A dire il vero, gradualmente è una parola enorme. 2666 è un vortice che inghiotte sin dalle prime parole. La parte dei critici apre il primo dei due volumi dell'edizione Adelphi (2012, trad. dallo spagnolo di Ilide Carmignani). Veniamo a conoscenza di un gruppo di quattro critici accademici che, nominati in fila, sembrano una barzelletta, una delle nostre: il francese (romantico) Jean-Claude Pellettier, l'italiano (cagionevole) Piero Morini, lo spagnolo (sanguigno) Manuel Espinoza e l'inglese (erotica) Liz Norton. In comune, queste quattro persone hanno la figura di un fantomatico scrittore tedesco, Benno von Arcimboldi, di origini, fisionomia e trascorsi biografici piuttosto dubbi, per non dire oscuri. E non basta. Il fulcro di tutto il rapporto è la bellissima e disinibita Liz: come a rispondere a tutti coloro che semplificano i movimenti terrestri attorno all'asse di ciò che una donna ha tra le gambe, sottolineando però che questo gran vorticare di genitali è appunto un enorme, imperscrutabile mistero.
Sia chiaro: la figura e l'opera dell'autore scomparso nel nulla non sono mai un alibi, in La parte dei critici. Tutto il romanzo gira attorno ad Arcimboldi, ma i quattro protagonisti fanno, di questa artificiosa quête, una giostra di turbamenti ed incontri più o meno surreali, fino a rivisitarla in un'aperta palestra sentimentale, in una reciproca educazione affettiva. Per cui, se è facile stabilire l'oggetto del romanzo, molto meno immediato è definire i limiti dello scenario principale, per un'azione che sprofonda sempre in controscene imprevedibili, la cui pertinenza si configura secondo le coordinate di un barocchismo in ogni caso sorprendente. È come se la vicenda dei nostri quattro eroi all'improvviso si dispiegasse rivelando tutte le sue fughe, dentro le quali si annidano altre storie, altri possibili sviluppi.
Chiunque abbia vissuto esperienze accademiche (come dottorati e master) rimarrà sorpreso dalla conoscenza che, dell'ambiente, ha Roberto Bolaño (molto più incisiva, comunque, di quella di Marías in Tutte le anime). Di colpo, mi sono rivisto a partecipare a seminari o a convegni interminabili, a sfogliare liste di call for papers e rivedere di conseguenza il taglio della mia ricerca.
La scrittura di Roberto Bolaño, lieve e improvvisamente lirica oppure molto cruda, come a prendere possesso del mondo, è l'arte della digressione e dell'esattezza: l'autore mostra di conoscere come pochi l'universo editoriale, il mondo accademico e i circuiti culturali europei. In 2666 (il cui titolo è ancora un mistero per me), si fa cenno puntualissimo a cose e persone che poi vengono diluite in un universo patafisico, ovvero di soluzioni (e bibliografie) immaginarie, e in momenti di spietata lucidità. In questo modo, il lettore è punto sul vivo e la vita viene colta nel suo svolgersi, nel suo virgineo e miserabile anelito di bellezza.