22 e 23 Novembre: Placebo a Bologna. Neanche la bufera è stata capace di spegnerci il sorriso.

Creato il 27 novembre 2013 da Federica Forlini

_Placebo days_Teoricamente quando recensisco un concerto non lo faccio sul blog, ma quando recensisco un concerto non sono nemmeno così di parte. Sarebbe una lotta persa ancor prima d'iniziare chiedermi di essere imparziale con questi tre (specialmente qui con mister sorriso, che stranamente era di buon umore).Sì, sto parlando dei Placebo: i soliti per cui molta gente finisce sul mio blog, che quando l'ho inaugurato mi son detta: mi raccomando, usalo per la scrittura e non per i Placebo!Einveceno! Le due cose sono entrambe pezzi di me; e questa band è la mia ispirazione. Pertanto mi son già arresa da un pezzo!
Da quando mi hanno accesa, è stata una sfida riuscire ad andare ad un loro live. C'era Lucca, ma mi ero appena appassionata. Troppo fresca. C'era Villafranca, ma le circostanze erano così avverse che ho gettato la spugna portando rancore a me stessa. Deridendomi "col tuo spirito non li vedrai mai dal vivo". Fortunatamente la vita è più originale di come cerco di crearmela e finalmente l'occasione c'è stata. Finalmente, con gli occhi che ancora luccicano, posso dire: a Bologna io c'ero.
C'ero e facevo anche parte di qualcosa di più grande, ero un pezzo del tutto. Sì, perché non c'era solo la performance dei Placebo: il 22 e 23, per i fans più incalliti (quelli ossessivi che ogni 2 secondi si leggono gli aggiornamenti nei social) hanno preso il nome di Placebo days; giorni non solo di musica, ma anche di ritrovo. C'è stato il Placebo party con gli Empty Meds; c'è stata la presentazione di Placebo 20years (in cui l'autrice Francesca Del Moro ha letto anche il mio contributo che ho condiviso all'infinito -non la ringrazierò mai abbastanza, perché sono orgogliosa di ciò-. Libro che sto leggendo a passo di lumaca per via degli impegni, ma che scende in profondità. Mi sta toccando l'anima non solo per il racconto delle vicende, ma perché con esso ti rendi conto di quanto i testi del gruppo siano vivi. Torni alle origini, al perché ti hanno bucato il cuore e la testa), ma soprattutto si è avuta la palese dimostrazione che anche i Molko sbagliano: perché i too many friends a quanto pare ci sono l'uno per l'altro e si ritrovano. E collaborano anche alzando dei "Thank you" sotto al palco durante le canzoni. Inutile a dirlo: i Soulmates son sempre i Soulmates!
Aggiungo che io purtroppo il 22 non c'ero (mea culpa) e ho cercato di godermi lo spettacolo all'Unipol anche se da lontano. Non ho molto da dire: mi ha lasciata semplicemente senza parole!
_Il concerto_


Io ero in tribuna, pertanto sono giunta sul luogo comodamente verso le diciotto e mezza. Un uccellino tuttavia mi ha raccontato che prima di ciò è accaduto il finimondo e la zona si è allagata. Quindi, chi era in fila ha perso anche il posto e ha dovuto ricominciare da capo l'intero iter; ma non è stato il peggiore dei loro problemi.
Comunque, veniamo a noi. Si è svolto tutto con la massima puntualità, a partire dai  Toy che hanno aperto le danze spaccando il secondo. Mai vista tanta puntualità tutta in una volta, davvero. Vorrei poter elogiare altre doti di spicco oltre la precisione d'orari, ma nonostante siano stati carini e gradevoli non mi hanno particolarmente colpita. Anzi,  mi ero un po' persa.
Poi, a nemmeno mezz'ora dall'ultimo brano della band spalla, eccoli arrivare. A tribune e parterre pieni per metà (non capirò mai che gusto ci trova la gente a perdersi mezzo spettacolo), che successivamente si sarebbero riempiti del tutto.
Eccovi la scaletta:
1- B32-For What It's Worth3- Loud Like Love4- Twenty Years5- Every You Every Me6- Too Many Friends7- Scene Of The Crime8- A Million Little Pieces9- Speak In Tongues10- Rob The Bank11- Purify12- Space Monkey13- Blind14- Exit Wounds15- Meds16- Song To Say Goodbye17- Special K18- The Bitter End
Encore19- Teeanage Angst
20- Running Up That Hill
21- Post Blue
22- Infra-red

In quel momento ho avuto paura. Era in assoluto il primo live loro a cui assistevo e mi aspettavo di tutto; addirittura ricordo di gente che li aveva visti anni prima e mi aveva raccontato che "il cantante" si sente poco dal vivo, che non sono una buona band da concerti. Avrei presto scoperto la verità: finalmente li vedevo lì, fare il loro ingresso trionfante ma tuttavia discreto. Brian tra breve avrebbe aperto bocca e avrei solo potuto restarne sorpresa o delusa. Sì, perché li sopra i componenti effettivi sono in tre più i collaboratori (non meno importanti), ma io puntavo tutto su Molko: l'attenzione, lo sguardo, l'orecchio.
Parte B3. Attacco sicuro, potente che monopolizza da subito la scena e da quel momento in poi per me è stata l'ipnosi più totale: quasi non ci fossero state pause tra un brano e l'altro, quasi non si fossero susseguite diverse canzoni. L'ho avvertita più come una fusione, quasi fossimo tutti qualcosa d'infinito.
Inutile dire che ho urlato ogni  nota, dimenandomi come una scimmia e fra un po' mi lanciavo di sotto. Quello non era concerto: era elettricità e tante volte son stata sull'orlo del pianto.
L'inizio grintoso ha dato il via a dinamiche altalenanti. Uno scossone adrenalinico sedato dalla consecutiva discesa negli inferi e così via. Come una danza frenetica; un ronzare assordante che corre a spegnersi in uno scroscio di lacrime inconsolabile. Voglia di vivere a mille senza sentire, rimpiazzata da quella improvvisa e repentina di morire. Eppure non avrebbe dovuto scuotermi a tal punto: si sa che i Placebo son fatti così.
Ma averli lì a qualche metro e poterli vedere oltre che sentire, è un'altra cosa.
Ulteriore carica proveniva, oltre che da uno Steve Forrest alla batteria più brioso che mai e da uno Stefan Olsdal nei momenti giusti agitatore di folle, soprattutto da un Brian Molko raggiante. Da un cantante così noto per gli improvvisi scatti e sbalzi d'umore non ti aspetteresti mai un concerto felice in cui sorride, ringrazia e saluta in italiano cortesemente. Indimenticabili le scene in cui divertito rifila facce da protagonista e fomenta lui stesso il pubblico della tribuna ovest a forza di sguardi e mosse teatrali. Ho visto Brian come credo che sia realmente e mi ha resa felice, soddisfatta al 100% di averlo trovato vivace e rilassato emotivamente. Ha saputo creare magia: ha fatto quel salto per raggiungere l'empatia col pubblico, che chi conosce da tempo la band non si sarebbe mai aspettato.
Un particolare riconoscimento va anche a Fiona Brice, oltre che per gli arrangiamenti, per la grossa
disponibilità che dimostra nei confronti dei fans...a cui è forse seconda massimo a Steve, che oltre le foto e le chiacchierate concesse, ha donato al pubblico bacchette e persino i vestiti!
Ma parliamo seriamente dei brani, che sarebbe anche ora. Nella scaletta che vi ho fornito in precedenza, i pezzi evidenziati sono quelli cantati sotto la doccia...ehm da dietro il tendone trasparente, novità shock dell'anno. Sì, perché adesso si sono "inventati" questa tenda che scende e sulla quale a volte s'infrangono meravigliosi giochi di luce. Devo ammettere che l'effetto è particolare, ma non sempre. Ci sono momenti in cui la strapperesti con una motosega (tanto per star sicuri) e momenti in cui ti provoca una crisi. Il cosiddetto "lancio senza paracadute". Ci si fa un po' di minuti coperti e poi via, esplode Rob The Bank. Ci si carica un po' di più, ma niente. Ciò che mi ha fatto letteralmente rabbrividire è quanto avvenuto in seguito a Blind: la risalita della tenda prima di Exit Wounds toglie il respiro. Una secchiata d'acqua gelida, la rivorresti giù. Quello schermo artificiale ti protegge per alcuni brani e poi improvvisamente si eclissa, gettandoti senza protezioni in una canzone da brivido, docilmente aggressiva. Brano in cui cerchi di rimetterti addosso le difese, ma abituato al telo sei troppo sprotetto e non fai in tempo. Pezzo che cogliendoti impreparato ti ferisce,  ti strappa la pelle. E dopo Special K l'attacco si ripete simile, ma con meno potenza.
Tuttavia primi brividi li ho sentiti già su A Million Little Pieces, che anche se coperta è stata un capolavoro,  dall'intensità emozionale innata. Te lo buca il tendone. E' una spina microscopica che proprio perché piccola e innocua giunge sotto pelle, danneggiando gli organi vitali.
Unica e inimitabile anche Space Monkey, che poteva essere ancora più esasperata distorcendo ulteriormente la voce all'inizio. Ma passa l'esame a pieni voti.
Le canzoni da escoriazione, quelle che al momento dei saluti hanno messo ulteriore fame della loro musica nel cuore del pubblico mista ad ansia da abbandono, sono state da prima Song To Say Goodbye e in seguito Running con Infra-Red. Queste due particolarmente mi hanno lasciata senza voce, senza fiato e con un pulsare dell'anima impossibile da spegnere. Un incendio dentro.
Come per tutte le esperienze che ci si porta dietro per il resto della vita, ho sentito subito una fitta amara nel lasciare il sedile della tribuna. Mi hanno consolata poche cose: l'incontro con alcuni Soulmates (ebbene noi fans dei Placebo ci chiamiamo così. Questa precisazione la faccio perché sopra non l'ho spiegato), la consapevolezza di esserci stata e la biografia che ho continuato a leggere nel treno. Essa specialmente mi sta ricordando perché li ho fatti entrare nella mia testa e non ne escono... e fortunatamente ha lenito il grosso senso di perdita.
Eppure non mi basta raccontare la magia. Voglio mostrarvela. Per questo vi lascio qui  il link per vedervi Running Up The Hill, che è stata ripresa davvero bene e mette la pelle d'oca anche così.
Buona visione! 

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