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2014: un anno impegnativo per la democrazia indiana

Creato il 04 marzo 2014 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
2014: un anno impegnativo per la democrazia indiana

Malgrado si prospetti un cambio di governo alle elezioni parlamentari di aprile, la politica estera indiana rimarrà sostanzialmente invariata.

Con l’inizio del nuovo anno l’attenzione dell’India è rivolta a due Paesi dell’area asiatico-pacifica, la Corea del Sud e il Giappone. È evidente come questa sia l’area in cui la diplomazia indiana spera di ripristinare la propria influenza; la posizione della Cina è in questo caso tutt’altro che irrilevante.
L’immediata vicinanza all’Asia meridionale, inoltre, rischia seriamente di imbrigliare le energie diplomatiche di Nuova Delhi per i dodici mesi a venire; ancora una volta, a causa del ruolo centrale della Cina. Per fortuna l’impegno degli Stati Uniti e dell’Iran a intavolare negoziati diretti ha allontanato le avvisaglie di guerra che minacciavano l’area del Golfo Persico, polo di attrazione per gli interessi indiani.

Malgrado il cambio di governo alle elezioni parlamentari di aprile, la politica estera indiana manterrà sostanzialmente invariati i suoi presupposti: particolare rilievo alle relazioni con gli Stati Uniti; sviluppo costante del partenariato con la Russia; mantenimento di buoni rapporti con le potenze europee; forte risalto ai legami estremamente proficui con i Paesi del Golfo Persico; e progressivo avanzamento della Look East Policy. Eppure, la capacità indiana di far leva sul mercato per stimolare la propria diplomazia non darà i suoi frutti, date le modeste prospettive di crescita.

Quest’ultimo è un elemento importante perché, al confronto, la Cina è evidentemente orientata ad affrettare le sue riforme e ad accelerare il passo nella liberalizzazione economica attraverso maggiori iniziative di mercato. Il 2014 sarà probabilmente l’anno in cui la Cina cederà all’accordo sul Partenariato Transpacifico (TPP) appoggiato dagli Stati Uniti. Potrebbe inoltre aderirvi per agevolare i cambiamenti interni, come fece alla fine degli anni ’90 sfruttando l’appartenenza all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) per attuare riforme economiche e istituzionali. Secondo gli osservatori cinesi, il TPP stabilisce il grado di concorrenza delle riforme nazionali cinesi. Il ritardo dell’India, rispetto alla Cina, consiste nella sua continua incapacità di collegare la rapida evoluzione del panorama commerciale regionale con le sue riforme interne.

Gli esperti indiani non dovrebbero focalizzarsi troppo sul “perno” militare della politica statunitense in Asia e sulle dinamiche di potere che emergono nell’area asiatico-pacifica. L’Asia, e la Cina in particolare, è tra i principali fattori di espansione dell’economia americana nonché il pilastro fondamentale per la sua ripresa. Nel 2014 questa tendenza non potrà che aumentare, parallelamente al ruolo di guida della Cina come partner commerciale di molti Paesi asiatici, contribuendo così ad alimentare l’economia della regione di oltre 20 trilioni di dollari. La strategia di ribilanciamento americano mira sia a creare una barriera contro il crescente peso strategico della Cina che a trarre beneficio dalla stessa economia cinese, ad oggi l’unico motore della domanda in grado di incrementare le esportazioni dell’economia americana.

Sebbene il “perno” della politica indiana in Giappone sia giustificato dall’evidente cautela strategica tra Tokyo e Pechino, Delhi dovrebbe considerare la portata strumentale giapponese – finanziamento di progetti, commercio – e non limitarsi soltanto a una cooperazione per la sicurezza. Il 2014 aiuterà a capire meglio l’approccio giapponese agli investimenti, ovvero se ci sarà da parte di Tokyo un serio ripensamento sulla Cina quale destinazione degli stessi. L’acuirsi delle tensioni nelle relazioni sino-giapponesi finirebbe certamente per far defluire gli investimenti giapponesi dalla Cina verso altre destinazioni. Ad ogni modo, occorre chiedersi se l’India risulti o meno una destinazione attraente per gli operatori economici giapponesi.

Il punto è che le elezioni indiane del 2014 difficilmente produrranno uno scenario favorevole all’adozione di iniziative che possano anche solo vagamente suggerire un confronto con l’imponente programma di riforme economiche cinesi, radicale nel genere e comprensivo dell’impegno alla liberalizzazione finanziaria.

Correggere l’atteggiamento

Nel 2014 la diplomazia indiana dovrà anche elaborare le sue politiche di vicinato. In linea generale, le relazioni dell’India con i paesi limitrofi stanno subendo una radicale trasformazione ed emerge per Delhi l’esigenza, mai avvertita prima, di negoziare con le capitali del sud-est asiatico. Per la prima volta, lo Sri Lanka si rifiuta di rilasciare unilateralmente i pescatori indiani posti sotto la sua custodia. Le Maldive, nonostante le manovre diplomatiche di Delhi, hanno di fatto estromesso la compagnia indiana che gestiva l’aeroporto internazionale della capitale.

I paesi del sud-est asiatico si sono aperti alla globalizzazione e le ombre della Cina si stanno allungando alla regione. Mentre la Cina insegue i propri interessi in quest’area, per nulla afferenti l’India, i Paesi del sud-est asiatico riescono a creare spazi di negoziazione con Delhi, rendendo di fatto necessaria da parte di quest’ultima una profonda modifica nell’atteggiamento.
Gli esperti indiani esprimono preoccupazione per la “vulnerabilità” di Delhi e il timore che si lasci manovrare dai Paesi vicini; tuttavia, non comprendono come il problema sia un altro, in quanto è in atto un cambiamento di paradigma e occorre sviluppare un nuovo modo di pensare e fornire risposte innovative.

Nella politica attuale non c’è spazio per dimostrazioni di forza o politiche del pugno di ferro. Lo ha capito anche una superpotenza come gli Stati Uniti nei confronti dell’America Latina. Il problema è che la politica sud-asiatica indiana spesso si configura come una ricerca disperata (e sempre più vana) di “influenza”. Il che significa contendersi il primato con la Cina (o il Pakistan), la quale si limita a trarne vantaggi strategici. Tuttavia, l’influenza implica propensione all’impegno profondo e continuo, e capacità di integrare tali economie, attraverso un dialogo prolungato con le élite politiche e la creazione di condizioni dalle quali tutti possano trarre qualche beneficio. Esemplificativo è quello che la Russia sta facendo in Ucraina. Anche in India occorrerebbe un progetto di “unione Eurasiatica” per l’Asia meridionale.

Il 2014 sarà indubbiamente l’anno di svolta per la questione afghano-pakistana con il ritiro delle truppe occidentali. Molto dipenderà dal modo in cui l’attuale governo di Delhi intenderà cedere il testimone a quello che gli subentrerà. In effetti, il nuovo governo registrerebbe un ottimo inizio se il Primo Ministro Manmohan Singh intraprendesse la tanto attesa visita in Pakistan (che non è da escludere). In caso contrario, il processo di dialogo si troverebbe a un punto morto, almeno temporaneamente, fino a quando il nuovo governo, non si insedierà a Delhi. Una simile prospettiva non è minimamente auspicabile in un momento in cui le dinamiche di potere nella regione sono in continua evoluzione. In Afghanistan la situazione resta incerta e molto dipenderà dalla transizione che, come previsto, avrà luogo a Kabul nel mese di aprile.

La classe dirigente indiana giudica favorevolmente la presenza al potere di governi “amici” in Nepal e Bangladesh, sebbene entrambi i Paesi siano segnati da destini politici incerti. In Nepal la polemica sulla triplice divisione del potere tra il Congresso nepalese, il partito comunista e i maoisti evidenzia come la classe politica abbia imparato poco dagli errori passati. La stesura della nuova costituzione si preannuncia particolarmente complessa. Sebbene la redazione della costituzione e la formazione di governo andrebbero attuati separatamente, i due processi continuano a essere strettamente collegati. L’approccio di Delhi, in questo caso, è purtroppo in gran parte condizionato da ragioni di sicurezza (tenendo conto della Cina) e la stabilità politica del Nepal passa in secondo piano. Probabilmente Delhi auspica che a Kathmandu resti al potere l’attuale governo provvisorio.

Un anno travagliato

In Bangladesh il governo di Sheikh Hasina sembra apparentemente godere di un vantaggio strategico. In realtà in questo Paese è in corso una crisi multidimensionale, esasperata dal coinvolgimento di potenze straniere – non solo il Pakistan, gli Stati Uniti con i loro alleati europei, ma anche le oligarchie del Golfo Persico con i loro petrodollari. È evidente che il giudizio e la condanna di persone accusate di crimini di guerra e la repressione del partito Jamaat e delle sue fonti di finanziamento estere siano aspetti rilevanti per la sicurezza e la stabilità del Paese cui occorre dare seguito; tuttavia, allo stesso tempo, il leader dell’opposizione Khaled Zia gode di un sostegno inconfutabile e risulta chiaramente insostenibile l’esclusione del suo partito, il Partito Nazionalista del Bangladesh (BNP) che, alle elezioni amministrative ha ottenuto oltre il 50% dei voti.

I due principali partiti, guidati rispettivamente da Hasina e Zia, dovrebbero raggiungere un accordo finalizzato a garantire una stabilità duratura al Paese, in cui Delhi potrebbe avere un ruolo fondamentale. La scelta degli Stati Uniti di trarre dei vantaggi avventurandosi su un terreno difficile, avrà implicazioni per l’India. Il 2014 sarà un anno cruciale per il futuro della democrazia in Bangladesh, con conseguenze sulla sicurezza regionale (e sugli interessi fondamentali dell’India) da non sottovalutare.

Lo Sri Lanka rappresenta per la diplomazia indiana una sfida completamente diversa. A Colombo, sarà forte il risentimento per la probabile presa di posizione che l’India ancora una volta assumerà in merito ai presunti crimini di guerra nello Sri Lanka, il prossimo marzo alla seduta del Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. Tuttavia, dopo le elezioni del 2014, la questione più urgente per il nuovo governo di Delhi sarà quella di dare ascolto alle pressanti richieste dell’opinione pubblica nello Stato meridionale del Tamil Nadu sul problema dei tamil dello Sri Lanka. D’altra parte, lo Sri Lanka si avvia anche a elezioni amministrative e, forse, a elezioni parlamentari di metà mandato, e nella già carica atmosfera politica il nazionalismo di Sinhala riscuoterà probabilmente un grande consenso. Il 2014, quindi, si preannuncia complessivamente un anno travagliato per le relazioni tra India e Sri Lanka.

Di fronte a tali sfide in politica estera, incerte, ma prevedibili saranno sia l’esito delle elezioni parlamentari del prossimo aprile che le relative ipotesi sul potere che si delineerà a Delhi. La politica di coalizione indiana si avvia verso un terreno inesplorato; l’organizzazione federale del Paese sta già influendo notevolmente sulle politiche di vicinato. Inoltre, la nuova formazione alla guida della politica estera e in tema di sicurezza avrà bisogno di tempo per raccogliere nuove alternative diplomatiche percorribili. Il 2014 si preannuncia dunque un anno molto impegnativo per la diplomazia indiana.

(Traduzione dall’inglese di Daniela Rocchi)


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