28. Forze

Creato il 29 maggio 2011 da Fabry2010

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La gente va e viene, come sempre; in un angolo si forma un crocchio di persone; gli ebrei ortodossi si riconoscono dall’abito nero e il cappello a cilindro, ma tra loro ci sono differenze: gli adulti hanno la barba, i ragazzi sono glabri e a loro il copricapo sembra un peso, sventola a destra e a sinistra, o verso l’alto; anche la giacca è più aperta e balza in primo piano la camicia bianca, come se la giovinezza volesse più luce, da dare e da ricevere; i turisti hanno magliette colorate, capelli rossi e biondi, l’aria di chi sta lì per caso. Ad attrarre il gruppo di persone è Yehochoua, con uno dei suoi discorsi in pubblico; i temi sono quelli: liberazione e guarigione, solidarietà e fraternità. Ma le sue parole sono diverse dalle altre: diventano cose, s’induriscono come pietre del Muro, commuovono come i ciuffi d’erba che esplodono tra lastra e lastra, volano sulla città bianca di case, gialla di cupole, verde di pini e di cipressi. La gente ha l’aria di seguire immagini formate secondo le proprie aspettative. Non si distingue il giorno dalla notte: chi è oppresso vede accendersi una luce nel buio della cantina, chi è allegro avverte l’aria frizzante dell’orto degli ulivi, ode il respiro cavernoso della valle del Qidròn. Tra la folla che lievita c’è una donna inquieta, come volesse compiere un’azione ma non si decidesse, travolta da pensieri che urtano nella calca più serrata, dove già qualcuno comincia a spazientirsi, che fate? non spingete, se ne vuole approfittare?, bambini che piangono, madri che urlano, forse è questo il momento più opportuno, Chochana s’infila tra l’uomo col cilindro e la donna col velo, il vecchio con la barba e l’operaio col berretto a visiera, ecco, ci sono quasi, ancora un metro, l’oratore continua a parlare, non s’accorge di nulla, solo due signore con l’ombrello per proteggersi dal caldo la dividono dalla schiena di Yehochoua, l’ho toccato, l’ho toccato, e in quel momento sente un urlo belluino, come se una forza maligna dovesse uscire a forza, abbandonarla controvoglia, lasciarla finalmente in pace.



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