24 febbraio 1922: prima mondiale al Teatro Manzoni di Milano dell’ “Enrico IV” di Luigi Pirandello

Creato il 24 febbraio 2012 da Marvigar4

Luigi Pirandello, Enrico IV, atto secondo:

Buffoni! Buffoni! Buffoni! — Un pianoforte di colori! Appena la toccavo: bianca, rossa, gialla, verde…E quell’altro là: Pietro Damiani. — Ah! Ah! Perfetto! Azzeccato! — S’è spaventato di ricomparirmi davanti!

Dirà questo con gaja prorompente frenesia, movendo di qua, di là i passi, gli occhi, finché all’improvviso non vede Bertoldo, più che sbalordito, impaurito del repentino cambiamento. Gli si arresta davanti e additandolo ai tre compagni anch’essi come smarriti nello sbalordimento:

Ma guardatemi quest’imbecille qua, ora, che sta a mirarmi a bocca aperta…

Lo scrolla per le spalle.

Non capisci? Non vedi come li paro, come li concio, come me li faccio comparire davanti, buffoni spaventati! E si spaventano solo di questo, oh: che stracci loro addosso la maschera buffa e li scopra travestiti; come se non li avessi costretti io stesso a mascherarsi, per questo mio gusto qua, di fare il pazzo!

Landolfo Arialdo Ordulfo (sconvolti, trasecolati, guardandosi tra loro). Come! Che dice? Ma dunque?

Enrico IV – (si volta subito alle loro esclamazioni e grida, imperioso): Basta! Finiamola! Mi sono seccato!

Poi subito, come se, a ripensarci, non se ne possa dar pace, e non sappia crederci:

Perdio, l’impudenza di presentarsi qua, a me, ora col suo ganzo accanto… — E avevano l’aria di prestarsi per compassione, per non fare infuriare un poverino già fuori del mondo, fuori del tempo, fuori della vita! — Eh, altrimenti quello là, ma figuratevi se l’avrebbe subita una simile sopraffazione! — Loro sì, tutti i giorni, ogni momento, pretendono che gli altri siano come li vogliono loro; ma non è mica una sopraffazione, questa! — Che! Che! — È il loro modo di pensare, il loro modo di vedere, di sentire: ciascuno ha il suo! Avete anche voi il vostro, eh? Certo! Ma che può essere il vostro? Quello della mandra! Misero, labile, incerto…E quelli ne approfittano, vi fanno subire e accettare il loro, per modo che voi sentiate e vediate come loro! O almeno, si illudono! Perché poi, che riescono a imporre? Parole! parole che ciascuno intende e ripete a suo modo. Eh, ma si formano pure così le così dette opinioni correnti! E guai a chi un bel giorno si trovi bollato da una di queste parole che tutti ripetono! Per esempio: « pazzo! » — Per esempio, che so? — « imbecille » — Ma dite un po’, si può star quieti a pensare che c’è uno che si affanna a persuadere agli altri che voi siete come vi vede lui, a fissarvi nella stima degli altri secondo il giudizio che ha fatto di voi? — « Pazzo » « pazzo »! — Non dico ora che lo faccio per ischerzo! Prima, prima che battessi la testa cadendo da cavallo…

S’arresta d’un tratto, notando i quattro che si agitano, più che mai sgomenti e sbalorditi. Vi guardate negli occhi?

Rifà smorfiosamente i segni del loro stupore.

Ah! Eh! Che rivelazione? — Sono o non sono? — Eh, via, sì, sono pazzo!

Si fa terribile

Ma allora, perdio, inginocchiatevi! inginocchiatevi!

Li forza a inginocchiarsi tutti a uno a uno:

Vi ordino di inginocchiarvi tutti davanti a me — così! E toccate tre volte la terra con la fronte! Giù! Tutti, davanti ai pazzi, si deve stare così!

Alla vista dei quattro inginocchiati si sente subito svaporare la feroce gajezza, e se ne sdegna.

Su, via, pecore, alzatevi! — M’avete obbedito? Potevate mettermi la camicia di forza… — Schiacciare uno col peso d’una parola? Ma è niente! Che è? Una mosca! — Tutta la vita è schiacciata così dal peso delle parole! Il peso dei morti — Eccomi qua: potete credere sul serio che Enrico IV sia ancora vivo? Eppure, ecco, parlo e comando a voi vivi. Vi voglio così! — Vi sembra una burla anche questa, che seguitano a farla i morti la vita? — Sì, qua è una burla: ma uscite di qua, nel mondo vivo. Spunta il giorno. Il tempo è davanti a voi. Un’alba. Questo giorno che ci sta davanti — voi dite — lo faremo noi! — Sì? Voi? E salutatemi tutte le tradizioni! Salutatemi tutti i costumi! Mettetevi a parlare! Ripetete tutte le parole che si sono sempre dette! Credete di vivere? Rimasticate la vita dei morti!

*********************************************************************

Lettera di Luigi Pirandello a Ruggiero Ruggeri

Caro Amico, mi affretto a rispondere alla Sua lettera del 19, di cui La ringrazio con tutto il cuore. Le dissi a Roma l’ultima volta che pensavo a qualche cosa per Lei. Ho seguitato a pensarci e ho maturato alla fine la commedia, che mi pare tra le mie più originali:

Enrico IV, tragedia in tre atti di Luigi Pirandello.

Le accennerò in breve di che si tratta:

Antefatto: – Circa venti anni addietro alcuni giovani signori e signore dell’aristocrazia pensarono di fare per loro diletto, in tempo di carnevale, una «cavalcata in costume» in una villa patrizia: ciascuno di quei signori s’era scelto un personaggio storico, re o principe, da figurare, con la sua dama accanto, regina o principessa, sul cavallo bardato secondo i costumi dell’epoca.

Uno di questi signori s’era scelto il personaggio di Enrico IV; e per rappresentarlo il meglio possibile s’era dato la pena e il tormento d’uno studio intensissimo, minuzioso e preciso, che lo aveva quasi per circa un mese ossessionato.

Sciaguratamente, il giorno della cavalcata, mentre sfilava con la sua dama accanto nel magnifico corteo, per un improvviso adombramento del cavallo, cadde, batté la testa e quando si riebbe dalla forte commozione cerebrale restò fissato nel personaggio di Enrico IV.
Non ci fu verso di rimuoverlo più da quella fissazione, di fargli lasciare quel costume in cui s’era mascherato: la maschera, con tanta ossessione studiata fino allo scrupolo dei minimi particolari, diventò in lui la persona del grande e tragico Imperatore.

Sono passati vent’anni.

Ora egli vive – Enrico IV – in una sua villa solitaria: tranquillo pazzo. Ha quasi cinquant’anni. Ma il tempo, per lui (per la sua maschera, che è la sua stessa persona) non è più passato ai suoi occhi e nel suo sentimento: s’è fissato con lui, il tempo. Egli, già vecchio, è sempre il giovine Enrico IV della cavalcata.
Un bel giorno si presenta nella villa a un nipote di lui, il quale seconda la tranquilla pazzia dello zio, a cui è affezionatissimo, un medico alienista.

C’è forse un mezzo per guarire quel demente: ridargli con un trucco violento la sensazione della distanza del tempo.

La tragedia comincia adesso, e credo che sia d’una veramente insolita profondità filosofica ma viva tutta in una drammaticità piena di non meno insoliti effetti. Non gliel’accenno per non guastarLe le impressioni della prima lettura. Data la situazione, avvengono cose veramente imprevedibili, se Ella pensa che colui che tutti credono pazzo, in realtà da anni non è più pazzo ma simula filosoficamente la pazzia per ridersi entro di sé degli altri che lo credono pazzo e perché si piace in quella carnevalesca rappresentazione che dà a sé e agli altri della sua «imperialità» in quella villa addobbata imperialmente come una degna sede di Enrico IV; e se Ella pensa che poi, quando a insaputa di lui, è messo in opera il trucco del medico alienista, egli, finto pazzo, tra spaventosi brividi, crede per un momento d’esser pazzo davvero e sta per scoprire la sua finzione, quando in un momento, riesce a riprendersi e si vendica in un modo che – sì, via questo davvero, per lasciarLe qualche sorpresa, non glielo dirò.
Senza falsa modestia, l’argomento mi pare degno di Lei e della potenza della Sua arte. Spero che riuscirò a renderlo, perché l’attività della mia fantasia è ora più che mai viva e piena e forte. Ma prima di mettermi al lavoro, vorrei che Ella me nedicesse qualche cosa, se lo approva e Le piace. Ha visto i Sei personaggi in cerca d’autore? – Sapesse che vivo dolore è stato per me non aver potuto dare a Lei, in giro con lo Sly, questa commedia; non perché in fondo sia scontento dell’interpretazione della compagnia Niccodemi, ma perché m’ero figurato Lei e non Gigetto Almirante nella personificazione della parte del «Padre». Pazienza!

Mi saluti tanto tanto, La prego, il nostro caro Virgilio [Talli] che è stato tanto buono d’inviarmi un telegramma di fraterna solidarietà in occasione della tragica morte del mio povero Nino Martoglio. Spero, mio caro Amico, che la Sua amicizia e quella di Virgilio varranno a togliere una certa freddezza che la signora Alda Borelli ha veramente più d’un motivo d’avere verso di me. Gliene dirò qualche cosa la prossima volta.

Adesso la lettera è troppo lunga, e Le stringo forte, fraternamente, la mano.

Roma, 21 settembre 1921

Suo aff.mo

Luigi Pirandello



Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :