2666 di Roberto Bolaño. 1. La parte dei critici

Creato il 23 novembre 2012 da Spaceoddity
Nel momento in cui mi accingo a parlare di 2666 di Roberto Bolaño, so poco o nulla del romanziere cileno. Mi trovo di fronte a un libro che, come di tanto in tanto mi accade, mi ha chiamato da lontano in libreria. Ho letto in giro che l'autore avrebbe gradito che si ci si avvicinasse alle diverse parti della sua opera (postuma e incompiuta) separatamente, ma è chiaro già da qui che dietro c'è non solo un progetto, ma anche e soprattutto l'idea di un libro-mondo. Così parlerò di ciascuna delle sezioni di cui si compone quest'universo narrativo di Bolaño, abituato come sono a fare della mia crescita intellettuale una specie di reality show e certo che procederò con una buona dose d'ingenuità, di cui mi scuso sin d'ora - fermo restando, però, che il mio proposito non è quello di mostrarmi addentro all'animus di Bolaño, bensì di addentrarmi gradualmente nel suo estremo immaginario letterario.
A dire il vero, gradualmente è una parola enorme. 2666 è un vortice che inghiotte sin dalle prime parole. La parte dei critici apre il primo dei due volumi dell'edizione Adelphi (2012, trad. dallo spagnolo di Ilide Carmignani). Veniamo a conoscenza di un gruppo di quattro critici accademici che, nominati in fila, sembrano una barzelletta, una delle nostre: il francese (romantico) Jean-Claude Pellettier, l'italiano (cagionevole) Piero Morini, lo spagnolo (sanguigno) Manuel Espinoza e l'inglese (erotica) Liz Norton. In comune, queste quattro persone hanno la figura di un fantomatico scrittore tedesco, Benno von Arcimboldi, di origini, fisionomia e trascorsi biografici piuttosto dubbi, per non dire oscuri. E non basta. Il fulcro di tutto il rapporto è la bellissima e disinibita Liz: come a rispondere a tutti coloro che semplificano i movimenti terrestri attorno all'asse di ciò che una donna ha tra le gambe, sottolineando però che questo gran vorticare di genitali è appunto un enorme, imperscrutabile mistero.
Sia chiaro: la figura e l'opera dell'autore scomparso nel nulla non sono mai un alibi, in La parte dei critici. Tutto il romanzo gira attorno ad Arcimboldi, ma i quattro protagonisti fanno, di questa artificiosa quête, una giostra di turbamenti ed incontri più o meno surreali, fino a rivisitarla in un'aperta palestra sentimentale, in una reciproca educazione affettiva. Per cui, se è facile stabilire l'oggetto del romanzo, molto meno immediato è definire i limiti dello scenario principale, per un'azione che sprofonda sempre in controscene imprevedibili, la cui pertinenza si configura secondo le coordinate di un barocchismo in ogni caso sorprendente. È come se la vicenda dei nostri quattro eroi all'improvviso si dispiegasse rivelando tutte le sue fughe, dentro le quali si annidano altre storie, altri possibili sviluppi.
Chiunque abbia vissuto esperienze accademiche (come dottorati e master) rimarrà sorpreso dalla conoscenza che, dell'ambiente, ha Roberto Bolaño (molto più incisiva, comunque, di quella di Marías in Tutte le anime). Di colpo, mi sono rivisto a partecipare a seminari o a convegni interminabili, a sfogliare liste di call for papers e rivedere di conseguenza il taglio della mia ricerca.
Ma, mentre per dei giovani dottorandi l'esperienza entusiastica di un'indagine conoscitiva procede in modo passionale, dogmatico, astratto, sotto forma di idea fissa, sembra che ne La parte dei critici prenda il sopravvento una fantasmatica spinta centrifuga, come di una trottola il cui disegno per terra, chiaro, se non apollineo, dia vita - attraverso una serie di urti - alle più dionisiache armonie (o magari è l'esatto contrario).
La scrittura di Roberto Bolaño, lieve e improvvisamente lirica oppure molto cruda, come a prendere possesso del mondo, è l'arte della digressione e dell'esattezza: l'autore mostra di conoscere come pochi l'universo editoriale, il mondo accademico e i circuiti culturali europei. In 2666 (il cui titolo è ancora un mistero per me), si fa cenno puntualissimo a cose e persone che poi vengono diluite in un universo patafisico, ovvero di soluzioni (e bibliografie) immaginarie, e in momenti di spietata lucidità. In questo modo, il lettore è punto sul vivo e la vita viene colta nel suo svolgersi, nel suo virgineo e miserabile anelito di bellezza.

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