Liliana Adamo da Reporter Associati
Basta aver "provato" un paio di terremoti per appigliarsi in modo seppur trascurabile, alla sostanza della terra: individuare l'assetto di una faglia e la micro-zonazione del suolo (che, secondo i casi, riduce o aumenta il contraccolpo sismico), sapere che, nell'attrito di una costruzione, un'onda sismica sussultoria che si propaga in un tempo ragionevolmente lungo, è più rischiosa di quell'ondulatoria nel medesimo transito temporale.
Riconoscere fenomeni un po' vaghi, un rombo sordo che sale prima della scossa tellurica, l'istantanea "folata sismica", perfino un saettare di bagliori (i cosiddetti "lampi sismici"); ma soprattutto dare per scontato cosa si può fare in pochi istanti, evitare di precipitarsi per le scale, per esempio. Allenarsi, per istinto ad azzeccare di quanti gradi si eleverà la scossa e contare i secondi per trattenere il panico.
Due terremoti sperimentati "profondamente". Il primo, catastrofico, in Irpinia (come molti altri ragazzi napoletani, ero fra i volontari accorsi in zona e quella è stata un'esperienza indelebile). Il secondo si è verificato anni dopo in Umbria, appena messa su casa. Il primo scossone è sopraggiunto durante la notte. Il mattino successivo n'è arrivato improvvisamente un altro, eccezionalmente più forte, un sisma tra il nono e il decimo grado della scala Mercalli. Crollava la navata centrale della Basilica d'Assisi e si contavano morte e distruzioni (per la cronaca, le scosse si ripeterono ininterrottamente nell'arco di due anni, una tipologia sismica atipica, priva di un terremoto centrale e di scosse d'assestamento, ma composta di una dispersione sismica a catena, causata dai crolli della crosta terrestre nella zona tra Umbria e Marche. In altre parole, un movimento tellurico con pertinente assestamento ne scatena un altro e così via... ma, anche in questo caso, ho imparato che non è un aspetto anomalo per terre geologicamente giovani come l'area appenninica).
Ogni volta che la cronaca annuncia l'evento di "calamità naturali", con il loro seguito di disperazione e distruzioni, io ripenso ai miei due terremoti, così come dal giorno di Santo Stefano ad oggi, ho cercato disperatamente di capire ciò che mi sfugge del disastro partito dalle acque al largo di Sumatra; vuoi per la sua eccezionalità, vuoi per l'eccesso di fatti tragici avvenuti sotto lo sguardo attonito di un mondo iper-tecnologico e globalizzato, che in fondo si rivela come un gigante dai piedi d'argilla.
Possiamo immaginare cosa vuol dire trovarsi un muro d'acqua di svariati metri che si alza dal mare, sommerge tutto e tutto trascina con sé. I superstiti, "quelli che ce l'hanno fatta", ne serberanno ricordo come ad una visione dolorosamente ancestrale. Abbiamo sopportato questa tragedia con loro, a distanza. Siamo stati toccati dalla sorte dei bambini, quelli dispersi, quelli sopravissuti e quelli perduti per sempre. Abbiamo assistito ad immagini strazianti: quei piccoli aggrappati ai rottami, che sono trascinati uno per uno ed un certo punto non li vedi più. Di fronte al racconto dell'informazione globale, colti alla sprovvista per la sproporzione tra ciò che stava accadendo e il nostro quotidiano, ci siamo chiesti se anche stavolta il ricco e prospero occidente si sarebbe voltato dall'altra parte, nel momento in cui, conclusa l'audience del catastrofismo, si spengono anche i riflettori. Per quanto riguarda il sistema che regge la nostra vita su questo pianeta, che incassi pure una dura lezione e di conseguenza colga l'opportunità per cambiare davvero qualcosa.
La teoria delle catastrofi.
Quanti di noi conoscevano questa definizione, "tsunami"? Pensavamo ad un fenomeno atavico e distante e quindi quasi inverosimile. Assillati dagli artifici del nostro modo di vivere, operiamo una rimozione eliminando completamente l'anamnesi della terra. In caso contrario, l'ignoranza nasce da una negligente e cronica mancanza d'informazioni che possono essere utili anche per sfruttare quelle probabilità, seppur scarse, di "portare a casa la pelle", senza distinzioni di sorta tra paesi ricchi e paesi poveri. C'è già stata la giusta diatriba sul completo disinteresse per quelle modiche strumentazioni che sarebbero state in grado di prevedere l'arrivo di un maremoto in un'area a presunto rischio sismico, ma esistono realmente anche altre considerazioni su diversi fattori.
Cronologia tsunami: le onde di marea od onde "nel porto", sono causate da terremoti nel fondo marino. Quello del 26 dicembre scorso è in assoluto il terremoto più potente degli ultimi quaranta anni, fornito di un'energia mille volte più elevata rispetto al sisma che colpì l'Irpinia, che di suo fu il più forte registrato, negli ultimi anni, in tutta Europa. Il terremoto ha raggiunto il nono grado della scala Richter. Ne basta un settimo per produrre violente onde anomale che si rovesciano sulla costa. Il maremoto che n'è scaturito ha viaggiato migliaia di miglia alla velocità di circa 800 km l'ora, la velocità di un aereo e, a distanza di poche ore, si è infranto sulle coste di cinque paesi asiatici, uccidendo circa 250 mila persone, una cifra aumentata di anno in anno.
Nel 1998, il 17 luglio, un sussulto in mare aperto innesca un'onda enorme che colpisce i villaggi costieri a nord di Papa Nuova Guinea, uccidendo 2.000 persone (in quella tragedia non si è trovato vivo un solo bambino). Il 16 agosto 1976, uno tsunami uccide 5.000 persone nelle Filippine. Il 28 marzo del 1964 un terremoto avvenuto in Alaska spedisce un'onda anomala che distrugge tre villaggi, colpendo anche l'Oregon e la California. Il 22 maggio, 1960, onde alte fino a trenta metri uccidono 1.000 persone in Cile, attraversano il Pacifico, raggiungono Hilo, nelle Haway, toccando le Filippine e il Giappone. Il 31 gennaio 1906 un disastro colpisce la zona di Tumaco, in Columbia e spazza via tutto ciò che incontra, ossia le misere case tra Rioverde, l'Ecuador e la Colombia, con un tributo di morte valutato in un numero imprecisato che va dalle 500 alle 1500 persone. Nel 1896, il 17 dicembre, uno tsunami colpisce il litorale di Santa Barbara, in California.
Nello stesso anno, il 15 giugno, un altro devasta il Giappone, senza alcun preavviso. Ondate alte circa 25- 30 metri uccidono 26.000 persone, molti si trovavano lungo le spiagge per celebrare una festività religiosa, e siamo nuovamente all'isola di Sumatra; il 27 agosto 1883, una devastante eruzione del vulcano Krakatu, crea uno tsunami che colpisce anche Java, di colpo muoiono 36.000 persone. Il primo novembre, 1775, il terremoto di Lisbona genera onde anomale che centrano le coste del Portogallo, della Spagna, arrivando fino in Marocco.
L'elemento tsunami esiste e non soltanto nelle pagine della Bibbia, quando "si è aperto" il Mar Rosso!
Dov'è Hilo, Hawai?
E' situata sulla zona sud-orientale, a 200 miglia circa da Honolulu. Ha forma di una conca, lambita dai fianchi di due vulcani Mauna Kea e Mauna Loa. Hilo, come tutte le isole hawaiane circondate dall'Oceano Pacifico, ha la sua storia morfologica scandita dall'interazione fra terra e mare. Questa piccola, meravigliosa baia, occupa un posto unico in questa storia, dal momento che è il punto più frequentemente sottoposto a tsunami. Nei limiti del possibile, specialisti ed autorità civili, perfezionano la capacità di comprensione del fenomeno, arrivando a smorzare l'impatto distruttivo e limitare le perdite umane.
Il glossario sullo tsunami, spinge alla comprensione del fenomeno, laddove non esistono asteroidi che periodicamente colpiscono l'isola, complotti o subdoli esperimenti di fantasmagorici eversori dell'ordine planetario; a Hilo c'è la terra con le sue dinamiche e l'oceano che ne fa parte. L'isola, lambita dal Pacifico, è influenzata dagli tsunami per diversi motivi, due dei quali sono complementari, la topografia della costa e le dimensioni dei corpi oceanici. Com' era la città di Messina con il suo stretto, quando, nel 1908, fu colpita da un disastroso terremoto-maremoto, Hilo è caratterizzata da una baia a forma d'imbuto, una peculiarità che sfrutta l'energia dell'onda, amplificandone l'altezza, poiché più l'accesso alle coste è contenuto, più la massa d'acqua è alta, più grande è la distruzione, analogamente, una costa modellata da ampie baie che man mano si vanno restringendo, in caso di tsunami subirà consistenti distruzioni.
Le isole Maldive, centrate dall'onda, hanno subito danni ma non sono state completamente rase al suolo, com'è successo ai litorali tailandesi e cingalesi per esempio. Ciò è avvenuto grazie alla disposizione delle coste e alla profondità delle acque. Su queste isole bastano pochi metri per nuotare in un mare immenso per estensione verticale, mentre la presenza di un'estesa barriera corallina, ha agito da freno sull'impatto; ciò nonostante lo tsunami ha avuto una tale energia da distruggere il 70% dell'enorme risorsa riprodotta dai coralli e dal loro habitat.
Di conseguenza, sostenere che la rimozione di parti resistenti della barriera corallina ha potenziato l'impatto dello tsunami, è sostanzialmente errato. Attribuire alle colture dei gamberi allevati in molte zone del sud est asiatico, come ad un elemento scatenante del disastro costiero, è disinformazione. Il degrado ambientale dei reef esiste ed occorrerà contrastarlo in ogni modo; indiscutibilmente le sovrabbondanti colture di gamberetti e l'incremento del loro commercio (che spinge le comunità ad affollare le zone costiere), sono dannose alla difesa delle biodiversità, però contano relativamente nel caso specifico di questo disastro. Piuttosto si valutano altri fattori, come la totale disinformazione sui rischi dei terremoti, l'assenza di poche strumentazioni che servono alla prevenzione e il mancato collegamento dai centri di ricerca al resto del mondo.
Ultimo e non meno importante, è lo sregolato sviluppo delle zone costiere per agevolare il turismo di massa e lo strappo da certi equilibri originari. N'è partecipe anche l'ignoranza e l'ottusità delle multinazionali del turismo, le quali non puntano allo sviluppo "sostenibile", ma si limitano al depauperamento delle risorse e al benessere unidirezionale. Molti governi dei paesi cosiddetti "poco sviluppati", accolgono con entusiasmo l'arrivo del turismo, ma non realizzano forme di vigilanza, a protezione delle risorse ambientali, delle popolazioni autoctone e degli stessi turisti.
L'intreccio dei poteri economici e politici non ha mai permesso di creare organismi di tutela ambientale, dislocati negli angoli più disparati del pianeta, collegati tra loro, con gli enti scientifici e tecnologici, ma allora perché non cominciare a pensarci, da questo momento in poi?
Torniamo alla piccola isola delle Haway.
L'orientamento della linea costiera riguardo al metodo d'impatto di uno tsunami, svolge un ruolo molto importante. Conosciamo il significato del termine giapponese tsunami, "wave of harbor", usata in tutti i paesi del mondo per riferirsi ad una serie d'onde che viaggiano attraverso gli oceani fino a centinaia di miglia dal punto di frattura nella crosta terrestre. Nel momento in cui s' avvicinano alla costa, la loro velocità diminuisce, mentre l'energia sprigionata si realizza in altezza, ingrossandosi proprio nella parte anteriore (ecco perché alcuni subaquei italiani, sono riusciti a riemergere al largo di Phuket e coerentemente, hanno scelto di spingersi lontano, in mare aperto, invece di tentare una fuga disperata verso la spiaggia). Giunte in prossimità delle coste le onde agiscono come se rimuovessero il fondo marino ed "esondano"in un'enorme massa d'acqua.
Spesso, uno tsunami è definito in modo errato come onda di marea. Semplicemente, le onde di marea sono soggette al movimento periodico strettamente legato, nell'aumento e nella caduta, all'attrazione gravitazionale del sole e della luna. Lo tsunami non si collega alle maree, né agli eventi metereologici. Gli hawaiani hanno coniato le proprie definizioni per lo tsunami: -Kai e'- per indicarne le altissime onde e -Mimichi Kai- che si riferisce al ritiro delle acque, prima che sopraggiunga il Kai e'.
Vi prego di notare la definizione circa il ritiro dell'acqua che avviene senza eccezione prima che arrivi l'onda. Una depressione del livello del mare può evidenziarsi anche per svariati chilometri, con fondali improvvisamente "a vista" e pesci che si dimenano nell'aria; uno spettacolo particolare che ha attirato gli abitanti delle coste asiatiche ed ignari turisti e che, invece, a Hilo significa prepararsi ad una veloce evacuazione.
Quale forza causa uno tsunami?
Secondo gli oceanografi ed i sismologhi, l'aumento improvviso o la caduta di una sezione situata nella superficie sottomarina, o in prossimità del mare, producono una dispersione sismica che può spostare violentemente la colonna dell'acqua, generando un aumento o una caduta dei livelli oceanici. L'aumento o caduta dei livelli è la formazione iniziale di un'onda tsunami. Le onde anomale possono essere generate da attività vulcaniche o dalla nascita d'isole sopra o sotto la superficie dell'acqua, ma questi fenomeni generalmente non apportano devastazioni terrestri perché l'energia prodotta si dissipa velocemente con l'aumento della distanza dalla fonte; anche l'eruzione del Vesuvio (nel 79 d.c.), causò uno tsunami nel golfo di Napoli e perfino allora se ne riscontra il segno precorritore nel "ritiro delle acque".
Durante la "guerra fredda" si diffondeva il timore che gli esperimenti nucleari, o per meglio dire le detonazioni di bombe nucleari collaudate lungo il litorale orientale degli Stati Uniti, potessero provocare violenti tsunami, dal momento che ogni dispersione d'energia che sposta grandi masse d'acqua, è causa potenziale di tsunami. Questo è un rischio da non sottovalutare. Nelle prime ore della tragedia, mi è subito balzato in mente il governo indiano e la sua atomica, ma è un'ipotesi che molti hanno scartato quasi subito. In quella zona c'è una faglia e l'attrito di due continenti, sprigionante l'energia per attivare scosse telluriche di quella potenza. Le proporzioni della frattura sono state tali da generare una dispersione sismica con la quale lo tsunami ha influenzato il formato e la resistenza delle onde (che, a loro volta, traggono origine da un fattore legato alle meccaniche della fisica, ricordiamolo).
L'effetto "wrap-around"
Letteralmente significa "avvolgere un indumento intorno al corpo"; che cosa significa? Uno tsunami può nascere a nord o a sud del Pacifico e mettere in atto un potenziale distruttivo che, teoricamente, si dirigerà verso le isole hawaiane. Le grandi onde, mentre s'avvicinano, possono improvvisamente cambiare direzione. Gli studiosi usano il termine "refract" che indica pressappoco "deviare da un percorso diritto" riferito per esempio, alla luce che si altera per rifrazioni. Possono anche diffrangersi attraverso gli spazi che intercorrono fra un'isola e l'altra, in questo caso il termine adoperato è "diffract" che significa "subire o causare diffrazioni".
Il movimento di piegarsi intorno o attraverso le isole è l'effetto "wrap-around".
Misurando l'effetto "wrap around" gli scienziati riescono a stabilire dove e con quale impatto le onde si disperdono. Virtualmente se avvenisse un terremoto di una certa magnitudo in Cile, in Alaska o in Giappone gli abitanti sparsi lungo le coste di Hilo e d'altre isole hawaiane, si disporrebbero per mettere in atto le precauzioni in caso di tsunami e questo in un tempo limitatamente breve.
Oltre le "linee di fuoco"
Una cosa è certa, neanche al centro per lo studio degli tsunami, situato alle Hawai, si concepiva un cataclisma come quello del 26 dicembre 2004, e non nell'area da dove è scaturito. Abbiamo detto che, in quella zona c'è l'attrito di due placche tettoniche, quell'asiatica ed africana, ma, allo stesso modo, uno tsunami di quella portata, nell'Oceano Indiano, rappresenta un caso veramente raro.
Tutti gli oceani possono generare tsunami, eppure questo fenomeno si limita essenzialmente al bacino del Pacifico, con le sue terre vulcaniche, le catene montuose e i substrati della crosta terrestre soprannominati "linee di fuoco" per la loro intensa attività geologica. Quello che è successo alle 7.58 (ora locale) al largo dell'isola di Sumatra, rimette in discussione tutto ciò che si stima sull'aspetto speculativo degli tsunami.
In che cosa consiste il sistema d'avvertimento degli tsunami? Fu proprio la mancanza di questo a causare la distruzione delle coste hawaiane, colpite nel 1946. Da allora è stato studiato un sistema d'allerta siglato PTWS, che ricopre l'intero bacino del Pacifico.
Obiettivi principali di questo sistema sono l'individuazione e il rilevamento degli tsunami possibili causati dai terremoti, tramite l'uso di sismografi correttamente controllati, misurando i cambiamenti del livello dell'acqua dalle stazioni oceanografiche situate in punti strategici. Attraverso questo sistema, apparentemente semplice, è possibile determinare perfino l'ora d'arrivo dello tsunami e fornire quindi un sufficiente avvertimento per procedere all'evacuazione. Esiste un sistema di preallarme e un sistema di vigilanza.
Ciò significa che il sistema di vigilanza per lo tsunami in arrivo dall'Oceano Indiano di fronte Banda Aceh, è sicuramente scattato, ciò che non ha funzionato, per ragioni ancora inspiegabili, è il sistema d'allarme; sarebbe bastato far circolare la segnalazione in rete, per esempio e ricorrere ad una pur sommaria evacuazione in extremis, se ciò fosse avvenuto, molte persone sarebbero state salvate.
Allarme tsunami
Il sistema di vigilanza tsunami è dichiaratamente automatico per tutti i terremoti che hanno una grandezza di 7.5 e più della scala Richter. La notifica avviene tramite agenzie di protezione civile, con annunci pubblici limitati ai mezzi locali, mentre s'attendono dati che confermano il pericolo reale. Intanto si analizzano immediatamente i rapporti sull'attività dell'onda dalle stazioni oceanografiche più vicine all'epicentro del terremoto, le quali, come abbiamo visto, misurano il livello di marea; se queste segnalano che non c'è un'attività sensibile di tsunami, la vigilanza è annullata e se invece vi è segnale di pericolo, l'avvertimento è inviato in tutte le zone a rischio nelle ore immediatamente successive. La gente riceve il segnale di pericolo attraverso un sistema di radiodiffusione d'emergenza.
Si procede quindi all'evacuazione, raccomandando via radio, alle barche in mare, di tenersi al largo dalle coste, dal momento che le acque profonde non risentono dell'influenza dello tsunami. Quando tempo intercorre? Pochissimo, qualche ora oppure meno. Si tenga presente che il centro per l'avvertimento tsunami, posto nel Pacifico, ha emesso in totale 20 avvisi dal 1948 ad oggi. Di questi 20, 5 hanno avuto un esito effettivo con tsunami significativi giunti dall'oceano; nonostante il sistema d'allarme, dal 1948 ad oggi 61 persone sono morte per non aver prestato la giusta attenzione all'avvertimento. Soltanto 61 persone dal 1948 ad oggi.
Se vogliamo dar valore ai numeri, il disastro umanitario avvenuto nel sud est asiatico era di sicuro evitabile.
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