Oltretutto non è solo l’ipotesi che il nostro Paese venga meno agli impegni presi in sede internazionale ad essere preoccupante; quello che è ancor più inaccettabile è il rischio -purtroppo concreto- di perdere irrimediabilmente una parte consistente dei nostri territori vincolati. Pericolo assolutamente reale. Federparchi infatti per i prossimi anni ha previsto che la metà dei suoi federati chiuderà i battenti. Il resto, probabilmente, riuscirà a fatica a garantire il presidio a tutela dell’area in gestione, ma non avrà fondi da destinare in attività di ricerca, promozione e divulgazione.
Di fronte alle cupissime ripercussioni del provvedimento, non sono mancati certo scioperi, proteste e appelli di ripensamento, tra cui spicca quello del ministro dell’ambiente Stefania Prestigiacomo. Ad oggi, però, nulla è cambiato.
I parchi sono irriproducibili oasi naturali e riserve di biodiversità; estese porzioni di territorio che consentono di salvaguardare interi ecosistemi terrestri, marini e fluviali; ossia la rete totale di elementi, connessioni e funzioni in cui si articola la vita -quella umana compresa- e che è il risultato di miliardi di anni di evoluzione.
I parchi sono ricchezza. Sono zone di grande valenza ecosistemica e paesaggistica che offrono ampie possibilità di sviluppo. Anche considerando solamente il profilo economico, si rischia di perdere molto più di quanto si risparmia e i dati lo confermano: negli ultimi sette anni il turismo nei parchi nazionali è aumentato del 34% contro il 19% del turismo in generale, inoltre il business legato al sistema turistico nei parchi nazionali è il 10% dell’indotto complessivo del turismo. Una perdita che appare davvero troppo ingente, soprattutto se messa in relazione con il falso risparmio che se ne ottiene. Negli anni precedenti i Parchi nazionali hanno complessivamente ricevuto dallo Stato circa 52 milioni di euro l’anno. Il dimezzamento di una cifra già tanto bassa, condanna al declino queste inestimabili oasi naturali che oggi consentono la difesa di 1 milione 437 mila ettari di territorio italiano (circa il 5% del suolo nazionale) dall’espansione incontrollata delle città, dall’inquinamento delle acque, dagli incendi, dallo sfruttamento incontrollato delle risorse e dai danni del bracconaggio. Il rischio di paralisi dell’intero sistema dei parchi, pare ancora più insensato se si considera che, ad oggi, la spesa pubblica per le aree protette coincide con lo 0,0069% del PIL: vale a dire un caffè all’anno per ogni cittadino italiano!
I parchi sono storia. Aree sulle quali si sono stratificati secoli di storia naturale e umana formando quel peculiare intreccio che oggi possiamo definire propriamente paesaggio e nel quale possiamo riconoscere la nostra identità culturale. Un area protetta è quindi testimonianza del passato: traccia di una storia fatta di pratiche, rappresentazioni, conoscenze, saperi, oggetti e manufatti, ma anche delle idee che hanno nutrito le menti di coloro che, negli anni, hanno lottato per ottenere il riconoscimento e la tutela di queste bellezze paesistiche e naturali. Così, il verde scintillante delle faggete, il rosso vivo delle colonie di corallo della Grotta di Nereo, l’ordinato dispiegarsi dei terrazzamenti delle Cinque Terre, il bruno mantello dell’orso Marsicano e le altre splendide forme e colori degli organismi viventi e non d’ogni tipo ne diventano l’emblema. Oltre alla storia dell’uomo, un’area protetta ha impresso nel suo codice genetico la storia del pensiero umano: un secolo di evoluzioni concettuali che hanno nutrito il vivace dibattito internazionale sulla conservazione della natura.
Tagliare i fondi destinati ai parchi è una scelta cieca, vale a dire: sminuire la nostra eredità culturale, danneggiare le nostre economie, le nostre condizioni di vita, la nostra salute e la qualità della nostra vita stessa.
Autore: Sara Colombo