2014: i nomi che hanno segnato un anno di cinema

Creato il 29 dicembre 2014 da Persogiadisuo
Il 2014 è stato un anno di buon cinema, in linea col 2013: oltre una dozzina i titoli che si possono definire buoni, col cinema indipendente statunitense a farla da padrone, grazie soprattutto a titoli come Lei e Boyhood. I film “da Oscar” sono stati dimenticati in fretta (12 anni schiavo, I segreti di Osage County, American Hustle) e i grandi registi si sono confermati tali: Christopher Nolan, Wes Anderson, David Fincher, Martin Scorsese e i fratelli Coen. Lars Von Trier si conferma autore controverso, capace di attirare molta attenzione con i suoi due capitoli di Nymphomaniac e la futura versione non censurata. Unica eccezione l’ottuagenario Clint Eastwood, col deludente Jersey Boys, ma ne ha già un altro in cantiere. Fallita invece la consacrazione di Darren Aronofsky, che con il colossal biblico new age Noah non ha saputo eguagliare i fasti de Il cigno nero. Il 2014 è stato l’anno dell’inesauribile proliferazione di saghe distopiche per teenager: Maze Runner, Divergent, Il mondo di Jonas e l’ultimo capitolo di Hunger Games: tutti godibili, nessuno indimenticabile. Da segnalare anche l’improvvisa sparizione del cinema francese: dopo anni di fenomenali successi commerciali (Quasi amici) e di critica (The Artist, La vie d’Adèle) il cinema d’oltralpe si è decisamente fatto da parte. Tuttavia le lingue francofone non hanno abbandonato le sale: con Due giorni, una notte i fratelli Dardenne, dal Belgio, si confermano grandi maestri anche se il 2014 sarà ricordato come l’anno di grazia di due registi del Quebec: Xavier Dolan con Mommy e Jean Marc Vallé (con un film statunitense però, Dallas Buyers Club). Dal Canada, seppur quello inglese, viene anche David Cronenberg, capace di aggiungere un altro film notevole alla sua filmografia con Maps to the stars. Britannici sono infine Ken Loach, che dopo quasi cinquant’anni di carriera, si conferma con l’ottimo Jimmy’s Hall e il quasi esordiente Matthew Warchus col sensazionale Pride. Dalla verde Irlanda proviene Jim Carney, che con il suo primo film statunitense, Tutto può cambiare, ha raccolto un buon successo di pubblico.
Arriviamo infine all’Italia, sempre bistrattata e sempre capace di rifarsi nonostante la mancanza di fondi e di promozioni adeguate: dopo l’Oscar a Sorrentino, che ha portato milioni di italiani a confrontarsi con un film tutt’altro che immediato come La grande bellezza, quest’anno gli italiani si sono riversati in massa ad ammirare un film altrettanto complesso come Il giovane favoloso, che consacra Mario Martone come uno dei nuovi grandi registi italiani. Ma il successo internazionale del nostro cinema non è finito: Il capitale umano di Paolo Virzì ha vinto premi a Toronto e Le meraviglie di Alice Rochwacher si è portato a casa un premio a Cannes. 

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