23 novembre 1980, il terremoto in irpinia

Da Postpopuli @PostPopuli

di Nicola Pucci

23 novembre 1980, ore 19.34. La terra trema e la natura, bella quanto si vuole ma pure bastarda e troppo spesso insensibile alle vicende umane, si abbatte sugli speroni rocciosi d’Irpinia, diffondendo l’alito putrido della  morte.

Il terremoto in Irpinia – http://www.infooggi.it

Sono gli anni in cui l’Italia cerca faticosamente di lasciarsi alle spalle la lunga, ignobile stagione degli attentati, che pochi mesi prima non ha risparmiato la stazione di Bologna; le tragedie accompagnano la quotidianità dell’esistenza nostrana, tant’è vero che qualche centinaia di chilometri risalendo lo stivale, a Gemona, stavolta in Friuli, nel 1976, il terremoto ha già sbriciolato gli edifici spezzando vite innocenti, impreparate a ciò che l’uomo non può prevedere e arrestare – forse solo contrastare -, l’ineluttabilità degli eventi.

Avevo allora poco più di quattordici anni. Ne è passato di tempo da quel giorno maledetto, ma la sensibilità dell’adolescente non ha pari, e ricordo nitidamente quelle ore drammatiche. La notizia si diffuse in tarda serata e le prime immagini di rovina, prodotte con grande difficoltà i giorni successivi, iniziarono a entrare nelle nostre case di semplici osservatori. Divennero noti centri abitati che avrebbero preferito conservarsi anonimi: Lioni, Sant’Angelo dei Lombardi, Laviano. Vissi con trepidazione e profonda commozione le informazioni che di ora in ora si assommavano frenetiche e confuse. Si venne così a conoscere l’entità della scossa, X grado della Scala Mercalli; l’epicentro, ovvero le zone più devastate, le province di Avellino, Potenza e Salerno. Soprattutto si avviò la conta, incerta, delle vittime, dei feriti e dei senzatetto. In seguito si sarebbe saputo che avevano perso la vita 2914 tra uomini, donne e bambini.

Ma in special modo rammento la solidarietà della gente comune. Che in queste circostanze non manca mai di far sentire la sua forza, e noi fiorentini lo sappiamo bene. Frequentavo la Prima Liceo Scientifico, e in classe venne organizzata una raccolta di generi di prima necessità, abbigliamento e viveri a lunga conservazione. Mio padre e mio zio partirono alla volta delle zone del disastro, così come tanti altri volontari provenienti non solo dall’Italia, e rimpiansi di non esser più adulto per potermi unire a quella carovana degli aiuti.

Il seguito appartiene alla storia recente del nostro Paese; la ricostruzione, le cifre ufficiali, le inchieste e le polemiche: non è questo che intendo testimoniare.

Mi preme invece, oggi che mi avvicino a passi da gigante alla soglia delle 50 primavere e l’assuefazione alle tragicità dell’esistenza, non lo nego, ha in parte anestetizzato la mia reattività emotiva, ricordare un momento che mi toccò profondamente. Forse è per questo che ancor oggi, quando incrocio l’uomo d’Irpinia, mi vien spontaneo simpatizzare: è un sentimento, ahimè, figlio del dolore.