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21/05/2014 - Ucraina, sussidi alle FER e Shale Gas... per una politica energetica sostenibile?

Creato il 21 maggio 2014 da Orizzontenergia
Ucraina, sussidi alle FER e Shale Gas... per una politica energetica sostenibile?

Intervista a Matteo Verda, PhD, ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, Milano


Dott. Verda, partendo dall’assunto che la sostenibilità influisce su vari aspetti – economico, sociale, istituzionale e ambientale – quanto secondo Lei la politica energetica nazionale sta realmente tenendo conto di tutte queste componenti ed in particolare di quella istituzionale relativamente alla sicurezza energetica ed alla competitività del Sistema Paese?

Chiaramente sulla questione della sostenibilità vi è stato uno sbilanciamento, indotto dal contesto europeo, a favore della dimensione ambientale.

La legislazione europea è infatti andata nella direzione di spingere per un forte sostegno pubblico allo sviluppo delle rinnovabili, intese come strumento di sostenibilità ambientale. La legislazione italiana ha seguito la tracce, introducendo generosi meccanismi di sussidiazione.

Questo approccio istituzionale di favoritismo alle rinnovabili non ha però creato un indotto tale per cui i vantaggi in termini di politica industriale abbiano superato le esternalità negative in termini di competitività.

Dal punto di vista della sicurezza energetica, l’aggiunta della capacità di generazione da rinnovabili sussidiate – ovvero di una produzione totalmente indipendente dalle importazioni – ha aumentato marginalmente la sicurezza, ma a costi esorbitanti e in un contesto in cui essa è comunque garantita dall’importazione di fonti fossili.

Dal punto di vista economico, i meccanismi di sussidiazione alle rinnovabili hanno generato un forte trasferimento di ricchezza che non ha però avvantaggiato in modo significativo gli operatori nazionali. Anzi, ha creato condizioni di mercato avverse (acuite ovviamente anche dalla crisi economica), per quegli operatori che avevano investito sul mercato tradizionale del termoelettrico e ora faticano a ripagare gli investimenti.

In risposta alle critiche, una tra le argomentazioni che sovente viene mossa è che lo sviluppo del segmento delle rinnovabili possa generare ricadute positive in termini di politica industriale, sviluppando una filiera in grado di competere sui mercati internazionali. Ma ciò si è rivelato vero solo per poche aziende europee che sono riuscite a piazzarsi bene in alcuni segmenti. Più in generale infatti, non appena vi è stato un margine di competitività per le aziende estere, gli investitori europei hanno naturalmente optato per importare tale tecnologia a costi più bassi. Abbiamo assistito a un aumento della competitività e a una maturazione tecnologica, ma spesso non per i Paesi europei.

In che modo quindi la crescita delle rinnovabili sta contribuendo a modificare gli scenari e la sicurezza energetica in Europa?

Le rinnovabili hanno attirato un'attenzione sproporzionata da parte dei decisori politici europei che ne hanno promosso lo sviluppo quale strumento di lotta ai cambiamenti climatici relegando in secondo piano la questione della sicurezza energetica, che ovviamente ne beneficia – essendo le rinnovabili una forma di energia autarchica, indipendente dagli approvvigionamenti dall’estero – ma a costi assolutamente sproporzionati rispetto agli obiettivi raggiunti. Paradossalmente ha contribuito di più la crisi economica che non le rinnovabili ad aumentare il livello assoluto di sicurezza del paniere energetico europeo.

Certamente non si può negare che il settore delle rinnovabili abbia conosciuto negli ultimi decenni importanti evoluzioni tecniche a livello globale, localmente arrivando addirittura in alcuni casi alla grid parity. Ma ciò è avvenuto esclusivamente per quelle tecnologie già mature ed economicamente competitive a prescindere dall’incentivazione statale. Il sistema di incentivazione è infatti basato sull’assunto che le rinnovabili non siano attualmente competitive.

Ritiene che le attuali misure di incentivazione per le FER adottate dall’Italia siano adeguate in un’ottica di sviluppo sostenibile?

No. Le misure di incentivazione alle FER non hanno risposto ad una politica energetica concepita in modo organico: da un lato corrispondono infatti al meccanismo di stimolo/risposta innescato dalla legislazione europea, e dall’altro non sono altro che uno strumento di compartecipazione diffusa ad un’attività di redistribuzione della ricchezza che crea interesse diffuso al mantenimento del sistema di incentivazione che si è creato.

I sussidi alle FER hanno infatti creato un elettorato potenziale - un segmento di popolazione, costituito soprattutto da privati che hanno investito nel pannello sopra il tetto di casa - che ha una naturale predisposizione a difendere l’attuale status quo della politica energetica, dal momento che qualsiasi iniziativa che vada nella direzione di tagliare i sussidi alle rinnovabili sarebbe percepita come rischiosa per i loro investimenti. Anche se poi in realtà il grosso dei sussidi va a chi ha investito in progetti più grandi.

Quali sono gli strumenti che il Paese dovrebbe mettere in atto per cautelarsi da blackout energetici e minacce geopolitiche esterne?

Sul tema del blackout energetico vi è in atto un grosso dibattito sul disegno del mercato, ovvero sulla questione della remunerazione della capacità di generazione. Tra gli strumenti che il Paese dovrebbe mettere in atto per cautelarsi da rischi di questo tipo rientra certamente un più efficace meccanismo di allocazione delle risorse per evitare che gli operatori disinvestano sistematicamente e smantellino troppa capacità di generazione. Se è vero infatti che ad oggi ciò non comporta ricadute negative, data l’attuale condizione di over capacity, è altrettanto vero che ciò potrebbe rappresentare un rischio nel futuro, se si considerano l’aumento atteso dei consumi elettrici e l'orizzonte temporale relativamente lungo dei progetti energetici.

Se combiniamo quindi la riduzione di capacità di generazione continua fossile, per l’uscita dal mercato degli operatori, con l’aumento globale della domanda, la questione sicurezza si potrebbe proporre con orizzonte temporale di 5-10 anni.

E’ inoltre fondamentale che la remunerazione della capacità di generazione sia a carico di tutti gli attori del mercato, inclusi i generatori da rinnovabili, che creano larga parte dei problemi di rischio blackout, soprattutto in un’ottica di ulteriore aumento della quota di generazione da rinnovabili discontinue.

Per quanto riguarda invece le minacce geopolitiche esterne è fondamentale garantire approvvigionamenti stabili nel tempo. La strategia fondamentale è quella della diversificazione delle rotte e dei fornitori. Nel caso del gas naturale, il nostro sistema è già piuttosto diversificato ma, a parte il TAP (Trans Adriatic Pipeline), non sono previsti al momento nuovi progetti. Pertanto la priorità a livello politico dell’Italia è quella di assicurarsi che gli approvvigionamenti correnti siano stabili e affidabili anche in futuro.

Da un lato occorre quindi mantenere un dialogo stretto con la Russia e dall’altro sforzarsi per far sì che vi sia una maggiore stabilità nell’area nord africana, sia in Libia sia in Tunisia e Algeria. Russia e Nord Africa sono le due gambe su cui si regge l'approvvigionamento di gas italiano.

Nel caso della Russia, in particolare, l'intensificazione dei rapporti bilaterali del governo italiano riguarda anche lo sviluppo del South Stream. La minaccia dovuta all’interruzione dei flussi dall’Ucraina deriva infatti proprio dall’assenza di un’alternativa all’esportazione del gas russo. E’ quindi importante diversificare sì rispetto all’origine del gas (TAP), ma anche rispetto ai Paesi di transito e ciò potrebbe essere perseguito con lo sviluppo del South Stream.

Le infrastrutture di importazione dalla Russia © Matteo Verda http://www.sicurezzaenergetica.it/wp-content/uploads/2014/05/politiche_ue.pptx

Fonte: "Le nuove sfide per la politica energetica europea" © Matteo Verda

Quanto l’evoluzione degli scenari degli idrocarburi convenzionali (Ucraina) e non convenzionali (la potenziale esportazione di shale gas dagli Stati Uniti) possono influenzare la sicurezza e l’equilibrio degli approvvigionamenti energetici in Occidente e in particolar modo in Italia?

Parlando di Ucraina, mi aspetto una stabilizzazione della situazione. Vi sono infatti troppi interessi in gioco, sia dal lato europeo sia da quello russo, perché non si arrivi ad una cooperazione e ad una stabilità che garantiscano una base per la continuazione, in primis degli approvvigionamenti energetici e più in generale degli scambi commerciali.

Per far sì che ciò si verifichi occorre trovare a livello internazionale dei finanziamenti adeguati per sostenere in maniera continuativa l’economia ucraina. L’IMF, il Fondo Monetario Internazionale, sta già intervenendo, ma ci vuole un maggior coinvolgimento anche a livello europeo, dove mancano però le risorse finanziare per una reale politica unilaterale di lungo respiro.

Quel che resta dell’economia ucraina dipende ancora in forte misura dall’integrazione con l’economia Russia. Continuare a cooperare con Mosca è quindi una precondizione per la stabilizzazione del Paese. In ogni caso, purtroppo,  un precipitare non-intenzionale degli eventi è sempre possibile.

Dal punto di vista dello sviluppo del gas non convenzionale negli Stati Uniti, va invece detto che ciò ha aumentato la competitività della loro economia. Ma nel breve-medio periodo – in un orizzonte temporale di 5 anni – il non convenzionale statunitense non avrà alcun impatto significativo diretto sull’Europa, né tantomeno sull’Italia.

Manca infatti la capacità di esportazione dal lato statunitense, ma mancano altresì le condizioni di mercato affinché tali eventuali esportazioni possano effettivamente raggiungere in maniera finanziariamente sostenibile il mercato europeo. Anche qualora vi fosse un’esportazione massiccia di GNL da parte degli Stati Uniti, i flussi andrebbero più facilmente verso l’Asia, a meno che non si verifichi un (improbabile) riallineamento prezzi dei prezzi europei rispetto a quelli asiatici.

Il gas russo (circa 1/3 degli approvvigionamenti europei) e degli altri attuali fornitori europei resta così competitivo rispetto al GNL nordamericano.

Italian Gas Supply © Matteo Verda http://www.sicurezzaenergetica.it/wp-content/uploads/2014/05/hazar.pptx

Italian Gas Supply © Matteo Verda http://www.sicurezzaenergetica.it/wp-content/uploads/2014/05/hazar.pptx

Fonte: "The Italian Natural Gas Market: an Overview© Matteo Verda

Quale potrebbe essere a suo parere un efficace strumento per migliorare l’attuale grado di sostenibilità della nostra politica energetica?

Il mercato.

Ritengo che il mercato sia uno strumento fantastico per conciliare in modo efficiente l’aspetto della sostenibilità economica e gli altri aspetti, per fare quindi una politica di sostenibilità che passi attraverso dei segnali di prezzo. Si potrebbe per esempio pensare a una tassazione delle esternalità relative alle emissioni di CO2, lasciando poi ai meccanismi di mercato il compito di indirizzare gli investimenti verso le soluzioni più efficienti, attraverso i segnali di prezzo.

In modo analogo a quello che il mercato della capacità può fare per quello che riguarda la sicurezza del sistema elettrico a livello nazionale, altrettanto il mercato può essere uno strumento molto efficace nel conciliare i diversi aspetti della sostenibilità. In parte lo fa già, ma occorre valorizzare questa funzione. Anche la sostenibilità sociale è veicolata da strumenti di mercato: pensiamo per esempio alla componente tariffaria che agisce sulla redistribuzione della ricchezza in funzione delle necessità dei consumatori meno abbienti, ma in generale, tutta la tassazione che effettuiamo sui consumi energetici è uno strumento di ridistribuzione che risponde alle questioni di sostenibilità sociale.

La scommessa per l'Europa è quindi quella di favorire un funzionamento sempre più efficiente dei mercati e una loro regolazione robusta e stabile, a livello europeo. Per arrivare in prospettiva a un mercato unico dell'energia, dove le esigenze di sostenibilità economica, sociale e ambientale possano armonizzarsi grazie ai segnali di prezzo.


Matteo Verda, PhD
ISPI - Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, Milano


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