallo?
Ormai era ora. Così, una volta preso tutto il necessario, Kieran montò in sella. Giunto al muro, che separava Rock Fort dal misterioso mondo esterno, si voltò e guardò un’ultima volta casa sua.
“Tornerò presto, padre. E’ una promessa.”
Questo fu l’ultima cosa che gli venne alla mente, quando riprese i sensi. Era su un letto, forse.
La vista era confusa, non riusciva a mettere a fuoco le immagini. La cosa più sconcertante era che non riusciva a mettersi seduto, non sentiva le gambe né tantomeno le braccia, e tutto il suo corpo era percorso da brividi.
Un rumore secco e continuo, che gli rammentava il crepitio del legno, ruppe il silenzio, forse un fuoco era acceso da qualche parte, lì vicino a lui. Allora cercò di girarsi, ma il movimento gli procurò un dolore lancinante alla testa che lo portò a chiudere gli occhi. Cosa gli era successo? Com’era giunto lì, dovunque si trovasse?
Così cercò di parlare, ma inutilmente e tutto ciò che riuscì a emettere fu una sorta di mugolio; allertato, forse, dal lamento, qualcuno si mosse.
Kieran percepì una mano accarezzargli la fronte, poi la guancia e una voce femminile iniziò a sussurrargli, dolcemente, qualcosa ma tutto era confuso e parole come: febbre alta, bosco, sangue gli giungevano come lontane e senza alcun filo logico.
Così, con questi pensieri, cadde nuovamente in un sonno profondo, un sonno senza immagini.
Quando si riprese e riuscì, finalmente, ad aprire gli occhi, lo fece con gran difficoltà; lentamente si mise seduto e cominciò a guardarsi intorno. Era in una grotta, non c’erano dubbi.
Il letto su cui si trovava era in legno ed era appoggiato a una delle pareti rocciose; resti di quello che doveva esser stato un fuoco erano in un angolo a sinistra e accanto a questi ultimi Kieran notò quella che sembrava una coperta. Un’apertura posta alla sua destra permetteva l’ingresso di uno spiraglio di luce. Era giunto il momento di capire cosa fosse successo. Kieran cercò di mettersi in piedi, ma la stanza iniziò a vorticare.
“Chi ti ha detto di alzarti?”
Una voce femminile sopraggiunse dall’entrata e rimbombò in quel piccolo spazio. Kieran si ritrovò, improvvisamente, un braccio esile dietro la schiena che lo aiutò a rimettersi seduto. Fu allora che alzò la testa, e incrociò i suoi occhi di un intenso verde. Non furono solo quelli a colpire l’attenzione di Kieran, ma tutto l’insieme. Era alta, slanciata, indossava una sorta di vestito a fascia bianco.
“Chi sei?” chiese, con voce esitante.
“Ti ho salvato la vita. Mi chiamo Aglaia e questa è casa mia.”Aveva capito bene? Abitava in una grotta?“Ora, posso sapere il tuo nome e cosa ci facevi nella Foresta Nera?”
La Foresta Nera.
I ricordi iniziarono a fluire e a prender forma nella mente di Kieran. Era giunto nella Foresta Nera e lì, inspiegabilmente, forse innervosita da un rumore, Candida si era impennata. Lui aveva cercato di calmarla e si era aggrappato alle redini, con forza, ma inutilmente. Così cadde a terra e poi fu il buio.
“Allora?” insistette, Aglaia.
La situazione iniziava ad esser un po’ scocciante e lei si stava innervosendo. Sapeva che appena si sarebbe ripreso, probabilmente, avrebbe dovuto rispondere a domande curiose e indiscrete, e non sapeva se era pronta a tutto questo. Il nervosismo era accentuato, anche, dal fatto che era da secoli che non si trovava da sola con un uomo, e la cosa cominciava a diventare imbarazzante.
“Il mio nome è Kieran. Sono in viaggio da giorni, sto cercando una pianta che cresce solo nella valle di Darrow; mi hanno detto che può guarire da ogni male.”
“Immagino tu ti riferisca alla Tagliabuana. Le sue radici hanno bisogno di molta umidità, ecco perché si trova in prossimità di fiumi o laghi e, solitamente, all’ombra di enormi alberi. I suoi fiori, stranamente, non cercano i raggi del sole, ma prediligono l’ombra ed è la notte, quando c’è la massima oscurità, che, finalmente, si aprono e ti investono con i loro colori accesi.”
Il flusso di parole lo investì. Chi era Aglaia? Kieran la guardò. Una ciocca di capelli rossi le era scivolata davanti agli occhi mentre parlava e il suo sguardo era diretto verso il bordo del letto, come a evitare i suoi occhi; ma, quasi come se sentisse la sua occhiata bruciante addosso, Aglaia alzò gli occhi. Entrambi trovarono negli occhi dell’altro quello che avevano sempre cercato: Aglaia vide una casa, la famiglia che non aveva mai avuto; Kieran trovò quell’amore che gli era sempre mancato.
Ma si sa, a volte il destino è crudele e non sempre le cose vanno come avremo voluto.
Dopo una lunga chiacchierata, durante la quale Kieran era venuto a sapere che si trovava lì da due giorni, Aglaia si assopì tra le sue braccia. Si erano spostati accanto al fuoco, le cui fiamme proiettavano le loro ombre, allungate e deformi, sulla parete alle loro spalle. In una frazione di secondo Kieran prese una decisione: era giunta l’ora di dover riprendere il cammino. Era arrivato lì per uno scopo preciso e aveva già perso troppo tempo, probabilmente era già tardi, ma lo doveva a suo padre. Non poteva perdere anche lui.
Quand’era ormai presso l’entrata della grotta si voltò a guardarla; l’aveva adagiata sul letto cercando di non svegliarla. Si era rannicchiata in posizione fetale, sembrava una bambina.
Era diventata importante, senza alcun preavviso, senza che lui lo cercasse. Era possibile in così poco tempo?
Forse semplicemente perché l’amore non chiede permesso, l’amore non è un qualcosa di programmato come chi afferma: “Per domani avrò in programma …”
L’amore è così, ti coglie alla sprovvista.
“Dai, si è fatto tardi. I vostri genitori vi staranno cercando!” affermò Aglaia, trasecolata.
Non si era resa conto di come fosse volato il tempo, ormai era sera.
Un coro di no si levò, ma Aglaia fu irremovibile e rispose: “Domani continueremo la storia, promesso.”
Forse fu il suo tono deciso a convincerli perché, pian piano, i bambini si allontanarono e Aglaia fu, così, pronta per tornarsene a casa.
Si avvicinò all’acqua, si tolse i sandali e s’incamminò scalza sulla riva del lago. Che cosa racconterò l’indomani?
Da allora non l’aveva più rivisto. Rattristita, s’immerse nell’acqua fin sopra la vita e chiuse gli occhi; una luce iniziò a sprigionarsi sotto la superficie dello specchio d’acqua, e diverse squame iniziarono, dal basso vero l’alto, a ricoprirle il corpo. Un’ultima domanda le uscì dalle labbra prima che si trasformasse definitivamente.
“Kieran, dove sei?” domandò, ma non vi fu risposta tranne il lento rimescolio dell’acqua, il vento fra i rami degli alberi e qualche pipistrello, più in là.