Il 1° gennaio del 2012 la mia giornata iniziava così, all'alba di un mattino tranquillo, dopo una festa a casa nostra, con tanti amici. Questa volta inizia con la stessa immagine dalla finestra, ma con colori diversi.
Questo 2013 è cominciato nell'acqua.
In piscina, con alcuni degli stessi amici dell'anno scorso, tutti vestiti da hawaiani. Pensando: aloha 2013. Giocando a palla, mangiando e bevendo, tra centinaia di persone, con musica altissima e bella e ballando in costume, con la coroncina di fiori in testa.
Potrei dire che è stato il più bel Capodanno della mia vita. Mi piace pensare che sia cominciato con una specie di grande rituale collettivo che aveva il sapore di qualcosa di antico, anche se perfettamente conficcato nel presente.
Considerato che quella del Capodanno è un'incognita; perché ti senti vulnerabile e non sai mai cosa ti può succedere quella notte e nella vita. Ricordo Capodanni di ineffabile tristezza. E Capodanni semplicemente senza allegria.
Questo è stato il più bello, senza dubbio, per me. Il meno complicato, il meno pensieroso. E dire che, come molti là fuori, non sono affatto felice. Né triste. E ho un sacco di paura, cose da capire, preoccupazioni, malinconia, disdette, sensi di colpa e angoscia.
Ma anche grandi e dolcissime speranze, grandi e meravigliose fantasie e una nuova incoscienza, e la volontà di vedere le cose senza controllarle.
Leggo Franzen che racconta della mania di controllo dell'amico David Foster Wallace e fin dove quella lo ha portato, quanto lontano da ogni possibile serenità e penso che si può essere così, magari con un tantino meno di genio, e si può soffrire davvero molto. Mentre controlli tutto quanto non vivi più, non cresci, non ami niente e nessuno. Meglio lasciar stare. Non controllare troppo se stessi, né gli altri. Andare come la vita ha deciso; senza forzarsi a fare cose che non si desiderano. Ma continuando a desiderare.
Questa mattina mi sono svegliata e il mio primo pensiero è stato: sono viva. Anzi: sono viva? Diciamo, è con questa domanda che mi preparo ad affrontare il nuovo anno.
Però non solo. Mi è piaciuto, negli ultimi tempi, affidarmi all'Universo: ci penserà lui (L'Universo, intendo) al mio destino, e farò esattamente quello che mi capiterà di fare. Sarà il vento a guidarmi.
Non controllerò la cartina, non controllerò. Etc.
Che è bello, e può portare tante avventure. Ma non basta. Sono più le disavventure, a conti fatti.
Ho capito che c'è una contropartita per questa cosa, per questo abdicare. Ed è che alla fine hai la sensazione di non scegliere, non decidere, non progettare e, guarda un po' che la cosa ha fatto il giro e ritorna al punto di partenza, non amare niente e nessuno.
Fare quello che capita oggi mi pare di colpo come un'evasione, tipo mangiare Nutella, ma non può essere la regola.
Vorrei dire dunque: non ho buoni propositi, vivrò spensieratamente, proprio come capita!
Ma questo gioco non mi convince più. Ci ho pensato per tanti giorni. E mi ritrovo qui a mangiare un cucchiaino di miele (il miglior antidoto al mondo all'hangover: la dolcezza salverà il mondo!) e a dire: vivrò come avrò scelto di vivere. Certo, in questa folle esternazione sono compresi tutti gli imprevisti del caso e potreste confutarla in meno di due secondi, con la mano sinistra e bendati.
Però è proprio quello che farò.
Insomma, a 32 anni, in gonnellino di paglia da hawaiana e coroncine di fiori in testa, ai polsi, alle caviglie, al collo, ballando in infradito e mangiando arachidi mi pare di aver capito che è tutto una scelta e poi un equilibrio tra scegliere e: vada come vada. Scegliere. E vada come vada. Come spesso accade, è una questione di ritmo.
E di dosi, e di tempi. Dunque dunque. Anche amare le persone, le idee, il proprio lavoro è una scelta. E poi è una scelta essere vivi. Ed essere onesti. E chi votare. E cosa mangiare. E cosa bere. E quante parole dire. E il silenzio.
Quello che manca poi un po' in linea generale alla mia generazione di progetti: il Progetto.
E non ci sono tante scuse per questo. Quindi basta. Adesso chiudo il barattolo del miele, e mi metto a progettare qualcosa. Per esempio: un risotto alla zucca. Poi vi dico.
Intanto, buon anno di nuovo. Grazie di essere passati di qui. Vi voglio bene.
E vi dedico questa canzone. Si chiama Hoppipolla, che significa, in islandese, saltare nelle pozzanghere. Penso sia quello che ci tocca fare adesso. Saltare come pazzi nelle pozzanghere, infrangere tutto quanto è piatto, paludoso e stantio, creare onde, sporcarsi i piedi.
E mentre lo facciamo, ascoltare, assorbire tramite la pelle fino al cuore questa dolcezza di questa musica. Questa luminosa e cristallina dolcezza.