L’Italia non ha mai avuto paura né di Rubens né di Winckelmann; Londra non ha avuto paura del Bellotto né la Francia di Leonardo da Vinci; Giotto, nell’Italia disunita del suo tempo, non si è fatto mai problemi di lavorare per signori di stati diversi. Oggi, che un terzo dei neo-nominati Direttori generali di musei statali viene dall’estero e altri italiani dall’estero tornano nel nostro Paese, Italia Nostra non può che augurare buona fortuna e buon lavoro, dato che nessuno ha spiegato quale concreto progetto del Governo nazionale indirizzerà tutela e valorizzazione dei musei, dei monumenti, del paesaggio, di tutte le espressioni del territorio che chiamiamo patrimonio culturale.
Non sappiamo neppure come il “capitale umano”, ossia esperti e impiegati dei nostri prestigiosi istituti di ricerca e tutela, verrà accompagnato verso il perseguimento di nuovi obiettivi; ma quali obiettivi?
Non conosciamo quali siano i “livelli minimi di qualità” degli interventi di valorizzazione dei beni culturali: Stato, Regioni e Università avrebbero dovuto collaborare per definirli da undici anni a questa parte, ma non lo hanno fatto anche se il Codice dei beni culturali obbligava a farlo. Tutto ciò frena la collaborazione fra pubblico e privati.
E poi, quali nuove risorse umane, finanziarie e strutturali per i musei daranno senso alle nuove nomine? Per ora non se ne vedono. Quali risorse per la tutela, funzione strategica trasversale per musei e territorio? I decreti di semplificazione, voluti dalla Ministro Madia e incomprensibilmente accettati dal Ministro Franceschini assestano un ulteriore grave colpo al sistema italiano della tutela, non semplificano un bel nulla per i cittadini e mettono a rischio tutto il patrimonio culturale tutelato, pubblico e privato.
Le scuole statali di restauro, i laboratori scientifici i cui esperti sono continuamente consultati all’estero, così come gli istituti di ricerca connessi, non hanno notizie del loro prossimo futuro. Nessuna strategia è nota, nessun progetto strategico viene proposto dal Governo né per essi, né per le Soprintendenze, i poli museali, gli istituti culturali in genere.
Le assunzioni di massa di fine anni Settanta del secolo scorso hanno bloccato i concorsi per decenni e oggi il personale scientifico del Ministero, già pensionato o prossimo al pensionamento, non viene certo sostituito con le sole nomine di nuovi direttori per venti musei. Il problema vero non è quindi quanti stranieri vi siano fra di loro, ma quale politica e quali risorse vi siano per i beni culturali e paesaggistici italiani. C’è anche il problema della “seconda linea” dei responsabili di Musei e Soprintendenze che, dopo i pensionamenti, è divenuta ormai troppo esigua. Sarebbe dunque auspicabile che i Direttori, ora privati dell’incarico di direzione di musei non vengano demansionati, fossero valorizzati per supportare la gestione di una fase di trasformazione di cui, per ora, si vedono però soltanto i problemi, non conoscendosi la meta.