20th Century Boys: perchè l'opera di Urasawa non è un capolavoro

Creato il 13 settembre 2013 da Sommobuta @sommobuta
Kenji Endo è un trentenne che ha perso tutti i famigerati “treni della vita” a causa della sua codardia e del suo lassismo. Da giovane di belle speranze (qual era) si ritrova adesso a lavorare nel minimarket di famiglia (ma controllato da una multinazionale), ed è continuamente vessato da conoscenti, familiari e sconosciuti.
Per di più, deve crescere la figlia della sorella, scomparsa chissà dove.
La sua vita non potrebbe essere più brutta, squallida, monotona e noiosa.
Almeno fino a quando un uomo potente, ambizioso e terrificante che si fa chiamare “Amico” non comincia a guadagnarsi la stima e il supporto di migliaia di persone. E ad attuare un piano diabolico per distruggere il mondo.
Un piano identico in tutto e per tutto a quello che Kenji ha ideato con i suoi amici quand’erano poco più che bambini…
Ci sono tre modi per approcciarsi ai lavori di Urasawa, tre modi che compongono una piccola catena di montaggio nel momento in cui si raggiunge una certa “maturità” da lettore “tout court”:
1)- Leggere per la prima volta una sua opera e farsi trascinare dal lirismo e dalla potenza della sua narrazione;
2)- Comprendere che Urasawa applica alla perfezione le lezioni narrative impartite dai grandi della letteratura;
3)- Annoiarsi perché in tutte le sue opere non c’è nulla di nuovo ed è tutto dannatamente prevedibile.
Una fede, una convinzione
Quando ci si avvicina per la prima volta a un lavoro di Urasawa non si può fare altro che decantarne le lodi. Cosa, per altro, vera. Perché Urasawa sa sempre quando è il momento di spingere l’acceleratore sull’azione, quando è il tempo per fermarsi a indagare su questo o quell’aspetto psicologico dei protagonisti, o quando si devono dispensare misteri e risoluzioni.
Il punto di forza del sensei di Fuchu è proprio il lavoro approfondito sui personaggi, caratterizzati a 360°, siano essi principali o secondari.
Nel panorama fumettistico nipponico è probabilmente uno dei più abili narratori, sicuramente uno dei più bravi a creare intrecci e imbastire storie avvincenti e mature.
Ma paradossalmente, questa sua bravura, è anche il suo maggior limite.
Perché nei suoi lavori non c’è mai un guizzo, un pensiero fuori dagli schemi, un qualcosa che, arrivati ad un certo punto, sia in grado di far saltare il banco.
Credi sempre nei tuoi sogni e blablabla...
Il lirismo, la genialità artistica, la filosofia di fondo che permea tutte le sue opere vanno bene se il lettore è un novizio. Se non lo è, perché magari ha alle spalle tonnellate di letture (e mi riferisco non solo ai fumetti), di Urasawa “vedi i fili, gli specchi e il corvo impagliato” (cit.).
Non fraintendetemi: i suoi lavori sono molto buoni. Tutti, nessuno escluso*. Ma se il primo approccio è quello della meraviglia, dell’incanto, del sogno, il secondo ti permette di vedere che quello che hai davanti è un castello di carte, che si può spazzare via con un singolo soffio.
20th Century Boys è il manga di Urasawa più acclamato di sempre. Di sicuro è quello ritenuto dai più il suo lavoro migliore. Ricordo che quando lo lessi per la prima volta ne rimasi estasiato. Soprattutto perché mi ricordava molto, sia per tematiche che struttura narrativa, Il Pendolo di Focault di Umberto Eco.
Ma sì, voliamo alto con i paragoni, dai...
Complotti mondiali, teorie in grado di distruggere il mondo, alternanza di piani temporali che spaziano dagli anni ’70, agli anni ’80, ai ’90, fino ai giorni nostri, personaggi indimenticabili (su tutti, Occio). E poi la poetica dell’apocalisse trova qui una delle vette più alte (il mondo distopico dell’Amico divenuto presidente del mondo è inquietante).
Urasawa gioca con gli archetipi più classici, creando probabilmente quello che è uno dei migliori manga di formazione. Così come in It di Stephen King, un gruppo di amici ormai adulti devono affrontare paure e misteri nascosti tra le pieghe della loro infanzia.
I giochi dei bambini...
Ma per l’appunto, tutto è destinato a finire “come deve finire”.
Il giocare con gli archetipi narrativi più classici (la pandemia, il salvatore del mondo che in realtà è l’artefice del disastro, il gruppo di amici che cementa il proprio legame dopo anni di distanza) non dà scampo a nessun tipo di colpo di scena. 20th Century Boys è fatto e finito già dal primo volume, tanto che, con il prosieguo della storia, per tenere alta la tensione, Urasawa si troverà nella spiacevole situazione di allungare il brodo, con i volumi conclusivi che mostrano paurosamente il fianco a trovate narrative stantie, perché già viste e riviste nel corso dell’opera stessa.
[OCCHIO ALLO SPOILER]
Tutta la parte inerente il secondo Amico è un tentativo – fallito, per quanto mi riguarda – di cercare di estendere la storia e coinvolgere maggiormente il lettore con un nuovo mistero. Peccato che la parte finale di 20th Century Boys e 21st Century Boys, eccezion fatta proprio per il mondo distopico, sia di una noia mortale.
Si ripetono fatti e situazioni già presentati, e lo svelamento dell’identità del Secondo Amico non provoca alcun pathos (anzi, fa inarcare il sopracciglio in modo che possa ricoprire gradazioni di angoli acuti e ottusi).
Silvio Berlusconi L'Amico
Il problema non è nemmeno l’identità del secondo Amico – geniale trovata, secondo alcuni, perché fa riferimento a un personaggio del quale si è sentito solamente parlare in un paio di occasioni (e in una maniera piuttosto specifica) -, quanto le dinamiche che portano alla sua ascesa e al fatto che nessuno si ricordi di lui se non nel momento in cui ce n’è bisogno.
Se riesco a giustificare il fatto che gli eventi che portano alla catastrofe sono dovuti a fatti e invenzioni che si perdono nella nebbia del tempo e della memoria di un gruppo di bambini, è impossibile per i protagonisti non ricordarsi dei propri compagni di giochi. Fossero anche i più anonimi e incolori.
Sempre Silvio Berlusconi l'Amico
Parlo soprattutto per esperienza personale: non ricordo con precisione cosa facessi all’asilo a 5 anni, ma ricordo perfettamente tutti i miei compagni, dal primo all’ultimo.
Insomma, la parte conclusiva del manga di Urasawa non regge, e sotto molti aspetti, oltre ad essere annacquata oltre l’inverosimile, sfigura nei confronti della prima parte e di quella centrale, che pure regala momenti epici (l’evasione di Occio dal carcere di massima sicurezza, tributo monumentale a “La grande fuga”, è forse uno dei momenti più coinvolgenti di tutto il manga).
[TIRA UN SOSPIRO DI SOLLIEVO]
Ad ogni modo, se cercate un fumetto (molto) superiore alla media, 20th Century Boys fa sicuramente al caso vostro.
Anche perché se è la prima volta che lo leggete, vi piacerà sicuramente al 100%.
E tutte queste pecche di cui abbiamo parlato non le vedrete nemmeno.
Se invece avete letto il fumettino in questione...fatemi sapere cosa ne pensate!
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*Non è un caso che reputi Pluto il suo lavoro migliore. Non essendo un fumetto originale, Urasawa ha potuto dare il meglio di sé caratterizzando al massimo i personaggi ideati da Tezuka. E rendendo i robot protagonisti più umani degli umani stessi.

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