Dopo la caduta della dittatura salazariana del 25 aprile 1974, si sfasciò gradualmente e definitivamente anche l’impero coloniale del Portogallo. In O GRANDE KILAPY (nel dialetto angolano Kimbundu sta per truffatore) seguiamo le strabilianti imprese di un affascinante personaggio, João Fraga detto Joãozinho, nei 10 anni prima della proclamazione dell’autonomia dell’Angola.
Joãozinho appartiene ad una famiglia benestante di Luanda e studia ingegneria all’università di Lisbona; ma è abbondantemente fuoricorso, perché il suo principale interesse nella vita sono le donne. O meglio, le donne mature e danarose, che seduce col suo fascino implacabile e che lo “ringraziano” foraggiando gli altri suoi interessi: gli abiti eleganti, le macchine sportive e le serate con gli amici a base di champagne e di… altre donne più giovani. L’ira funesta di una delle sue tradite conquiste, figlia di un ministro, attira su di lui l’attenzione di un funzionario della polizia politica: scandalizzato che un mezzosangue si permetta tutte queste libertà con le signore portoghesi, d’ora in poi lo terrà d’occhio.
A Joãozinho non interessa la politica, ma è un amico leale, generoso e sempre disponibile: si mette perciò davvero nei guai quando aiuta ad espatriare un compagno di università realmente coinvolto con i movimenti di liberazione dell’Angola. Non viene incarcerato ma rispedito a casa. Il padre gli trova un lavoro di sogno, meglio ancora del collaudatore di materassi: esattore all’ufficio delle tasse. Non ci mette molto Joãozinho a inventarsi una doppia contabilità per saccheggiare le casse dell’esattoria. Quasi un novello Robin Hood, utilizza i fondi sottratti all’odiato oppressore portoghese non solo per i suoi piaceri, ma anche per sovvenzionare amici in difficoltà a causa del loro impegno politico. Purtroppo il poliziotto che lo seguiva a Lisbona viene trasferito a Luanda; riesce a incastrarlo per malversazione e lo manda in galera.
Per fortuna poco tempo dopo con la Primavera dei Garofani cade la dittatura portoghese e in breve viene proclamata l’indipendenza dell’Angola. Joãozinho viene liberato insieme a tutti i prigionieri politici e viene portato in trionfo come paladino della lotta contro il potere coloniale.
Una storia surreale e rocambolesca, quasi una favola: invece no, è una storia vera, non ci avrei creduto se il regista Zézé Gamboa, che l’ha conosciuto da quando era un bambino, non me l’avesse confermato di persona.
Sicuramente questa mitizzata frequentazione infantile ha influito sulla leggerezza e l’affetto con cui viene descritto non solo il protagonista, quanto tutto un mondo, che certo doveva finire, ma che viene ricordato con un pizzico di rimpianto. Non per questo si può accusare Gamboa di superficialità, visto che, dopo decenni da documentarista, ha vinto al Sundance 2005 con il suo primo lungometraggio O HEROI, dedicato ai bambini-soldato della sua Angola – solo di nostalgia.
Metà del merito dell’ottima riuscita del film è sicuramente di Làzaro Ramos, bellissimo attore brasiliano da noi purtroppo sconosciuto, protagonista molto amato di telenovelas ma anche del premiatissimo, da Chicago a Mons, dal Sundance a Cartagena, MADAME SATÃ di Karim Ainouz. Dà a Joãozinho eleganza, fascino e credibilità, e uno sguardo che farebbe perdonare tutto (o quasi) a qualsiasi donna.
Magnifica la colonna sonora, curata da David Linx e Diederik Wissels.